La via dello yoga è una via fatta di ragionamenti (pramana) che precedono il momento dell’abbandono. Nella sua enunciazione in Yoga Sutra, Patanjali dice che yoga è tapas, svadyaya e Isvara pranidhana: prima ti viene l’ardore di iniziare (tapas ) questa conoscenza, questo percorso di introspezione, poi lo studio di sé (svadyaya ) e solo alla fine puoi concederti l’abbandono all’Infinito (Isvara pranidhana), a questo indefinito Isvara che più o meno corrisponde al concetto di Brahman dell’induismo, cioè il divino nella sua forma indefinita, agnostica, oserei dire, che non ha nome né forma, ma solo essenza. Che ha la forma di un suono primordiale come l’Om.
Diceva Anandamayi Ma, una delle più grandi mistiche indiane che «Il sentiero per l’Infinito sta nell’essere senza sforzo. Fino a quando l’Hatha Yoga non mira all’Eterno, non è altro che ginnastica. Se nel corso normale della pratica non s’avverte il Suo contatto, lo yoga è stato infruttuoso». E che cos’è l’eterno per uno yogi? Il Sé! Cioè, spiega, «quando l’abilità fisica che deriva dall’Hatha Yoga è usata per coadiuvare lo sforzo spirituale, non è sprecata; altrimenti non è yoga, ma bhoga (godimento)».
Come vedete il percorso non è inventato sui due piedi, ma cerca e prova di affondare le sue radici nella tradizione, in quella che con un azzardo potremmo chiamare tradizione mistica. In realtà l’esperienza mistica è descritta dalla Treccani «come la capacità che alcuni individui hanno di cogliere un oggetto o un essere, una realtà misteriosa altra da sé, un contatto con l’oggetto fino a trasfondersi, trasformarsi e identificarsi con esso». Nello Yoga non è esattamente questo: è sì «fuori dal normale esercizio delle facoltà logiche e razionali», ma non c’è «uno stato iniziale di passività radicale di fronte all’altro». Non c’è nessun “altro”: all’inizio del percorso c’è l’esplorazione della propria mente, si scopre il funzionamento dei nostri pensieri. E quando dico all’inizio, intendo all’inizio di ogni giorno. Come direbbe Kabat-Zin è coltivare un rapporto di intimità con la tua stessa vita che sboccia (dal protocollo Mindfulness). Poi con il tempo il momento di questo ragionare, osservare, diventa più breve e ci sei tu nel Tutto.
Il problema dei pensieri in persone che vogliono iniziare un percorso di ricerca interiore non è semplice. Williams e Penman (il primo è un professore, il secondo uno scrittore) dicono che gli impulsi emotivi «insorgono così in fretta che possono trascinarti in una corrente di pensieri prima ancora che tu ti accorga della loro presenza». Ecco perché usiamo i mantra che sono degli strumenti in più da usare per «imparare a notare quando la tua mente comincia a perdersi e a scivolare nell’incoscienza», direbbero Williams e Penman. Ma, sosteneva Kabat-Zinn nel momento in cui «si decide di interrompere di proposito tutte le attività rivolte all’esterno» e ci si apre all’esperienza interiore «è davvero un momento speciale».
Però sappiamo che la via della ricerca è lunga. Sta solo in questa consapevolezza la differenza tra chi inizia oggi e chi ha iniziato tempo fa. Abbiamo solo accorciato di qualche minuto il momento della centratura, abbiamo ridotto i tempi (ma non tutti i giorni). Dobbiamo esplorare ogni giorno. Non c’è niente di acquisito.
Swami Satyananda diceva: «Lo yoga non è magia e ha a che vedere con la coscienza dell’uomo. È esperienza». E non è una via semplice. Swami Shankarananda Giri dice: «La più piccola instabilità mentale può scatenare la violenza dentro di sé e può creare una moltitudine di nemici interiori (oltre che esterni). Lo fa così bene che si diventa nemici di se stessi, violenti verso se stessi, il proprio corpo e la propria vita. Solo instaurando la non-violenza interiore all’interno del primo centro energetico si potrà rinunciare a questi nemici interiori e liberarsi dalla loro morsa». E può non essere semplice in noi immersi in questa giungla che è Milano.
Ricordo il racconto di Niccolò Branca, industriale illuminato e praticante vicino allo yoga e al buddhismo, che da giovane imparò a meditare con un’insegnante e psicologa indonesiana Luh Ketut Suryani. Di solito lei lo portava in luoghi paradisiaci ad apprendere le tecniche di meditazione, ma un giorno, alle 04,30 del mattino, lo fece salire in auto e poi scendere nel cuore del mercato di Bali: «Meditiamo qui», gli disse. «Tu devi essere capace di stare nel “qui e ora”, anche nel centro di Milano». In quella lezione lui capì che è necessario «allargare la consapevolezza perché la vita comprende il tutto. E dopo un po’ ti accorgi che nulla più ti disturba, perché quel “tutto” ti aiuta a stare nel presente».

