La musica ha sempre fatto parte della mia vita. L’ho vissuta in prima persona attraverso la radio, la TV e la produzione discografica, osservando da vicino il suo potere di connettere le persone, di emozionarle, di lasciare un segno. Ho visto canzoni nascere, trasformarsi, raggiungere chi ne aveva bisogno. Ho ascoltato voci raccontare storie, strumenti intrecciarsi in armonie capaci di attraversare il tempo. Più di ogni altra cosa, ho compreso che la musica è un dono. Non solo per chi la crea, ma per chiunque la riceva. È un dono che arriva senza chiedere nulla in cambio, che si insinua nei momenti più inaspettati e che, spesso, cambia la vita. Alcuni artisti ne sono consapevoli al punto da trasformare il loro successo in un atto di generosità concreta, dimostrando che la musica può fare del bene non solo all’anima, ma anche nel mondo reale.
La musica dona emozioni. Ognuno ha almeno una canzone che ha segnato un momento importante della propria vita. Un brano che ha dato conforto nei momenti difficili, che ha esaltato un attimo di felicità, che ha accompagnato un viaggio o ha riportato alla mente un ricordo lontano. La musica ha il potere di parlare direttamente all’anima, di farci sentire compresi anche quando nessuna parola sembra bastare. È un linguaggio universale che non ha bisogno di traduzioni, e proprio per questo riesce a raggiungere chiunque.
La musica come atto di generosità. La generosità non si esprime solo nel donare beni materiali, ma anche nel condividere qualcosa di profondo. Gli artisti lo sanno bene: ogni volta che scrivono, cantano o suonano, offrono una parte di sé al mondo. Alcuni lo fanno in modo ancora più concreto, trasformando il successo in uno strumento di aiuto per chi ne ha bisogno.

Ci sono stati casi emblematici di artisti che hanno usato la loro fama per fare del bene. David Gilmour, per esempio, ha donato milioni di sterline in beneficenza, compresi i proventi della vendita di Comfortably Numb, affermando di non aver bisogno di tutto quel lusso quando c’era chi non aveva neppure un tetto sulla testa. George Harrison, con il Concert for Bangladesh, ha aperto la strada ai grandi eventi di beneficenza, ispirando in seguito il Live Aid di Bob Geldof, che ha raccolto fondi per combattere la carestia in Etiopia. Elton John ha dedicato una parte significativa della sua vita alla lotta contro l’AIDS, fondando un’organizzazione che ha salvato migliaia di vite. Ma la generosità nella musica non è solo quella eclatante delle grandi donazioni. È anche quella di chi si esibisce per beneficenza, di chi usa la propria arte per sensibilizzare, di chi regala la propria voce a chi non ne ha.
Un dono senza tempo. La musica è un dono che non si esaurisce mai. Una canzone scritta anni, decenni, perfino secoli fa, può ancora emozionare, ispirare, cambiare la giornata di qualcuno. Questo la rende unica rispetto a tante altre forme di dono: non si consuma, non si esaurisce, non smette mai di esistere. Anche un busker, un artista di strada, offre la sua musica alla gente, sperando che, se Dio vuole, qualcuno lo ripaghi con una monetina. Perché la musica è questo: un gesto spontaneo, un dono che può essere piccolo o grande, ma che porta sempre con sé qualcosa di prezioso.
Stefano proprio ieri, vicini al Duomo mi ha suonato un brano dei King Crimson I talk to the wind senza che glielo chiedessi espressamente. Aveva gli occhi lucidi e si percepiva un grande trasporto. È stato per me un dono inatteso ascoltarlo a occhi chiusi. “Credere nella musica” è accettare il dono che sempre ci offre e che alla musica dobbiamo riconoscere.
Il leggendario Yogi immortale è l’essere umano che completa l’evoluzione con la padronanza delle energie interiori e la realizzazione del Sé. E molte scuole tamil sostengono che il Kriya Yoga, reso famoso da Yogananda, abbia radici nel “Siddha Yoga” tamil...
Questo è un po’ il manifesto dello yoga che pratico e che insegno da quasi trent’anni. Lo yoga si occupa della domanda essenziale che abita ogni essere umano. Del mistero del vivere, del mistero dell’essere coscienti. Del “chi” siamo e “come” siamo. La parola “Yoga” indica uno stato, uno stato fondamentale della coscienza. Non è un percorso che conduce da un luogo a un altro, e neppure una ricerca di benessere. È la possibilità di essere consapevoli di essere vivi e di come lo siamo. La possibilità di sentirsi espressione di una realtà indivisa. La pratica di Yoga si fonda sull’Osservazione e sul Cambiamento.
Lavoro con la voce da cinquant’anni. È stata la mia compagna, la mia arma gentile, il mio specchio: la radio, la tv, il canto. Con la voce ho raccontato e ascoltato, ho cercato emozione, ritmo, verità. Ma più la uso, più capisco che la voce non è solo suono: è respiro che si manifesta, corpo che vibra, anima che prende coraggio e decide di farsi sentire. È la forma più diretta di presenza
La speranza di una donna che è scappata dall'orrore e ha cercato un futuro con i suoi figli su un'isola della Grecia. Ma ha lasciato l'amore della sua vita e non vuol sapere che lo rivedrà solo come nuvole nel cielo...
Per invecchiare meglio bisognerebbe leggere più libri sulla biologia e guardare meno pubblicità. Facile a dirsi, un po’ meno a farsi. Perché i condizionamenti sociali sono enormi. Ma a prescindere dallo sviluppo tecnologico che l’umanità ha raggiunto, le domande sulla vita e sulla morte rimangono le stesse. Perché nasciamo, perché moriamo? Ai quesiti esistenziali senza tempo rispondiamo con trapianti e i ritocchi, mentre dovremmo imparare a meditare...
Mahavatar Babaji, il guru di Lahiri Mahashaya che ha portato il Kriya Yoga in tutto il mondo, è il protagonista di un nuovo libro scritto da Jayadev Jaerschky. Che ci spiega chi è quest'essere leggendario che Yogananda descriveva come «simile al Cristo»



