Che rapporto c’è tra la poesia e il mestiere di muratore? Uno direbbe nessuno, così a prima vista. Il muratore sta tutto il giorno in cantiere a fare malta, salire e scendere dai ponteggi, caricare scaricare, tirar su muri. Alla sera è comprensibilmente stanco e forse riesce soltanto ad accendere la televisione per poi andare a letto. Forse oggi poi è anche peggio di quanto non fosse qualche decennio fa. Se non altro rispetto ai diritti e alla sicurezza. Eppure ci sono casi in cui a un lavoro così usurante corrisponde un lavoratore che riesce invece a resistere e a conservare quel po’ di energia e di lucidità che gli consentono di fare qualcosa di apparentemente molto lontano dal proprio mestiere. Per fare qualcosa o a volte per fare molto, moltissimo, e magari in una direzione impensata.
Scrittori che hanno fatto il muratore non mancano: mi viene in mente Erri De Luca, e il grandissimo Vitaliano Trevisan (che in realtà di mestieri duri ne ha fatti molti, prima e anche dopo l’esordio narrativo). Ma io qui vorrei parlare di un poeta che per tutta la sua breve vita ha fatto solo il muratore e il poeta. È francese, si chiama Thierry Metz. Poco conosciuto in Italia, anche perché nessun grande editore lo ha ancora pubblicato e nessuno dei grandi media mainstream lo ha ancora “scoperto”. «Mi hanno scoperto!»: buffo come questa stessa frase possa avere un significato opposto se a dirla è uno scrittore oppure un rapinatore. Spesso però davanti all’inderogabilità di una tale constatazione i grandi artisti, della cui esistenza infine il mondo si accorge, si comportano come i rapinatori: giustamente, scappano; Samuel Beckett, per esempio, nel momento della proclamazione del Nobel dice alla moglie: «che catastrofe!».
Ma, tornando a Metz, c’è un valoroso editore che, tra i pochi in Italia, ha pubblicato l’opera del poeta francese: è Il Ponte del Sale di Rovigo, strenuamente e strepitosamente diretto dal poeta Marco Munaro, che cura la grande poesia con attenzione e qualità artigiana, nella traduzione come nella selezione, nella grafica come nella scelta della carta.
Metz, dicevamo, faceva di mestiere il muratore, anzi, ancor meno, il manovale, ma trova il tempo, quando rientra nella sua piccola casa, dove vive con la moglie e tre figli piccoli, di scrivere, su un quaderno, brevi composizioni, dove prendono vita figure della natura, snodi amorosi, animali allusivi, spazi d’ombra e di riposo, ma anche squarci d’angoscia, e un silenzio che pare spingere le parole sulla superficie del detto per lasciarle subito evaporare in un alone ambiguo, straniante. Una poesia semplice e, al tempo stesso, enigmatica.
Come enigmatica rimane la figura di questo poeta dalla «vicenda esistenziale quanto mai penosa», per citare uno dei suo traduttori italiani, Pasquale Di Palmo: Campione di sollevamento pesi», dopo il matrimonio «con una compagna di scuola dalla quale avrà tre figli (…), presto comincia a manifestare i segni di una depressione complicata dalla durezza del lavoro saltuario di manovale e dal consumo di alcol». Nel 1988, lo stesso giorno, tra l’altro, in cui riceve un premio importante per un suo libro, «muore sotto i suoi occhi il secondo figlio, di 8 anni, investito da una macchina». La sua parabola esistenziale termina all’età di 41 anni: nell’aprile del 1997 Thierry Metz si toglie la vita a Bordeaux, dove nel frattempo si era trasferito.
Il poeta Jean Grosjean bene inquadra il mondo poetico di Metz: «Quello che potevamo prendere per un universo di banale mediocrità si rivela invece come una meraviglia […] Parla a mezza voce e la sente solo chi vuole. E dice: chiunque tu sia, i tuoi momenti non contengono nient’altro, ma sono dei miracoli».
Vogliamo riportare qui almeno una breve composizione; quella che apre il bel volume Lettere all’innamorata edito da Il Ponte del Sale, con traduzione e cura di Pasquale Di Palmo:
Essere dove la parola è una stanza.
Rubarle il candore, la lastricatura, il tavolo.
Dove si può immaginare potrei stare con queste mani
da muratore?Là. Perfetto come il parapetto di un muro. Ma
sempre nella stanza dove ogni sera accendo per te
un quadernetto con occhi di merlo.Entro così. Dove ci sei tu. Con il mio mestiere,
qualche soldo, una matita.
Con qualcos’altro.
Che fino a poco fa si vedeva. Non per esistere ma
per essere là, di passaggio.
Solo contro la sua anima un uomo non pesa molto.


Il problema con un sano iter del piacere nasce quando noi vogliamo costantemente riprodurre quei momenti. La nostra mente diventa “drogata di piacere” anche se, razionalmente, sappiamo che questo è un inganno. Come può un momento unico, frutto di innumerevoli sacrifici e fatica, o semplicemente di circostanze favorevoli, essere ripetibile a piacimento?

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Non esiste più una verità. Ogni cosa può essere vera o falsa, a seconda se si è follower di quella fonte, se si crede all’autorità che rappresenta, o se si rifiuti ogni forma di dogmatismo e principio di autorità. Così le notizie false vengono diffuse via social insieme a quelle vere. Perché, come dice il professor Galimberti, «quando sai dire solo mi piace o non mi piace, è chiaro che la bugia e la verità si confondono»...

Cattolici e buddhisti tibetani sono gli unici ad avere un capo spirituale e temporale della loro fede. Il che è una forza dal punto di vista di rappresentanza ma conta anche le sue problematicità. E mentre sta per iniziare il conclave, alcuni si chiedono chi penserà ai poveri ora che Francesco è scomparso. Se ne occuperanno le stesse persone che se ne occupavano prima: le donne e gli uomini di buona volontà di tutte le religioni. E continueranno a farlo qualsiasi pontefice verrà eletto

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