Ed ecco il tempo di Vasata, il dio Primavera, che arrivando in coppia con il dio Kāma, desiderio, e porta turbamento nelle menti degli asceti assorti in meditazione, oppure per portare Amore e Passione tra gli innamorati. Kālidāsa nel suo poema d’amore, il Kumārasambhava, descrive l’innamoramento tra Śiva e Pārvatī, l’incontro con Kāma e il dialogo tra eros e ascesi come necessari ai fini della liberazione. Nello scenario del sublime Himalaya, scintillante di nevi e al tempo stesso antropomorfo sovrano dei monti, si svolge la vicenda di sua figlia, la stupenda Pārvatī, e dell’inquietante dio Śiva. Come spesso accade nei miti indiani, un demone – Taraka in questo caso – si è impadronito dell’universo e ne fa scempio; nessuno degli dèi lo può debellare, ma il creatore Brahma sancisce che un dio non ancora esistente, figlio di Śiva e Pārvatī, lo potrà vincere. Il suo nome sarà Kumāra e il poema della sua origine è Kumārasambhava (in sanscrito).
La bellissima storia d’amore dei suoi divini genitori, sprigiona una grande densità di significati destinati a dilatarsi. Come molte “fiabe”, esordisce con la descrizione del reame ricco e felice dove nasce e cresce la protagonista Pārvatī: quello di suo padre Himalaya, re supremo dei monti, di cui è offerta nell’incipit la straordinaria descrizione; mentre dell’eroina si narrano in breve il concepimento, la nascita accompagnata da fausti segni, l’infanzia e l’adolescenza felici fino a descriverne la forma stupenda all’età di sedici anni, ritenuta nell’India antica quella della perfezione fisica sia per la donna sia per l’uomo. E questa descrizione completa di Pārvatī è la prima così estesa di una beltà femminile dell’intera letteratura indiana, rappresentando il prototipo di un’espressione letteraria destinata a grande successo anche come forma autonoma.
Il canto iniziale si chiude con una breve descrizione di Śiva immerso nell’ascesi come rifugio dal dolore lacerante del suo lutto per la tragica morte della prima sposa, di cui Pārvatī è la reincarnazione; adolescente ingenua e già innamorata, ma istruita dal padre, la meravigliosa fanciulla gli si affaccenda intorno per compiacerlo e attirarlo. Il Dio la lascia fare. La descrizione di Śiva in meditazione di Kālidāsa, è squisitamente poetica e descrive come non sia turbato dall’arrivo delle passioni trasportate da Vasata, la Primavera è Kāma, il desiderio.
«Gli alberi immobili, le api nere in silenzio,
muti gli uccelli, aquietato il girovagare degli animali selvatici,
al suo comando la foresta intera si fermò,
come se ogni attività fosse dipinta su un quadro.Per la cessazione dei flussi che si muovono dentro al corpo,
era come una nuvola senza l’impeto della pioggia,
come un bacino d’acqua senza onde,
come un lume che non vacilla per l’assenza di vento.Con i movimenti attraverso le nove porte raffrenati,
dirigendo verso il cuore il pensiero sottomesso nella meditazione profonda, contemplava in sé stesso quel Sé».(Kumārasambhava canto III.42.48.50)
Kalidasa (IV-V sec. d.C.), l’autore del poema, con questo pone subito i due poli della figura del dio supremo che appare dividersi fra l’ascesi e l’eros, o meglio integrarli in se stesso, contrassegni della sua complessità fra i quali non esiste mediazione. La polarizzazione particolare ascesi-eros si riverbera anche sulla figura della fanciulla divina e sull’intero poema, anche se l’amore è destinato qui a prevalere definitivamente pure per evidenti ragioni di plot. Come sempre accade nelle opere indiane classiche di più alto valore poetico e di coerenza interna meglio evidente, sono così poste le strutture significanti fondamentali dell’opera, che coincidono in questo caso con quelle dell’intera civiltà indiana; essa sembra infatti alimentarsi incessantemente del distacco e del desiderio posti in una condizione non tanto contraddittoria quanto speculare.
E così, a vincere la refrattarietà di Śiva all’amore è chiamato il Cupido indiano, Kāma, che come il suo collega occidentale opera con arco e frecce; male però gliene incoglie: disturbato nella sua meditazione profonda, in un impulso irrefrenabile di collera il Grande Asceta incenerisce con l’energia sprigionata dal suo terzo occhio l’incosciente arciere. A conquistare Śiva non è dunque il dardo del dio dell’amore, sarà invece l’intelligente Pārvatī, che lo attrae gareggiando con lui in un’ascesi implacabile. Lo sposalizio trionfale nella capitale del regno, fantasmagorica e festante, e una notte d’amore senza fine coronano la storia di una delle coppie più amate della religione hindu e dell’immaginario mondiale, capace di meravigliare i lettori di ogni epoca.
Composta secondo i principi raffinati della letteratura indiana classica, costruita in maniera magistrale nella scansione degli episodi e dei sentimenti, la Storia di Śiva e Pārvati si può leggere anche come un’introduzione poetica ai grandi temi della relazione fra ascesi ed erotismo e della visione tantrica della sessualità.

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Questo è un po’ il manifesto dello yoga che pratico e che insegno da quasi trent’anni. Lo yoga si occupa della domanda essenziale che abita ogni essere umano. Del mistero del vivere, del mistero dell’essere coscienti. Del “chi” siamo e “come” siamo. La parola “Yoga” indica uno stato, uno stato fondamentale della coscienza. Non è un percorso che conduce da un luogo a un altro, e neppure una ricerca di benessere. È la possibilità di essere consapevoli di essere vivi e di come lo siamo. La possibilità di sentirsi espressione di una realtà indivisa. La pratica di Yoga si fonda sull’Osservazione e sul Cambiamento.
Lavoro con la voce da cinquant’anni. È stata la mia compagna, la mia arma gentile, il mio specchio: la radio, la tv, il canto. Con la voce ho raccontato e ascoltato, ho cercato emozione, ritmo, verità. Ma più la uso, più capisco che la voce non è solo suono: è respiro che si manifesta, corpo che vibra, anima che prende coraggio e decide di farsi sentire. È la forma più diretta di presenza
La speranza di una donna che è scappata dall'orrore e ha cercato un futuro con i suoi figli su un'isola della Grecia. Ma ha lasciato l'amore della sua vita e non vuol sapere che lo rivedrà solo come nuvole nel cielo...
Per invecchiare meglio bisognerebbe leggere più libri sulla biologia e guardare meno pubblicità. Facile a dirsi, un po’ meno a farsi. Perché i condizionamenti sociali sono enormi. Ma a prescindere dallo sviluppo tecnologico che l’umanità ha raggiunto, le domande sulla vita e sulla morte rimangono le stesse. Perché nasciamo, perché moriamo? Ai quesiti esistenziali senza tempo rispondiamo con trapianti e i ritocchi, mentre dovremmo imparare a meditare...
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