Ogni lunedì alle 18 c’è un appuntamento prezioso al terzo piano dell’edificio centrale dell’Istituto Besta di Milano. Ogni lunedì alle 18 ogni altra attività medica, ambulatoriale, di ricerca o burocratica viene sospesa momentaneamente per ritrovarsi a un appuntamento molto importante, quello con i pazienti con dolore cronico che hanno scelto di sperimentare l’affascinante pratica della mindfulness.
Sono circa sei i partecipanti di ogni gruppo meditativo. Ci sono pazienti storici, come Pietro, che le ha già provate tutte, ma ancora una volta si affida per la sperimentazione di questa antica, ma pionieristica terapia; c’è la signora Carla, una nuova paziente, visitata qualche giorno fa per la prima volta; ci sono Antonio e Lucilla, mandati da altri colleghi che sanno del nostro impegno sul campo e ci affidano i loro pazienti… e molti altri, con storie diverse, diagnosi diverse e aspettative terapeutiche diverse, ma allo stesso tempo tutti simili. Tutti accomunati dall’avere dolore costante, cronico.
Il dolore è definito dalla comunità scientifica come una sensazione fisica o emotiva spiacevole e associata a un reale o potenziale danno tissutale (International Association for the Study of Pain o IASP). Quando tale condizione permane per un periodo uguale o superiore ai tre mesi, essa prende il nome di dolore cronico. I pazienti del lunedì sono tutti affetti da una patologia caratterizzata da dolore cronico, sia essa condizione primaria che secondaria a un altro disturbo neurologico. Solitamente, sono pazienti che non hanno trovato beneficio dall’assunzione di farmaci, anzi ne sono diventati abusatori, e per questo hanno deciso di affidarsi a un metodo di trattamento alternativo quale è la mindfulness.
Per otto lunedì consecutivi, i pazienti si incontrano a gruppi di sei per imparare ad affrontare il dolore con nuovi strumenti, provando ad accettarlo e a patteggiare con lui, lasciando andare vecchie ancore, forse poco utili, e per condurre un percorso nuovo. Il lavoro con i pazienti con dolore cronico va avanti ormai da sei anni. Nato come un esperimento, a oggi la maggioranza dei pazienti che ha aderito al programma ha portato a termine il percorso con impegno e costanza, affidandosi e dimostrando un sincero riconoscimento verso questa pratica, che è riuscita a fornire un appiglio, una nuova speranza per una vita di qualità.
Non esistono requisiti particolari per aderire al trattamento con mindfulness, ma ciò che abbiamo constatato durante la nostra esperienza è che per ottenere beneficio occorre impegno e costanza. Praticare la mindfulness è come intraprendere un viaggio con la mente aperta a nuove esperienze, stando in un ambiente sicuro in cui ci si sente accettati e supportati. È importante chiarire a chi sta per imbarcarsi che quest’impegno è volto alla cura di sé e del proprio benessere. Con questa premessa sarà facile indurre il paziente a non pensare al percorso come a un sacrificio: partecipazione e costanza saranno i primi elementi con cui venire a patto, ma i benefici ripagheranno lo sforzo.
Se all’apparenza questo primo obiettivo può sembrare di facile raggiungimento, per i pazienti con dolore cronico non è affatto scontato. Le caratteristiche psicologiche dei pazienti con dolore cronico sono state scarsamente studiate in letteratura e perciò il loro profilo risulta sfumato e nebuloso. Secondo il modello biopsicosociale di Cloninger (Cheatle 2016), i pazienti con dolore cronico sarebbero caratterizzati da un temperamento volto all’evitamento del danno e scarsa autodirezionalità (Conrad et al. 2013), la quale viene riconosciuta come fattore di rischio per lo sviluppo di un vero e proprio disturbo di personalità (Conrad et al. 2007). I pazienti con queste caratteristiche di funzionamento psicologico tendono a evitare le situazioni che potrebbero metterli in difficoltà, perché temono che esse possano esacerbare il dolore e peggiorare i loro sintomi.
Inoltre, comuni alla popolazione con dolore cronico sono i sintomi d’ansia e la paura del dolore, i quali sono strettamente collegati a una specifica attitudine come il catastrofismo. Il catastrofismo si definisce come la tendenza ad avere una totale sfiducia nei confronti del presente, fino a indurre catastrofiche e in alcuni casi apocalittiche prospettive per il futuro. Spesso questa diventa la strategia più adottata da questi pazienti (Knaster et al. 2012). Tali attitudini psicologiche sono associate da una scarsa qualità di vita nonché a un approccio alla vita stessa non adeguato ne’ funzionale
La pratica di Mindfulness ha l’obiettivo di affrontare col paziente la problematica del loro dolore cronico, modificando gli aspetti psicologici non adeguati in favore di una lenta e graduale accettazione della propria condizione fisica, talvolta immodificabile.


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