Da oltre sessant’anni in esilio in India, il 14° Dalai Lama è la figura carismatica che ha incarnato la causa tibetana non-violenta nel mondo. Il suo 90° compleanno, il 6 luglio 2025, è stato segnato da un annuncio cruciale: come riportato dal Telegraph, egli aveva affermato che in quella ricorrenza avrebbe deciso «in base alla dottrina della reincarnazione» il proprio futuro e il destino stesso dell’istituzione della massima carica buddhista lamaista. E così ha fatto: l’istituzione del Dalai Lama continuerà.
Ecco la sua dichiarazione:
«Il 24 settembre 2011, in occasione di un incontro dei capi delle tradizioni spirituali tibetane, ho rilasciato una dichiarazione ai miei colleghi tibetani dentro e fuori il Tibet, ai seguaci del buddismo tibetano e a coloro che hanno un legame con il Tibet e i tibetani, riguardo all’opportunità di continuare l’istituzione del Dalai Lama. Ho dichiarato: “Fin dal 1969 ho chiarito che le persone preoccupate dovrebbero decidere se le reincarnazioni del Dalai Lama dovrebbero continuare in futuro”. Ho anche detto: “Quando avrò circa novant’anni consulterò gli alti Lama delle tradizioni buddhiste tibetane, il pubblico tibetano e altre persone preoccupate che seguono il buddismo tibetano, per rivalutare se l’istituzione del Dalai Lama debba continuare o meno”. Anche se non ho avuto discussioni pubbliche su questo tema, negli ultimi 14 anni leader delle tradizioni spirituali del Tibet, membri del parlamento tibetano in esilio, partecipanti a una riunione speciale del corpo generale, membri dell’Amministrazione centrale tibetana, ONG, buddisti della regione himalayana, Mongolia, repubbliche buddhiste di la Federazione Russa e i buddisti in Asia compresa la Cina continentale, mi hanno scritto per motivi, chiedendo seriamente che l’istituzione del Dalai Lama continui. In particolare, ho ricevuto messaggi attraverso vari canali dai tibetani in Tibet che fanno lo stesso appello. Conformemente a tutte queste richieste, affermo che l’istituzione del Dalai Lama continuerà. Il processo con cui un futuro Dalai Lama deve essere riconosciuto è stato chiaramente stabilito nella dichiarazione del 24 settembre 2011 che afferma che la responsabilità di farlo spetta esclusivamente ai membri del Gaden Phodrang Trust, l’Ufficio di Sua Santità il Dalai Lama. Dovrebbero consultare i vari capi delle tradizioni buddhiste tibetane e gli affidabili protettori del Dharma legati al giuramento, legati indissolubilmente alla discendenza dei Dalai Lamas. Essi dovrebbero pertanto effettuare le procedure di ricerca e di riconoscimento secondo la tradizione passata. Ribadisco che il Gaden Phodrang Trust ha l’unica autorità per riconoscere la futura reincarnazione; nessun altro ha tale autorità per interferire in questa faccenda».
Un messaggio importante anche per ciò che Tenzin Gyatso ha rappresentato in questi 90 anni. «In un’epoca attraversata da conflitti, polarizzazioni e crisi globali, l’esempio del Dalai Lama continua a ricordare che è possibile vivere con dignità e compassione anche nelle situazioni più difficili», ha scritto Filippo Scianna, presidente dell’Unione Buddhista Italiana. «Il suo è un invito profondamente attuale a riscoprire il potere trasformativo della bontà, ed è rivolto a tutti: non solo per chi si riconosce nel buddhismo, ma per chiunque senta l’urgenza di un’umanità più giusta, più libera e più pacifica».

