Come molti hanno intuito, sono reduce da un lungo periodo di pratica e di insegnamenti che mi hanno portato a riflettere su molti aspetti dell’Ottuplice sentiero di Patanjali. Ormai è chiaro a tutti (meglio dire, quasi a tutti) che ci sia una profonda assonanza, pur nella differenza, tra la via buddhista theravada e tibetana e la via del Raja Yoga (leggi Stephen Cope, La saggezza dello Yoga, pag. 303). La filosofia indiana è una scienza in costante evoluzione grazie ai ritrovamenti di nuovi testi e quello che sta emergendo da numerosi studi – semplificando – è che proprio Yogasutra sarebbe nato in ambiente buddhista; poi il grande commentatore Vyasa, l’avrebbe fatta suo e avrebbe virato il tutto in termini induisti scrivendo di suo pugno il quarto capitolo e aggiungendo il concetto di Isvara, che in effetti sembra un po’ posticcio perché il Samkya, che ne è la cosmologia, è una via atea. Questo secondo alcuni studiosi. Tuttavia, tutto ciò che arriva dall’India non ha granitiche certezze storiche, e in definitiva non è quella la cosa più importante. Che Yogasutra sia nato buddhista o induista a noi interessa pochissimo (peraltro la presenza del concetto di Isvara è il motivo per il quale ho scelto questa via). A noi interessa che sia un percorso che funzioni e riscatti l’uomo dalla sofferenza. E funziona.
E poi bisogna che sia molto chiaro che il Raja Yoga esiste e si può apprendere perché è una via spirituale, e che come insegna lo Hata Yoga Pradipika non c’è Raja senza Hatha e viceversa. Ma anche no. Per noi è necessario fare āsana perché siamo in uno stadio inferiore del cammino e abbiamo bisogno del corpo per progredire, ma chi è vicino alla realizzazione non ha bisogno di fare il Saluto al Sole. Allo stesso modo penso sia qualcosa che svia il tentare – in Occidente – di fare un’opera di sincretismo col cattolicesimo, per finire con il ritenere la Madonna una sorta di Madre Divina, o di mettere i salmi con i mantra. Esiste uno Yoga cristiano e chi vuole può seguirlo, ma non credo sia utile inserire riferimenti religiosi specifici in una via sostanzialmente agnostica che lascia grande libertà di adesione religiosa. Lo Yoga non è una religione. Nello Yoga il divino è un concetto presente, essenziale, ma aperto. Poi nel segreto della propria stanza, ognuno faccia ciò che crede e ciò in cui crede.
C’è uno snodo piuttosto importante per il mio insegnamento e per chi lo vuole seguire e lo dichiaro ora che è finito l’anno di insegnamento: il fatto che spesso io stigmatizzi il cosiddetto yoga dinamico o contemporaneo, non significa che giudichi le persone che lo seguono. Ognuno fa quello che vuole, segue il proprio intuito nei vari momenti della vita, ogni momento della vita ha diverse esigenze, però è giusto che io dia una direzione al mio insegnamento e a chi vuole seguirlo. Yoga è sempre di più nella mia visione di ricercatore un percorso integrale che conduce verso il centro del sé e verso l’espansione della coscienza. Quindi:
1. non è una appartenenza a un “ismo” o a un “esimo”;
2. non determina una superiorità intellettuale o morale di chi lo pratica;
3. non è un’assicurazione di coerenza.
Al contrario, è un percorso di ascolto e di ricerca. Il vocabolario dice che «Una RICERCA è l’azione di cercare con cura e con impegno, per trovare qualcosa» (Treccani). Non dice che è un’assicurazione per diventare migliori. Chi è nella ricerca sbaglia, si contraddice, cade, ricomincia da capo, cambia strada, obbedisce nella consapevolezza di sé a un’esigenza profonda che in quell’istante attraversa la sua mente e la sua coscienza. E quando parlo di coscienza, non è in termini moralistici, ma in termini di CITTA, cioè quel complesso che quando si identifica con le Vritti diventa la mente che ci porta alla sofferenza interiore, e quando si identifica con l’Atman ci porta negli stati superiori della coscienza (cit. Antonio Nuzzo).
Questa è la visione, VIDYA, questo è lo Yoga in cui credo. Ognuno ha la propria opinione, i giudizi in quest’ambiente sono tantissimi e sembrano contraddire l’essenza stessa del percorso, ma non è così. Bisogna distinguere. Il percorso contiene una sua santità mentre le persone – molti maestri compresi – dalla santità sono lontane anni luce. Questa consapevolezza non porta separazione, ma pace. La pace, che è un effetto dello stare bene, è il frutto più importante dello Yoga. Perché vuol dire che non i klesa (le cause della sofferenza) non hanno più effetto su di te e puoi procedere verso il samyama, gli stati più profondi della consapevolezza.
Quando uno entra in VIDYA – che è l’essenza dello Yoga secondo Swami Niranjanananda Saraswati – vede tutto ciò che è reale e lascia ciò che appare ai nostri sensi, ma che nella realtà non c’è. Tutto il resto val la pena lasciarlo ai soloni che parlano di una “verità” che, nell’enunciarla, sfugge. Buona estate a tutte e a tutti.


Alla fine di un anno di insegnamenti metto in chiaro alcuni punti fermi del percorso che insegno, una via che non contempla separazione, ma chiarezza su alcuni punti fermi: lo Yoga per me è Vidya, è visione interiore e visione di vita

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