Un giorno il re Varja chiede a un saggio di insegnargli l’arte della iconografia per poter onorare al meglio le divinità. Il saggio gli risponde che avrebbe prima dovuto apprendere l’arte della pittura. Il re è d’accordo, ma gli viene spiegato che senza l’arte della danza, non riuscirà ad apprendere nemmeno i rudimenti della pittura. Il re accetta di imparare a danzare, ma il saggio spiega che senza un profondo senso del ritmo e la conoscenza della musica strumentale, non è possibile ottenere risultati nella danza. Nuovamente il re accetta di imparare tutte queste materie, ma a questo punto il saggio gli spiega che non è possibile progredire nella musica strumentale senza prima apprendere l’arte del canto. È così che il re comincia a studiare tutte queste materie per poter imparare l’iconografia.
Questa storia tratta dal Viṣṇudharmottara Purāṇa, spiega molto bene l’interazione delle arti e soprattutto il peso della musica con il canto che svetta come strumento per eccellenza nella cultura indiana. In Occidente quando si parla di musica indiana si pensa in realtà subito alla musica Hindustānī (anche chiamata Indostana), ovvero al sistema musicale classico originario del Nord India diffusosi in Occidente grazie agli scambi artistici e agli interessi di alcuni musicisti, come i Beatles per esempio. Dunque quando si parla di musica indiana si pensa subito a Sitar e Tabla, che sono rispettivamente lo strumento a corde e le percussioni più note dell’India, ma che appartengono appunto alla tradizione del Nord India.
La musica di tutto il Subcontinente indiano era anticamente in effetti piuttosto simile, ma nel corso della storia è andata distinguendosi in due filoni: la musica Hindustānī nel Nord e la musica così chiamata Carnatica (o Karnatika) nel Sud che è rimasta pressoché invariata nei secoli ed è proprio di quest’ultima cercheremo di dare una breve presentazione.
Il canto e la musica Carnatica, quindi, sono l’articolato sistema musicale definito “classico” del Sud India, che ha delle caratteristiche ben precise: intanto, come nel sistema musicale del Nord, ma anche nella danza, nello yoga e nelle arti indiane in generale, l’apprendimento avviene per trasmissione diretta da maestro ad allievo (guru-śiṣya-paramparā). La musica non è scritta e si tramanda oralmente con molti anni di apprendimento per poter possedere solide basi.
Caratteristica di tutta la musica indiana, è l’utilizzo del sistema dei rāga, termine che deriva dalla radice sanscrita rañj, che significa tingere, essere colorato, arrossire, illuminare, passione. Tecnicamente si tratta dell’intersezione di una scala ascendente, ārohaṇa, e di una discendente, avarohaṇa, che presenta dunque un particolare carattere, che porta a un’emozione specifica, che rispecchia e dev’essere suonato durante una particolare stagione dell’anno o in un particolare momento della giornata.
Questi rāga sono composti dalle saptasvara, le sette note base. A queste se ne aggiungono altre derivate dagli śruti, ovvero i micro intervalli o quarti di tono, la cui combinazione va a formare le varie scale, distinguendo così fino a un numero di ventidue śruti.
Oggi in realtà si utilizzano solo 16 note con alcune che si sovrappongono, secondo questo schema (si usano le lettere capitali per indicare le note musicali: SA, RE, GA, MA, PA, DA, NI, ndr):
G1 D3
S R1 R2 G2 M1 M2 P D1 D2 N2 N3 S
G3 N1
Ma il termine śruti, indica anche un altro elemento caratteristico della musica indiana: l’intonazione basata sulla nota fondamentale, che determina l’ottava di partenza e che viene costantemente riprodotta attraverso il suono della tampūrā, ovvero quello strumento con sole quattro corde che forma una sorta di bordone che sottostà a tutta l’esecuzione del rāga, per restare nella intonazione prescelta.
Altra importante caratteristica che specifica immediatamente la musica indiana Carnatica, è l’utilizzo dei gamaka, gli abbellimenti melodici che si usano nei passaggi tra una nota e l’altra. Quello che nella musica occidentale è un ornamento, un elemento facoltativo, nella Carnatica è fondamentale, essenziale, è ciò che caratterizza un rāga.
Infine, tra le caratteristiche principali della musica Carnatica vi è l’elemento ritmico: si dice che in questa musica «śrutir mātā layaḥ pitā» ovvero l’intonazione (la melodia) è la madre, mentre il ritmo o il tempo (laya) è il padre. I due elementi non sono separabili, perciò il sistema ritmico si studia accompagnando la voce con i movimenti dei gesti per la misurazione del tempo. Il canto carnatico è un universo estremamente complesso che, per poter essere compreso o apprezzato, richiede anni di ascolto e studio.


Krishna è chiaro: non è possibile non agire, a meno di non essere morti. Perché è nell’azione che l’essere umano esprime il proprio amore. L’azione è parte integrante della vita. Ma Krishna non parla solo di azione fisica, cioè di come muoviamo il corpo, bensì soprattutto di azione “sottile”, ovvero del movimento interiore, mentale, emozionale — che, secondo la visione vedica, è ancora materia, e non è l’anima...

...ma noi qui vi spieghiamo tutto quello che è necessario sapere per scoprire come nei Veda il calcolo del tempo sia uno dei temi di sfondo, con incredibili interconnessioni ai principali significati filosofici. Nel «Bhagavatam» si sostiene che sia possibile calcolare il tempo misurando il movimento degli atomi che si combinano nel corpo; il tempo atomico si misura calcolando lo spazio atomico preciso che esso ricopre...

In molti casi, la religione è più il simbolo visibile di un conflitto che la sua vera causa. ma è arrivato il momento di affrontare i conflitti religiosi e promuovere la pace attraverso il dialogo interreligioso. Come hanno discusso alla Conferenza Mondiale per il Dialogo e la Cooperazione Religiosa...

Il 6 luglio il massimo esponente buddhista spegne 90 candeline e svela il futuro della sua istituzione. Che è sempre più minacciata dal tentativo cinese di controllarne l'elezione. Un momento di grande apprensione perché potremmo ritrovarci con due Dalai Lama...

Da cento anni lo yoga moderno non ha fatto altro che ubriacarci di posture, abilità fisiche e contorsioni, spogliando la disciplina dalle sue radici spirituali e filosofiche. Sempre più insegnanti, pagine social e siti, promuovono uno yoga più legato ai testi antichi. Uno yoga che ritorna alle origini e insegna a ricercare l’immobilità in āsana, per raggiungere gli scopi più elevati. Tuttavia non bisogna mai “buttare il bambino insieme all’acqua sporca”...

Molto spesso iniziamo un percorso spirituale per acquisire qualcosa: per diventare più buoni, più calmi, diversi da quell'immagine di noi che stride con le nostre illusioni. E se invece fosse necessario guardare da un'altra angolazione? Una meditazione per cambiare davvero...