La Bhagavad-Gita trasmette un messaggio universale, adatto a tutti, senza distinzione di credo o cultura», scrive Tiziano Valentinuzzi in questa prima puntata di «My Sweet Krishna – Saggezza antica per la vita moderna». Sì, perché questo libro immortale che ha ispirato intellettuali di ogni credo e provenienza ha una chiave di lettura che riguarda tutti noi. Seguiteci e lo scoprirete anche voi
Suonano tumultuose le conchiglie dei guerrieri più potenti al mondo, insieme ai corni e ai tamburi, mentre gli zoccoli dei cavalli alzano una polvere densissima. Il boato di tutte queste conchiglie diventa assordante, e riverberando nel cielo e sulla terra lacera il cuore dei figli di Dhritarashtra (1.19). [I numeri tra parentesi tonda indicano il capitolo e dopo il punto il verso del testo originale, e quando li vedi si sta riportando il testo originale].
Dhritarashtra è un re cieco, in tutti i sensi, e guida il regno di Hastinapur, il più potente di quell’epoca; ha permesso a suo figlio Duryodhana ogni tipo di nefandezza nei confronti dei cugini, i cinque Pandava, figli di suo fratello Pandu. Duryodhana pretende di essere l’erede al trono che invece è di diritto del maggiore dei cinque fratelli Pandava, che hanno cercato di evitare questo scontro fratricida in tutti i modi, ma a causa della testardaggine, dell’arroganza e della malvagità di Duryodhana (e anche della cecità del padre Dhritarashtra) non c’è altra soluzione.
Arjuna disse:
O infallibile, Ti prego, conduci il mio carro tra i due eserciti affinché possa vedere chi desidera combattere e chi dovrò affrontare in questa grande prova d’armi». (1.21-22).
Arjuna è il terzo dei cinque Pandava (figli di Pandu) e l’infallibile è Krishna, Dio, la Persona Suprema, cugino di Arjuna e cocchiere del suo carro da guerra: sono i protagonisti della Bhagavad-Gita, letteralmente Il Canto del Beato.
Inizia così la Bhagavad-Gita, il testo fondamentale dello Yoga, in cui è Dio stesso, Krishna, a raccontare l’universo: com’è fatto, perché e come può diventare una trappola e qual è il segreto della felicità e della pace. Non è richiesto di abbracciare una religione, di diventare credente se non lo sei, o di cambiare credo: non serve. La Bhagavad-Gita trasmette un messaggio universale, adatto a tutti, senza distinzione di credo o cultura.
Mi piace pensare a questo testo come al «manuale d’istruzioni della vita»: ho imparato tra le sue pagine come funziona il mondo, come funzionano il mio corpo e la mia mente, e specialmente che senso ha tutto quello che mi succede. Ma com’è possibile che un messaggio di pace e felicità venga trasmesso proprio durante una guerra fratricida? La vita è fatta di battaglie quotidiane che, come scopriremo nella Bhagavad-Gita, combattiamo contro noi stessi, anche senza saperlo.
Bene, sembra tutto pronto, bello e fatto: Arjuna è l’eroe buono e giusto che sta dalla parte di Dio, Krishna, quindi la vittoria è assicurata, eppure… Arjuna può scorgere tra le fila dei due eserciti i suoi padri, nonni, maestri, zii materni, fratelli, figli, nipoti e amici, e anche i suoceri e i benefattori (1.26). Nel vedere coloro ai quali è legato da diversi gradi di amicizia o parentela, il figlio di Kunti è colto da una grande compassione e si rivolge al Signore. (1.27). Arjuna è un grande guerriero, protettore dei deboli e degli innocenti, forte e possente, un omone pieno di muscoli, il migliore arciere al mondo, eppure ha un cuore buono e semplice.
Accade generalmente che più si è capaci in qualcosa e più si diventa orgogliosi, arroganti e irriverenti, come Duryodhana, ma questo non vale per il vero yogi (si legge «yoghi»), cioè per chi pratica lo yoga. Lo yoga non è, come molti pensano, solo una ginnastica posturale per stare meglio. È un vero e proprio stile di vita, un sentiero di liberazione dalla sofferenza per raggiungere la vera pace.
Arjuna non sta per niente in pace però, anzi, in mezzo a quel campo di battaglia va in totale confusione. Sanjaya, colui che racconta cosa succede nel campo di battaglia a Dhritarashtra, descrive così il suo stato:
Dopo aver così parlato, Arjuna posa l’arco e le frecce e si siede sul carro, con la sua mente oppressa dal dolore (1.46).
Arjuna prova compassione, non ha nessun interesse personale e non vuole infliggere sofferenza per godere di un regno, anche se è quello ingiustamente usurpato a suo fratello maggiore dal malvagio Duryodhana. Preferisce piuttosto ritirarsi e lasciar perdere, andare nella foresta come un mendicante. Beh, in effetti anche io la penso come Arjuna, e tu? Ma, invece, Krishna, fra poco, lo rimprovererà parecchio, dicendogli anche che è un egoista!

Foto di Bishnu Sarangi da Pixabay.
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Questo è un po’ il manifesto dello yoga che pratico e che insegno da quasi trent’anni. Lo yoga si occupa della domanda essenziale che abita ogni essere umano. Del mistero del vivere, del mistero dell’essere coscienti. Del “chi” siamo e “come” siamo. La parola “Yoga” indica uno stato, uno stato fondamentale della coscienza. Non è un percorso che conduce da un luogo a un altro, e neppure una ricerca di benessere. È la possibilità di essere consapevoli di essere vivi e di come lo siamo. La possibilità di sentirsi espressione di una realtà indivisa. La pratica di Yoga si fonda sull’Osservazione e sul Cambiamento.
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