Dei miei contemporanei mi volevo occupare,
ma gli antichi non mi hanno lasciato respirare.
Joseph Berchoux
Da anni, e in particolare quando registriamo un calo degli iscritti al Classico, ci interroghiamo sull’utilità della lingua greca, amata o odiata, inutile o geniale. Secondo quanto afferma l’antropologo e filologo classico Maurizio Bettini, la cultura umanistica in Italia da una parte è oggi vilipesa o addirittura temuta e oggetto di cancel culture, dall’altra è esaltata e difesa strenuamente dagli addetti ai lavori o da alcuni gruppi social nonché da alcuni divulgatori disposti a confermare determinati stereotipi. Lungi dall’essere una conservatrice accanita, che ritiene che lo studio del greco sia l’unico mezzo per conoscere o che addirittura si debba tornare alla memorizzazione di tutti i paradigmi, credo fondamentale superare le visioni estreme che allontanano dalle lingue classiche.
Il mio dialogo quotidiano con i ragazzi e le ragazze del liceoclassico evidenzia un crescente interesse per la lingua greca, che attrae con il suo mistero, suscitando un senso di fascino per la sua capacità di veicolare concetti profondi. Questa affinità suggerisce che lo studio del greco si connette a una profonda curiosità intellettuale.
IL GRECO È UTILE?
All’annosa domanda «A che serve il greco?», potrei rispondere che serve a capire l’etimologia delle parole che usiamo, nella lingua parlata ma anche in alcuni linguaggi specialistici, come la Medicina. D’altronde, come afferma il grecista Aurelio Privitera, «Letteratura, architettura, scultura, filosofia, scienza, psicologia utilizzano miti, parole, elementi, simboli, forme e riferimenti greci. Innumerevoli opere della civiltà europea diventano mute e opache se non si conoscono i Greci».
Potrei aggiungere che lo studio della lingua greca aiuta lo sviluppo del pensiero logico-razionale, ma si potrebbe a buon diritto obiettare che questo può avvenire anche con altre discipline. Entrambe le spiegazioni, in realtà, sono mal poste.
Bisogna uscire dalla logica utilitaristica imposta da alcuni settori della società, rifiutarsi di considerare le discipline di studio, e non solo le lingue antiche, finalizzate al lavoro in azienda o in fabbrica. Degli studenti andrebbe curata la formazione culturale, incoraggiate le inclinazioni, messi in luce interessi e talenti. Trascorrere gli anni della propria crescita intellettuale approfondendo le nostre radici, comprese quelle linguistiche, riflettendo sull’approccio degli antichi Greci al concetto di tempo e felicità, lungi dal costituire una perdita di tempo (sottratto a materie più pratiche e più “utili”), valorizza quanto di più nobile vi è nell’uomo. E l’apprendimento della lingua resta una tappa indispensabile per chiunque voglia accostarsi ad una civiltà.
La ragione che rende imprescindibile lo studio della lingua greca è, infatti, l’accesso diretto ai testi. Come afferma Bettini, nei testi antichi troviamo «costruzioni semantiche anche molto complesse, che possono essere interpretate – spesso andando al di là del loro significato letterale – solo da chi conosce bene le lingue in cui questi testi sono stati scritti». Si riesce ad apprezzare e a godere della bellezza di un testo se si ha dimestichezza con le parole e con la sintassi usate dall’autore; d’altronde, come scrive Bettini nel suo saggio, «ritenere superflua la conoscenza del latino e del greco nella formazione di futuri classicisti equivale ad affermare che si può studiare Shakespeare o Virginia Woolf senza conoscere l’inglese o la Rivoluzione del 1789 ignorando il francese». Il greco si dimostra un veicolo essenziale per comprendere e apprezzare la vastità della civiltà europea.
PASSATO vs PRESENTE
È possibile che la nostra cultura stia progressivamente cessando di dialogare con il proprio passato perché concentrata nell’immediatezza del presente: «A differenza del messaggio su Instagram, Telegram o WhatsApp, a differenza del post su Facebook o del tweet, tramite i quali si dialoga in un contesto di immediata comprensione, il passato richiede infatti una forma di decifrazione, con la messa in opera di strumenti cognitivi più complessi e difficili da maneggiare», conclude Bettini.
La lettura di un post e la visione di un video sui social risultano meno impegnative di una traduzione dal greco, ma barattando la complessità con la comodità perdiamo anche la bellezza della lettura di una poesia o di una tragedia greca.
Con cosa sostituiamo la conoscenza del passato dei popoli da cui proviene il nostro patrimonio artistico e culturale? Con quella di altre culture antiche, forse. C’è un grande interesse oggi, ad esempio, per la spiritualità orientale, anche a causa del vuoto spirituale e del relativismo dei valori occidentali. Molti insegnamenti della cultura classica hanno dei corrispettivi nelle culture orientali, così lontane nel tempo e nello spazio rispetto ai Greci e ai Romani.
GRECIA ANTICA E INDIA
Se pensiamo alla Bhagavad-Gita, poema in sanscrito, notiamo alcune somiglianze con l’Iliade omerica (trasmissione orale prima che scritta, tema della guerra e mito dell’eroe, uso di epiteti) e troviamo anche altri elementi comuni alla cultura greca. Quando Arjuna nella Gita guarda il campo di battaglia e ha dei tentennamenti perché vede nell’esercito nemico schierati amici e parenti, Krishna, da lui scelto come auriga, ferma il tempo e parla al guerriero. Gli ricorda chi è: un eroe. La figura di Krishna come insegnante nella Bhagavad-Gita può essere paragonata al ruolo di un maestro filosofico nella tradizione greca, Socrate.
Socrate parla ai discepoli e li invita a guardare dentro di sé, a conoscere se stessi: «Senza conoscere noi stessi e senza essere saggi non saremmo in grado di sapere ciò che è male e ciò che è bene per noi». Conoscere se stessi è uno stimolo ad andare oltre. Entrambe le tradizioni, indiana e greca, riconoscono nella conoscenza un percorso verso un fine superiore. Mentre nella Gita è spesso collegata alla realizzazione spirituale e alla liberazione, nella filosofia socratica è vista come chiave per raggiungere una vita felice. Sempre nella Gita, Krishna afferma: «Sopra ogni virtù, la conoscenza è la cosa più preziosa. Essa è la forza di purificazione di chi la possiede. È il fuoco del sacrificio che porta al divino». Anche Socrate credeva che la vera virtù derivasse dalla saggezza e che la ricerca della conoscenza avrebbe portato ad una vita appagata: «Neppure chi diviene ricco sfugge all’infelicità, ma solo chi diventa saggio».
IL POSTO DEI CLASSICI
Sostituire l’approfondimento della cultura classica con quello delle culture orientali, ci costerebbe, paradossalmente, maggiore fatica. La cultura classica, cui siamo legati con un filo più o meno spesso, è più alla nostra portata rispetto a culture che hanno sì corrispondenze con essa, ma che per essere conosciute a fondo devono essere studiate in modo completo e non superficiale.
Quindi, tornando al tema centrale, oggi, a distanza di anni dal mio ingresso nelle aule scolastiche, posso dire che il confronto con la cultura greca, che avviene tramite lo studio della lingua, aiuta a comprendere non solo il nostro passato, ma anche il presente, ricco di opportunità da un lato, di conflitti e diritti violati dall’altro. Il passato è ktema es aiei, per dirla con Tucidide, possesso per sempre. Per comprendere gli errori commessi, per essere consapevoli, per evolverci.
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