Qualche giorno fa ho letto un interessante articolo intitolato «Gli sciamani non ci salveranno» e sono rimasta incuriosita, più che dal titolo, dal sommario: «Contro l’appropriazione indebita dello sciamanesimo». L’articolo è una conversazione fra due antropologi di chiara fama, i quali concordano su vari punti, primo fra i quali: l’Occidente si è appropriato delle pratiche sciamaniche, mercificandole e banalizzandole.
Da una parte siamo spinti a cercare forme di spiritualità alternative, poiché le risposte dell’Occidente sono insufficienti a rispondere alle domande esistenziali, dall’altra non facciamo che modellare queste proposte al nostro ego, creandoci a volte delle religioni “fai-da-te”.
Da un lato siamo affascinati dalla lezione di ecologia che ci danno i nativi, cioè che l’uomo non è separato dall’ambiente, che non è un dominatore, ma un elemento interconnesso agli altri da una fitta rete di relazioni, e dall’altro continuiamo a comprare sciocchezze su Amazon, senza porci mai il problema della nostra responsabilità personale nei confronti dell’ambiente.
In preda a una grande confusione intraprendiamo perfino degli «sciamanic tour», nei quali andiamo a visitare gli sciamani nel loro habitat e assistiamo ai loro rituali, ovviamente depurati da ogni elemento cruento, violento e sacrificale. Ci tatuiamo simboli nativi senza sapere nulla del significato di quel segno all’interno della storia di quel popolo.
In sostanza lo sciamanesimo è l’ultimo grande frullato di contraddizioni e mistificazioni che beviamo, credendo di placare la sete della ricerca del senso della vita.
Cito testualmente l’antropologo Stefano De Matteis: «La particolarità dello sciamanesimo che ho incontrato in Italia sta nel fatto che offre una via di salvezza dagli orrori del mondo unicamente nell’affermazione del Sé, nelle strategie individuali di miglioramento e nell’esaltazione di un individualismo che non si confronta con l’altro, vicino lontano che sia. Che non mette in atto nessuna pratica collettiva e condivisa…». Ecco, questo è il punto che ha acceso un mio pensiero: tutto quello che stiamo facendo allo sciamanesimo lo abbiamo già fatto allo yoga.
Non è forse vero che, oggi, lo yoga è vissuto prevalentemente come una disciplina a servizio dell’auto esaltazione e della forma esteriore? Sono ridotte al lumicino quelle realtà in cui si leggono i testi fondanti e si approfondiscono certe tematiche, e in cui la pratica non è fatta al 100% di asana.
Ma questa è una degenerazione che viene da lontano e, per certi versi, è stata causata da insospettabili agenti. Per esempio: nell’800 gli yogin furono portati dagli inglesi in Europa, nelle fiere del culturismo, per essere ammirati dalle folle, fra stupore e ribrezzo. Molto spesso gli occidentali hanno tradotto i testi sacri dello yoga per vantaggi personali e per dimostrare le proprie tesi. Nel corso del “rinascimento indiano”, alcuni intellettuali indiani hanno tagliato o censurato diversi contenuti testuali, perché l’occidente li avrebbe reputati offensivi e ripugnanti. Nei primi anni del ‘900 lo yoga portato in Europa e in America fu edulcorato da alcuni guru, per renderlo digeribile alle platee cattoliche e protestanti. E poi, da tutti, fu esaltata la forma: asana, asana, asana a più non posso.
Il tema dell’appropriazione culturale è complesso e per analizzarlo in profondità è necessario capire come funzionano le dinamiche di potere internazionali, perché alla base del fenomeno c’è sempre una cultura “superiore” che ne sfrutta una povera e fragile. A volte fino a cancellarla.
Oggi c’è più consapevolezza del riguardo che dovremmo avere nei confronti di culture distanti dalla nostra, eppure un po’ tutti cadiamo in certe trappole che il consumismo opportunamente cavalca.
E allora come fare per non essere, anche inconsapevolmente, complici di questo impoverimento? Una strada possibile è quella di impegnarsi ad andare più a fondo, a non essere superficiali nei confronti delle culture lontane.
Studiamo il significato dei mantra invece di ripeterli a pappagallo, studiamo la storia dello yoga per capire cosa vuol dire āsana o meditazione, approfondiamo, compriamo libri, confrontiamoci con altri yogin o con i maestri. Creiamoci un efficace sistema immunitario fatto di conoscenze che ci protegga dalle bufale e dai sedicenti swami e sciamani. Aprendosi alla conoscenza, la nostra pratica cambierà, e tratteremo lo yoga- e lo sciamanesimo- col rispetto dovuto a questi grandi maestri di vita.

Per la Cultura Vedica indiana, l’universo materiale viene manifestato eternamente dalla potenza interna del Signore, dove una parte del suo aspetto impersonale, il Tutto Assoluto chiamato Brahman, viene ricoperto da Maya, l’illusione cosmica...

In questo momento sembra che l’invisibilità sia diventata una condanna. I giovani dai social media e dalla società dei riflettori, sentono il bisogno di essere visibili per sentirsi importanti. Ma per inseguire il riconoscimento e il successo immediato, si rischia di perdere se stessi. Ma la nostra grandezza è determinata dalla qualità delle nostre azioni e delle nostre creazioni...

Il Sacro Catino è custodito nel Museo del Tesoro della Cattedrale di San Lorenzo e si contende il “titolo” con il Santo Cáliz di Valencia. Le leggende sono tante e quelle letterarie e filmiche anche di più e questo testimonia il bisogno del sacro insito nell'uomo. Al punto che alcuni pensano che la reliquia sia l’idea che esista qualcosa che valga la pena cercare. Anche se non si troverà mai

...e quest’arte comprende la capacità di non considerare nostri i frutti dell’azione. Se agiamo in questa consapevolezza siamo sempre in equilibrio, sempre in pace, e le nostre azioni non generano più legami e successive reazioni, né buone né cattive. Quello che importa è che siano azioni in linea con il dharma

No, non si può conquistare come la padronanza del respiro o una certa attitudine a un asana. E non possiamo comprarla come provò Elvis Presley. È un dono quindi è gratis. Ma possiamo metterci nelle condizioni di riceverla con quattro atteggiamenti: studiare i testi della tradizione senza disperdersi, praticare con costanza, vivere la gratitudine, non avere strategia

La Pace non consiste in una vita priva di battaglie. Senza sfide non si cresce, senza intralci, non ci sono cambiamenti di direzione. Dove va tutto bene, dove regna la bonaccia, la vita, prima o poi, ristagna. Ogni ostacolo è un nodo da sciogliere, è un bivio che nutre. E non ha nulla a che vedere col pacifismo: è una qualità della nostra essenza che può divenire un terremoto che sconvolge chi incontra colui che la manifesta...