Ma cosa accadrà “domani”?
Con la prossima successione del Dalai Lama tuttavia si profila uno scenario di conflitto: da un lato Pechino reclama il diritto esclusivo di designare il nuovo Dalai Lama, come da legge cinese, e potrebbe tentare di imporre un tulku (un lama riconosciuto reincarnazione di un lama passato) al suo servizio; dall’altro la comunità tibetana in esilio intende far valere le antiche tradizioni religiose per individuare una guida spirituale indipendente. Al contrario la Cina ha già fatto sapere che nominerà un suo rappresentante per rafforzare il proprio controllo sulla regione. In sostanza, ci saranno due Dalai Lama “rivali”:
• Uno designato da Pechino: un lama scelto secondo il Regolamento cinese del 2007, che impone che ogni reincarnazione riceva l’approvazione dello Stato e avvenga entro i suoi confini. Questo candidato, se confermato, sarebbe considerato dai tibetani in esilio un burattino del regime, similmente a quanto avvenuto con il Panchen Lama nel 1995. Nel 2007 la Cina ha emanato regolamenti che trasformano la reincarnazione in un processo burocratico: ogni lama reincarnato deve essere preventivamente autorizzato dallo Stato e «dev’essere nato all’interno dei suoi confini». In pratica, ogni passo della tradizione religiosa tibetana è subordinato alla legge cinese.
• Uno riconosciuto secondo tradizione: il candidato indicato dai lama in esilio, attraverso le consuete pratiche spirituali. La leadership di Dharamsala (ufficio Dalai Lama) ha già dichiarato che, se la comunità tibetana vorrà continuare l’istituzione, sarà il Ganden Phodrang Trust ad avere la responsabilità di riconoscere il successore. Come ha affermato il Dalai Lama stesso, il nuovo incarnato dovrà «per necessità nascere in un mondo libero». In questo secondo scenario il successore sarebbe scelto tramite divinazioni e prove tradizionali, ricevendo l’appoggio della diaspora e della maggioranza dei tibetani nel mondo.
Si profila così uno scontro tra due modelli inconciliabili: da un lato la tradizione spirituale flessibile del buddhismo tibetano, dall’altro la rigida imposizione statale di Pechino.

Il processo tradizionale di riconoscimento
Secondo il rito tibetano, il nuovo Dalai Lama non viene eletto, ma individuato spiritualmente. Dopo la morte del predecessore si seguono segni mistici: per esempio, si osserva la direzione del fumo della cremazione e si consultano oracoli (come il lago sacro Lhamo La-tso) per ricevere visioni che indichino la zona di nascita del futuro tulku. I bambini nati in quel periodo sono quindi sottoposti a prove determinanti: ognuno deve riconoscere gli oggetti appartenuti al Dalai Lama defunto fra vari oggetti simili. Dimostrare chiaramente di conoscere gli oggetti personali del precedente Dalai Lama è un segno determinante. Tradizionalmente, qualora più bambini superassero queste prove, il nome del prescelto viene sorteggiato dall’Urna d’oro, un’urna rituale utilizzata per evitare manipolazioni. Il bimbo prescelto viene quindi consacrato come monaco, istruito nei sutra buddhisti e infine intronizzato; fino alla maggiore età un reggente guida la comunità per proteggerlo. Questo complesso rituale, basato sulla fede e su antichi testi oracolari, è il fulcro dell’identità religiosa tibetana.
Il controllo cinese sulla reincarnazione
Dal 2007, «le reincarnazioni non possono essere riconosciute senza l’approvazione statale» e ogni persona reincarnata «dev’essere nata all’interno dei confini cinesi». Questo significa che il governo cinese pretende il monopolio sulla scelta del nuovo Dalai Lama. Inoltre, in caso di più candidati, il regolamento prescrive che l’Urna d’oro venga usata come unico strumento legale per la selezione. Insomma, un tempo sacro e flessibile come la reincarnazione viene oggi rigidamente normato dalla legge: le autorità cinese considerano questa procedura una questione di sovranità nazionale, e hanno imposto sanzioni severe contro chi non la rispetta. La strategia è chiara: piegare la fede alle esigenze politiche e assorbire il buddhismo tibetano in una narrazione patriottica.
Implicazioni per il futuro tibetano
In questo contesto, la principale sfida sarà mantenere coesione e legittimità all’interno della diaspora. In ogni caso, gli ultimi preparativi indicano che, dopo la sua scomparsa, ci sarà «un periodo di transizione di diversi anni senza un Dalai Lama in carica». Durante questo vuoto, l’unità dei tibetani e il sostegno internazionale saranno decisivi. L’esito della successione determinerà se il buddhismo tibetano riuscirà a conservarsi libero e autentico o se verrà inghiottito dalle logiche di potere di Pechino – una questione di lunga portata per l’identità culturale del Tibet e per la stabilità regionale.

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