In India come in Grecia, il vero obiettivo di qualsiasi percorso è conoscere se stessi. Non stiamo andando a caccia di esperienze sensoriali o extrasensoriali. Conoscere se stessi significa conoscere il proprio universo, iniziare dalla base: se conosci bene cosa accade dentro di te, sai anche come interpretare le reazioni durante la pratica e durante la pratica del vivere quotidiano. Non c’è separazione. Non c’è un momento di pratica per poi entrare “in apnea” fino al prossimo momento di pratica. Einstein diceva che «L’idea che ci sia una separazione nell’Universo è un’illusione. Tutto è uno in questo Universo». E non significa che tutto sia coerente. Al contrario, come esiste una biodiversità da conservare, esiste una multiversatilità delle emozioni, colori psichedelici che si accompagnano a quelli pastello; per qualcuno non stanno bene insieme, ma questa è la realtà e possiamo accoglierla e stare bene, oppure contrastarla e creare una nevrosi.
Conoscere se stessi ha come sbocco abbracciare se stessi. Ecco perché nello Yoga è necessario restare in asana a lungo. Come fai a conoscerti senza sapere come reagiscono la mente e il corpo? Come fai a scoprire se corpo e mente vanno in direzioni differenti o si miscelano come la senape e l’olio nella vinaigrette? Per fare la vinaigrette occorre la pazienza di mettere l’olio a filo, altrimenti impazzisce. Se non ci fermiamo ad ascoltare quello che accade, il sistema va in tilt e andiamo a caccia di farfalle, ci immaginiamo di vedere mondi, occhi, volti, di provare emozioni esoteriche eccetera. Lo Yoga che pratico e insegno è sia exoterico, sia esoterico, indaghiamo col corpo, ma poi indaghiamo con la mente e proviamo a lasciare andare e ad andare in un’altra modalità di indagine, l’espansione della coscienza. Non cerchiamo qualcosa che accade fuori di noi, cerchiamo una nuova possibilità di espansione che non è né mentale né fideistica. Che arriva fino all’abbandono tra le braccia dell’Infinito.
• Il 6 novembre in edicola con il Corriere della Sera per la collana sulla Mindflulness, trovate il mio libro «I benefici dello Yoga». In questo volume parlo della mia esperienza e di come sono arrivato alla via dello Yoga, ma anche di come lo Yoga sia entrato nel nostro universo sociale e storico. Poi tratto i benefici evidenziati dalla ricerca medica, dove il concetto di “benessere” non è quello che ci potremmo aspettare. Infine, un capitolo è dedicato al bisogno più grande dell’uomo contemporaneo, cioè la non-violenza, che in sanscrito si dice ahimsa. Per arrivare a coltivare la non-violenza il percorso non è moralistico, ma integrale e passa attraverso una via legata alle pratiche meditative e alla conoscenza di sé. Infine trovate tantissime pratiche, alcune delle quali potrete seguirle con la mia voce grazie a un QRCode.
Se vi interessa, ordinatelo in edicola o online qui.

Il leggendario Yogi immortale è l’essere umano che completa l’evoluzione con la padronanza delle energie interiori e la realizzazione del Sé. E molte scuole tamil sostengono che il Kriya Yoga, reso famoso da Yogananda, abbia radici nel “Siddha Yoga” tamil...
Questo è un po’ il manifesto dello yoga che pratico e che insegno da quasi trent’anni. Lo yoga si occupa della domanda essenziale che abita ogni essere umano. Del mistero del vivere, del mistero dell’essere coscienti. Del “chi” siamo e “come” siamo. La parola “Yoga” indica uno stato, uno stato fondamentale della coscienza. Non è un percorso che conduce da un luogo a un altro, e neppure una ricerca di benessere. È la possibilità di essere consapevoli di essere vivi e di come lo siamo. La possibilità di sentirsi espressione di una realtà indivisa. La pratica di Yoga si fonda sull’Osservazione e sul Cambiamento.
Lavoro con la voce da cinquant’anni. È stata la mia compagna, la mia arma gentile, il mio specchio: la radio, la tv, il canto. Con la voce ho raccontato e ascoltato, ho cercato emozione, ritmo, verità. Ma più la uso, più capisco che la voce non è solo suono: è respiro che si manifesta, corpo che vibra, anima che prende coraggio e decide di farsi sentire. È la forma più diretta di presenza
La speranza di una donna che è scappata dall'orrore e ha cercato un futuro con i suoi figli su un'isola della Grecia. Ma ha lasciato l'amore della sua vita e non vuol sapere che lo rivedrà solo come nuvole nel cielo...
Per invecchiare meglio bisognerebbe leggere più libri sulla biologia e guardare meno pubblicità. Facile a dirsi, un po’ meno a farsi. Perché i condizionamenti sociali sono enormi. Ma a prescindere dallo sviluppo tecnologico che l’umanità ha raggiunto, le domande sulla vita e sulla morte rimangono le stesse. Perché nasciamo, perché moriamo? Ai quesiti esistenziali senza tempo rispondiamo con trapianti e i ritocchi, mentre dovremmo imparare a meditare...
Mahavatar Babaji, il guru di Lahiri Mahashaya che ha portato il Kriya Yoga in tutto il mondo, è il protagonista di un nuovo libro scritto da Jayadev Jaerschky. Che ci spiega chi è quest'essere leggendario che Yogananda descriveva come «simile al Cristo»



