C’è un fattore metodologico importante che differenzia l’approccio occidentale da quello tradizionale dello Yoga. È un fattore che fa la differenza. Lo Yoga non si è perso in America e in Europa negli ultimi 20 anni: lo Yoga si è perso in India più di 120 anni fa quando ha iniziato a diventare un metodo utilitaristico per il corpo. Questo ha fatto sì che gli 8 anga dello Yoga di Patanjali (yama, niyama, asana, pranayama, pratiahara, dharana, dhyana e samadhi) diventassero solo 3: asana pranayama, e meditazione. Dei primi due, Yama e Nyama, solo un accenno: «Fate i bravi se potete». Quindi l’approccio di qualsiasi occidentale che conosca quel tipo di Yoga e non sia entrato in contatto con una scuola della Tradizione, è fisico: asana fino a spaccarsi, cinque minuti di respiro per riprendere fiato e diritti verso una meditazione di pochi minuti che dovrebbe dare la medaglia di autenticità al tutto.
Cosa succede nelle scuole della Tradizione? Vi dico cosa accade in quella di Swami Satyananda Saraswati, cioè la mia tradizione. Satyananda stesso, è scritto nella sua biografia, non ha mai fatto asana nell’ashram del suo maestro, Swami Sivananda: faceva karma yoga. Un grande maestro in India, disse ad Antonio Nuzzo (il mio maestro di riferimento e di Formazione) che gli asana erano “pericolosi” per l’ego.
• L’ego è quella cosa che ci fa dire quando facciamo 2 saluti al Sole, «Però che bravo che sono…».
• L’ego è quella cosa che ci illude che due saluti al Sole la mattina siano una sadhana (una pratica, ndr) che ci porta lontani.
• L’ego è quella cosa che ci illude che la via sia quella fino a quando qualcosa di fisico ci impedisce di fare i saluti al Sole e allora abbandoniamo lo Yoga e ci diamo, chessò, al Tango…
Nella scuola di una grande tradizione l’inizio di tutto sono Yama e Niyama, cioè i dieci fari dello Yoga: non violenza, verità, onestà, aderire al disegno del creato, non possessività, pulizia, contentezza, ascesi, studio di sé e abbandono al Signore. Dopo che si è entrati in questo ordine di idee, arrivano gli asana, pranayama, per arrivare al pratiahara e preparare il terreno per il «samyama», e cioè concentrazione, meditazione ed espansione totale della consapevolezza, il samadhi.vQualcuno può pensare: ma questa è una via religiosa! Non è una via religiosa, ma sicuramente è una via spirituale. Quello che vuole indurre, cioè, è un cambio consapevole di mentalità. Non si tratta di diventare dei fondamentalisti, degli asceti o dei bacchettoni dello Yoga. Al contrario si tratta di provare a portare la consapevolezza di sé in ogni gesto della nostra vita. Ecco perché in una scuola tradizionale come quella di Satyananda, che non dà indicazioni religiose anche se è inserita nel tessuto religioso indiano, i 10 principi dello Yoga sono così importanti.
Al punto che Swami Niranjanananda, erede di Satyananda, ha dato vita a quello che ha chiamato «il secondo capitolo dello Yoga», lo stile di vita yogico, «risvegliare e integrare le facoltà di testa, cuore e mani». Tutto il sistema degli anga, quindi dagli Yama in su, sono i mezzi per arrivare a questo. Ed ecco l’insegnamento che mi è stato dato da Nuzzo, quello di portare Yama e Niyama sul tappetino come training per farli entrare nella vita. Il tappetino da solo non basta, questo l’ho visto molto chiaramente in tante persone, ed ecco perché l’aspetto più importante è quello del pranayama e del pranavidya, dei mantra, dell’espansione di coscienza e di consapevolezza. Ecco perché è necessario sedersi, recitare i mantra la mattina, il proprio mantra due volte al giorno, la centratura, non per obbedire a un dogma, ma perché quello è il momento in cui si nutre lo stile di vita yogico, perché quelle vibrazioni rimangono dentro e accendono un faro sulla nostra consapevolezza. Dice Swami Niranjan che «il secondo capitolo è una nuova visione dello Yoga, non come pratica, ma come vidya, una saggezza che va compresa, assimilata ed espressa nella vita». Questa nuova visione è iniziata 12 anni fa al convegno mondiale dello Yoga a Munger, quartier generale della tradizione che seguo, per celebrare i 50 anni da quando Swami Sivananda disse al suo discepolo Satyananda: «Vai e porta lo yoga da sponda a sponda».
I tempi stanno cambiando, come cantava Bob Dylan, e si è capito che l’evoluzione della personalità non avviene con i Saluti al sole, ma quando si allena la saggezza. Saggezza è armonia, rilassatezza, niente sensi di colpa, avere il sorriso dentro. Dato che noi non viviamo in ashram, alleniamo queste qualità negli asana e questo allenamento, non l’asana in sé, porta il cambiamento nella propria vita. Dice ancora Niranjan: «Alla fine lo Yoga è uno stile di vita, non è una pratica. Perché una volta che i principi yogici sono assimilati e diventano parte della vita, gli atteggiamenti, le percezioni, le interazioni, la mente, le azioni e i comportamenti migliorano».


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