La corteccia prefrontale, cioè la regione del cervello che è responsabile del ragionamento, categorizza gli oggetti e quindi gli occhi sono telecamere che raccolgono dati e li elaborano. Ma non solo: un nuovo studio condotto da un ingegnere biomedico e neuroscienziato della Columbia Engineering, Nuttida Rungratsameetaweemana, dimostra che «le regioni visive del cervello svolgono un ruolo attivo nel dare un senso alle informazioni». Cioè i primi sistemi sensoriali hanno un ruolo nel processo decisionale e della loro capacità di adattarsi in tempo reale. A loro questa scoperta servirà per elaborare nuove funzionalità di flessibilità cognitiva per l’intelligenza artificiale, ma per noi è la prova provata che i sensi influenzano la nostra reattività, la qualità della vita.
Lo Yoga non si occupa di allenare il corpo ma di allenare la mente. Antonio Nuzzo lo ha sempre ripetuto durante la mia Formazione e anche ora lo fa e sicuramente lo aveva imparato da Swami Satyananda: «Gli asana servono per poter assumere la posizione seduta», l’ho appena sentito da Swami Ananda Saraswati, responsabile italiano della Bihar School of Yoga creata da Satyananda.
Invece lo Yoga si occupa di consapevolezza. E chi lo dice? Yogasutra quando dice che il punto finale degli otto anga è il samadhi, cioè la consapevolezza totale. Leggetevi la poesia Samadhi di Paramahansa Yogananda. Ho parlato con qualcuno che ha avuto l’esperienza di un samadhi e l’ha descritto esattamente come Yogananda: si ha una consapevolezza inspiegabile a 360 gradi, che va oltre le mura in cui ci si trova… Si è consapevoli del tutto.
«…il samadhi è un’espansione della mia sfera cosciente oltre i limiti della forma mortale,
fino ai più lontani confini dell’eternità,
dove Io, Cosmico Mare, contemplo il piccolo ego che fluttua in Me.
Il passero, ogni granello di sabbia, non cadono senza ch’Io li veda…».
Ma da dove partire? E perché fare asana, oltre che per esercitarsi alla posizione seduta? C’è un perché e l’ho ripetuto molto spesso ma qui lo si spiega con altre parole: «per accendere la consapevolezza del corpo e del respiro, la consapevolezza delle sensazioni ed emozioni, la consapevolezza della mente e della coscienza, la consapevolezza della natura in continuo cambiamento del mondo e di ciò che agevola o ostacola il nostro percorso al suo interno»*. E vi ho elencato i quattro obiettivi della mindfulness, pratica che deve molto al buddhismo vipassana, ma anche allo Yoga. La mindfulness si occupa di emozioni, e di quel momento in cui decidiamo se scegliere di reagire o rispondere senza violenza. Anche lo Yoga – e il tantra in particolare – si occupa delle emozioni e ti dice qualcosa in più e cioè che le emozioni che non riusciamo a governare sono quelle che portano alle sofferenze della vita, la prima delle quali è il dover lasciare… le nostre emozioni, cioè non seguirle, decidere di darsi un’altra possibilità. Che è anche una possibilità intellettuale. È un’apertura.
È il primo “asana”, una posizione mentale che comincia sempre come intenzione quando pratichiamo una sequenza. È l’asana mentale che riusciamo a intercettare, a vedere, quando incontriamo piacere e dispiacere nel restare a lungo in asana. Il respiro e il corpo che danzano assieme alla mente: talvolta è una “sfida all’Ok Corral”, talvolta un tango appassionato, talvolta una danza sgraziata o addirittura disgraziata. Lì, più che nella fase dinamica, possiamo intercettare le emozioni e i pensieri che si susseguono e possiamo imparare a diventare testimoni.
È nell’immobilità che tutto accade, che i pensieri esplodono e che possiamo intercettare la nostra reattività. La prerogativa dei pensieri sta nel fatto che esplodono così in fretta che non facciamo a tempo a vederli e siamo già stati trascinati in una corrente che non ha fine. Ci sono varie tecniche che aiutano in questo e una è la meditazione del testimone. I pensieri sono una realtà, anche se rappresentano l’illusione di ciò che non c’è. Ma sono qui e ora in noi e ci sembrano tangibili perché sono materia e pesano.
Lo Yoga può rappresentare la via d’uscita verso la liberazione da questi invasori. Athayoganusasanam è il primo sutra di Yogasutra e cosa significa nel dettaglio? Viene tradotto letteralmente «E adesso, il metodo Yoga». «Sasan» significa «governare» e «anu» significa «l’aspetto sottile». Quindi la traduzione per praticanti avanzati nell’esperienza è: «Yoga è governare gli aspetti sottili della personalità». Gestire le emozioni, i pensieri, le reazioni, le sensazioni., manipolarle come la creta, accoglierle, sporcarsi le mani per poterle osservare. Avere sensazioni, emozioni, pensieri, reazioni sono prove di esistenza in vita. Grazie al cielo. Poi possiamo provare a non farle esplodere in mano, a non farci male e per questo esistono i due kosha (due dei cinque corpi che compongono il nostro essere, ndr), manomayakosha e vijnanamayakosha, l’esperienza mentale e l’esperienza intuitiva. Con una osservi, con l’altra comprendi nel profondo e aggiusti il tiro. Con un lento lavoro di consapevolezza e di discesa nel profondo.
Capite perché Yoga non può essere altro se non questo governare interiormente il mondo del profondo?
Capite che non è più una questione di stili, ma di intenzione? Se l’intenzione è allenare il corpo non è yoga, se è Athayoganusasanam è Yoga. È un ribaltamento della prospettiva.
*Mark Williams e Danny Penman, «Mindfulness profonda» (Mondadori)


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