“Un bel tacer non fu mai scritto”, così recita un vecchio proverbio, che suggerisce di astenersi dal proferire parola soprattutto quando non si aggiunge nulla alla discussione.
Se questo accadesse davvero, Internet sarebbe senz’altro un posto migliore.
Umberto Galimberti – filosofo, saggista e psicanalista- sostiene che «i social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività, e venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli».
Leggendo i commenti ai post e agli articoli che troviamo in rete come si fa a non essere d’accordo con lui?
Certe volte i commenti ci interessano più dell’opinione espressa nel pezzo che leggiamo e già dalle prime battute sappiamo capire se l’autore alla fine sarà blastato, cioè avvolto dalle fiamme della contestazione. Questo fuoco molto spesso arriva ad avere più importanza dell’idea che lo ha innescato.
La cronologia di ogni post è abbastanza standardizzata, soprattutto su certi profili o siti, che di proposito titolano i loro pezzi per avviare, fra gli utenti, una “discussione” altamente polarizzata.
Dapprima arrivano i commenti al vetriolo e poi si generano diversi tronconi di “discussione”: c’è chi attacca, chi difende, chi argomenta, chi fa battute. Il post colleziona un bel numero di like. Alcuni commentatori vivono un momento di gloria, collezionando a loro volta un bel numero di like, per aver detto ciò che molti pensano sull’argomento meglio e prima di loro. A volte l’autore del post risponde in maniera fulminante alla battuta pesante del leone da tastiera di turno. Ecco che si raggiunge il picco dell’eccitazione. Poi tutto scema. E forse il verbo scemare è quello che più si addice alla situazione.
Sì, perché pensavamo di esserci liberati dal gossip, dalle amicizie tossiche, dalla vuota chiacchiera che ci consuma energie, e invece non facciamo che essere attratti dal “gatto spiaccicato”: è la sindrome che colpisce il guidatore che già da lontano visualizza una presenza sospetta sull’asfalto che potrebbe essere di tutto, ma che già si prefigura nella sua mente come una cosa assai spiacevole, probabilmente ripugnante, e che nei pressi diventa certezza. All’approcciarsi si entra in un meccanismo difensivo di vedo-non-vedo finché finalmente si oltrepassa l’evento e amen.
Coi commenti è la stessa cosa, ci fanno schifo, ma li leggiamo e continuiamo a leggerli finché non riconosciamo la follia collettiva a cui stiamo elargendo le nostre preziose energie. Ma si può perdere tempo così? No. Eppure facciamo una gran fatica ad allontanarci da questa tendenza.
Un altro “gatto spiaccicato” sono i commenti degli “amici”. Vorremmo non vederli, ma poi li leggiamo. Oddio, non ci posso credere… quello è leghista, quello è grillino, quello crede nelle scie chimiche, quello parteciperà a un raduno di XZY. Che disastro. Non si capisce più niente, pensavo di conoscerli e invece. Boh. E se chiediamo perché hanno postato quella cosa assurda, la risposta può essere «io non sono il mio avatar».
Dunque esiste un’altra persona dentro alcuni di noi che, priva dei freni inibitori della vita reale, si lascia andare al puro istinto animale, sentenzia senza saper argomentare, offre soluzioni senza avere alcuna competenza, in un luogo virtuale in cui nessuno può fisicamente darci uno scappellotto e/o dell’idiota.
Se il nostro avatar dice cose che nella vita reale non diremmo abbiamo un bel problema di consapevolezza delle forze che si nascondono dietro il nostro modo di pensare, parlare e dunque di agire.
Ma perché siamo presi dall’irrefrenabile impulso di scrivere la nostra opinione (o piuttosto un samskara mascherato da opinione)? Narcisismo? Frustrazione? O piuttosto uno stato d’ansia non riconosciuto, gestito e affrontato in modo funzionale?
Dietro l’ansia si nasconde sempre un’emozione bloccata, una carica energetica inespressa. L’ansia è la copertura di un’emozione seppellita e dolorosa.
Allora da soli, o con l’aiuto di un professionista, potremmo cercare di riconoscere l’emozione che ci tiene in ostaggio, nella vita reale e in quella virtuale.
Affrontare l’emozione di fondo che si nasconde dietro il commento (o il messaggio) cattivo, inopportuno o irrilevante potrebbe costituire un’interessante svolta per le nostre relazioni.
Cosa scrivo? Cosa voglio dimostrare? Lo direi nella vita reale? Sarebbe utile prendersi un momento per riflettere sul nostro modo di interagire sui social e nella vita.
Nella vita virtuale siamo giudici, saggi, perfetti, sicuri, indipendenti… nella vita reale sappiamo confrontarci? Imparare reciprocamente? O siamo troppo terrorizzati di sbagliare, essere contestati, e di fare la figura degli imbecilli? (notizia: ci vogliono bene lo stesso e non si muore).
Non sarebbe meraviglioso per il nostro progresso coscienziale suturare la cesura fra la vita virtuale, che corrode sempre più il nostro essere aperti e migliori, e la vita reale, unico vero contenitore di paure, sogni, emozioni, sentimenti? E al diavolo il nostro avatar.
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