Nelle mie lezioni insisto nel chiedere di tenere chiusi gli occhi. Secondo me è un passaggio molto importante nella pratica. Significa che vogliamo togliere il controllo sul giudizio su di noi e sul mondo che ci circonda.
Accade – o è accaduto – a tutti che mentre si pratica si lanci un occhio alla posizione che assumiamo. Talvolta apriamo gli occhi per registrare la differenza tra l’immaginazione del nostro asana e quello reale e talvolta si guarda con ammirazione mista a invidia al vicino che è più agile. O con soddisfazione se il vicino è più legato di noi; ma dentro non usiamo la parola “legato”, pensiamo: “è più scarso di me”. Se vi accade o v è accaduto, non vi preoccupate, siete normali.
Però questo – insisto – ci fa capire ancora di più che tenere gli occhi chiusi è necessario per una pratica ben orientata.
L’orientamento della pratica è tra i punti centrali per un praticante di yoga. L’intenzione. Il maestro Antonio Nuzzo ripete continuamente: “L’intenzione colora l’azione”. È diventato il suo manifesto programmatico. Questo slogan è nato durante la nostra formazione, anni fa.
Orientamento e intenzione sono entrambi dei gesti mentali, è un modo per spogliarsi degli abiti che normalmente usiamo durante il giorno. Non è un caso che ci cambiamo d’abito quando arriviamo al nostro centro yoga, è simbolico, ci spogliamo degli abiti con cui viviamo la nostra quotidiana guerra per indossare un’intenzione nuova, abbandonare qualcosa, rilassarci, metterci comodi.
La vista è collegata a Manipura, il nostro centro. Sui muri dell’Ashram dei Beatles, del Maharishi, a Rishikesh, sono nati diversi murales a uso dei turisti che pagano per vedere case ormai diroccate e ritrovarsi: “Open your eyes, for this world is only a dream“, una frase di Rumi, poeta e mistico persiano del XIII secolo, apri i tuoi occhi, perché il mondo è solo un sogno.

I Depeche Mode cantano in World in my eyes:
“Lascia che ti mostri il mondo nei miei occhi”.
Perché chiudere gli occhi, allora?
Negli occhi ci sono i sogni, ci sono i mondi, il nostro e quello degli altri.
Due persone si guardano negli occhi e si innamorano senza saperlo. Noi ci specchiamo negli occhi degli altri, vediamo nell’occhio dell’altro quello che vogliamo vedere, quello che sogniamo.
Questo mondo è un sogno e i nostri sogni sono nei nostri occhi. Le nostre illusioni sono nei nostri occhi, nel nostro sguardo. La vista è un senso sopravvalutato. Se vi faccio vedere la foto di Hitler bambino non potrete non provare tenerezza. È la copertina di una famosa biografia scritta da un autore ebreo che fece scandalo, Il mistero Hitler di Ron Rosenbaum. Ora hanno cambiato la cover. Lo sguardo è dentro il sogno della vita.
Ma non solo. Dopo Yama, Niyama, Asana e Pranayama, il quinto braccio dello Yoga è Pratyahara, cioè il distogliere l’attenzione verso l’esterno per dirigerla dentro di noi. Come facciamo a dirigerla dentro se guardiamo fuori? I maestri consigliano di restare con gli occhi chiusi anche quando passiamo da Savasana, la posizione del cadavere, sdraiata, a quella seduta. Altrimenti la vista ci riporta nuovamente fuori di noi.
Chiudere gli occhi significa mettere una distanza tra noi e il resto del mondo e della giornata, è come indossare la tuta quando siamo a lezione. Lasciare fuori preoccupazioni, pensieri, ossessioni, per dedicarsi all’osservazione di sé. È il gesto interno dello stesso Savasana, è una delle tre condizioni di realizzazione dello Yoga, l’ardore, la conoscenza di sé e l’abbandono totale e fiducioso a quel Quid che sta dentro di noi e che non può tradirci.
Chi ci tradisce è lo sguardo di cui tanto ci fidiamo. Lo sguardo che sfida il mondo… E poi fatichiamo a tenere gli occhi chiusi, vogliamo vedere, possedere, una delle afflizioni dell’uomo (abhinivesa), il voler trattenere, possedere la vita stessa.
Con gli occhi chiusi e senza l’aiuto di un riferimento, siamo persi perché ci fidiamo solo di ciò che vediamo, esattamente come è narrato in quella figurazione del nostro stato di incredulità – direi di sana incredulità – e soprattutto di umanità: se vedo, credo.
Eppure esistono le visioni e le visioni sono l’esperienza meno certa che esista: chi vede cosa? Le visioni sono create dalla mente? E se dite di aver visto un Ufo, chi vi crederà? O un fantasma? Perché la vista ci inganna. Alla vista altrui non crediamo mai: “Ti stai sbagliando chi hai visto non è, non è Francesca”, cantava Lucio Battisti.
Non possiamo essere certi di ciò che vediamo nemmeno quando lo vediamo. Ecco perché il buio davanti ai nostri occhi ci destabilizza. Eppure è lì, al centro tra le sopracciglia che possiamo trovare l’unica esperienza reale: un nulla apparente, una visione non-visione che ci consente di guardarci dentro. Al di là dei sogni e delle apparenze.


Per la Cultura Vedica indiana, l’universo materiale viene manifestato eternamente dalla potenza interna del Signore, dove una parte del suo aspetto impersonale, il Tutto Assoluto chiamato Brahman, viene ricoperto da Maya, l’illusione cosmica...

In questo momento sembra che l’invisibilità sia diventata una condanna. I giovani dai social media e dalla società dei riflettori, sentono il bisogno di essere visibili per sentirsi importanti. Ma per inseguire il riconoscimento e il successo immediato, si rischia di perdere se stessi. Ma la nostra grandezza è determinata dalla qualità delle nostre azioni e delle nostre creazioni...

Il Sacro Catino è custodito nel Museo del Tesoro della Cattedrale di San Lorenzo e si contende il “titolo” con il Santo Cáliz di Valencia. Le leggende sono tante e quelle letterarie e filmiche anche di più e questo testimonia il bisogno del sacro insito nell'uomo. Al punto che alcuni pensano che la reliquia sia l’idea che esista qualcosa che valga la pena cercare. Anche se non si troverà mai

...e quest’arte comprende la capacità di non considerare nostri i frutti dell’azione. Se agiamo in questa consapevolezza siamo sempre in equilibrio, sempre in pace, e le nostre azioni non generano più legami e successive reazioni, né buone né cattive. Quello che importa è che siano azioni in linea con il dharma

No, non si può conquistare come la padronanza del respiro o una certa attitudine a un asana. E non possiamo comprarla come provò Elvis Presley. È un dono quindi è gratis. Ma possiamo metterci nelle condizioni di riceverla con quattro atteggiamenti: studiare i testi della tradizione senza disperdersi, praticare con costanza, vivere la gratitudine, non avere strategia

La Pace non consiste in una vita priva di battaglie. Senza sfide non si cresce, senza intralci, non ci sono cambiamenti di direzione. Dove va tutto bene, dove regna la bonaccia, la vita, prima o poi, ristagna. Ogni ostacolo è un nodo da sciogliere, è un bivio che nutre. E non ha nulla a che vedere col pacifismo: è una qualità della nostra essenza che può divenire un terremoto che sconvolge chi incontra colui che la manifesta...