Il titolo del libro Esperimento con l’India di Giorgio Manganelli (Piccola Biblioteca Adelphi) mi ha immediatamente ricordato il testo scritto dal Mahatma Gandhi, Esperimenti con la verità. Considerando l’intelligenza di Manganelli, credo che questa scelta non sia stata affatto casuale.
Il testo inizia con un sarcastico scetticismo: nelle prime pagine, l’autore si mette in volo per l’India con tutte le reticenze di un uomo occidentale che non vuole farsi abbindolare dal Paese dei santoni. Tuttavia, è sorprendente come, man mano che il viaggio si sviluppa, Manganelli venga progressivamente inglobato dalla visione di un mondo affascinante proprio perché inesplicabile. «Io vengo da un continente dove da tempo di Assoluto non se ne produce più, e dove esiste un riso secco e tormentoso che forse ha definitivamente disegnato i nostri volti».
E proprio i concetti di “assoluto”, ma soprattutto quello di “fede”, che secondo Manganelli non sono propriamente comprensibili per un occidentale, emergono come sorprendenti e meritevoli di rispetto poiché vanno oltre la nostra immaginazione, che rimane limitata al confronto. Le descrizioni di luoghi a me cari, come Madras o Madurai, sono molto belle proprio grazie a questa capacità dell’autore di porsi delle domande invece di fornire semplici risposte.
Manganelli scrive: “La sensazione che provocano le casupole infime, sudice, infette, barcollanti tra rigagnoli e immondizie, è stranamente liberatrice: non c’è alcun tentativo di velare, di nascondere, di eludere la fondamentale sporcizia dell’esistere, la sua qualità escrementizia e torbida”.
In sintesi, il viaggio di Manganelli in India si rivela un’esplorazione profonda che trasforma il suo iniziale scetticismo in un’apertura e rispetto verso l’inspiegabile e il misterioso, mostrando che l’India, non nasconde nulla ma semplicemente esiste, come la verità di cui ci parlava anche Gandhi.
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