Dentro di noi c’è l’universo. Non è soltanto un’idea, un’intuizione spirituale. È molto di più. Vi racconto quello che è accaduto a uno scienziato molto famoso. Vi racconto di Federico Faggin, 83 anni l’uomo che ha progettato il primo microprocessore al mondo presso l’Intel. Ha preso la Medaglia Nazionale per la Tecnologia e l’Innovazione dal Presidente Barack Obama e il titolo di Cavaliere di Gran Croce dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. È quello che ha anche inventato la tecnologia touchscreen molto prima degli iPhone, ma non ha voluto dare l’esclusiva a Steve Jobs…
Notte di Natale 1990. In vacanza sul lago Tahoe, Faggin si alza per bere dell’acqua. E gli accade qualcosa. Ha raccontato lui stesso: «Tornato a letto, mentre aspettavo di riaddormentarmi, ho sentito un’energia fortissima emergere dal petto… Un’esperienza straordinaria. Mi ha cambiato la vita, ho percepito che siamo un tutt’uno con l’Universo. Un’esperienza che mi ha rivelato che sono il Tutto che osserva e conosce se stesso con il mio punto di vista. Tale conoscenza era una combinazione di amore, gioia e pace mai provata prima, di una intensità impossibile da immaginare e con un senso profondo di verità del quale non si poteva dubitare. Invece di essere separato dal mondo come credevo e come la scienza ci definisce, ero sia l’osservatore che l’osservato».
In una parola ha realizzato in un attimo la scienza dello Yoga secondo Patanjali, il creatore del Raja Yoga, l’autore di Yoga Sutra. Dopo quella notte e quel «risveglio», come lo chiama lui, è diventato il fisico che cerca di trovare una terza via, scientifica, per spiegare l’Universo. Dice: «L’universo non è meccanico né privo di scopo, ma intrinsecamente dotato di senso». La sua ipotesi è che la coscienza e il libero arbitrio devono essere fenomeni quantistici che esistono sin dall’inizio dell’universo. «Nel modello che propongo, […], la coscienza, il libero arbitrio e la vita esistono fin dall’inizio, come semi all’interno di un Tutto olistico che contiene anche le proprietà fondamentali che permettono l’evoluzione dell’universo inanimato».
Quello della coscienza è un problema che non è semplice da risolvere. Sam Harris che è un filosofo americano, specialista di neuroscienze che ha scritto un libro A Guide to Spirituality Without Religion, si interroga su cosa sia la coscienza. Ma coscienza di cosa? Per esempio, considera il fatto che abbiamo due emisferi deputati a funzioni diverse, che il sinistro è quello che organizza il linguaggio, per esempio, e che il destro è quello che esprime le emozioni. Fanno cose diverse e si rivelano nella parte opposta del volto. Esattamente come dicono gli yogi riguardo a Ida e Pingala. Quindi i due esmisferi hanno due prese di coscienza diversi, dei punti di vista differenti e che c’è il Corpus Callosum che ha la funzione di farli dialogare, di unirne i messaggi. Ci si spiega perché usiamo la pratica di Nadi Shodana (la respirazioni a narici alterne) per provare a riequilibrare i due emisferi (ogni narice è il punto di arrivo di quel canale che influenza l’emisfero opposto, secondo lo Yoga), perché nell’equilibrio si ristabilisce una stabilità, una unità di “azione” interna ed esterna. Sam Harris parla di mistero della coscienza: il semplice studio della morfologia e delle funzioni non spiega la funzione della coscienza che è quella che ha invece sperimentato Faggin.
E sulla quale esperienza ci sono tre osservazioni da fare. La prima è che Faggin non è un veggente, ma un intellettuale, uno scienziato; la sua conoscenza è stato il vocabolario con cui ha tradotto ciò che ha vissuto. Senza la sua conoscenza, la sua esperienza sarebbe stata solo una storia da rotocalchi. La seconda è che però questo suo vissuto non l’ha studiato sui libri, ma lo ha sperimentato. La terza è che tutto questo ha scatenato in lui la passione che lo ha portato a formulare la sua teoria della coscienza (QIP Quantum Information-Based Panpsychism), secondo la quale la coscienza sarebbe un fenomeno puramente quantistico, unico per ogni individuo. Jung affermava che «la psiche non ha l’obbligo di vivere solo nel tempo e nello spazio». La chiama psiche noi lo definiremmo il Sé. E quella del Sé è un’esperienza che possiamo vivere solo con l’espansione della coscienza. Faggin ha realizzato lo yoga che, secondo Patanjali, è studio di sé e della scienza universale (svadyaya), passione e ardore (tapas) e abbandono all’Infinito (Isvara Pranidhana). Tutto in una notte, come il titolo di un film di John Landis del 1985 con Jeff Goldblum e Michelle Pfeiffer.
Il problema dell’io non è di semplice risoluzione, ma lo Yoga ci dice che il cambiamento della coscienza avviene quando arriva l’intuizione che chi osserva non sono io, ma il sé, quella particella di Infinito che abbiamo dentro di noi. Che se seguiamo l’io andiamo incontro alla sofferenza perché significa dare il primato ai sensi tutti, il primato intellettuale sulla visione. La psicanalisi introduce il dubbio sull’identità, come anche lo Yoga. Lacan arriva a dire che dove c’è pensiero non c’è essere: «Penso dove non sono, dunque sono dove non penso», sostiene contestando Cartesio. Winnicot definiva una psicosi il fatto di restare rigidamente ancorato alla difesa della propria identità. Significa perdere la spinta evolutiva, progettuale. Diremmo con Patanjali che è solo il pensiero giusto (pramana) che ci conduce a questa intuizione, ma che per andare oltre è necessario l’abbandono. L’espansione verso l’infinito.
Espandere la coscienza significa osservare «le parti scabrose di sé», come le definisce lo psicoanalista Massimo Recalcati. Significa accoglierle senza assecondarle. Significa osservarle e assumersi anche la responsabilità di ciò che siamo. Scoprire che abbiamo certe caratteristiche per provare a lavorarle come la creta, non a distruggerle o a provare sensi di colpa. Significa sapere di essere impuri e quindi smetterla di ergerci a giudici. A guru. Se pensiamo di essere guru non lo siamo perché il Guru non sa di esserlo. E nemmeno fa finta di non esserlo, per sentirsi tale in cuor suo. Il giudizio è figlio dell’invidia. Il senso di colpa è figlio dell’invidia. Il giudizio moralista è figlio dell’invidia. Ci sono libri fantastici come quello di Somerset Maugham su questo, Pioggia, diventato un film straordinario con Katherine Hepburn.
Questo fa sempre parte dell’io che ci impedisce di espanderci, che resta ancorato nell’idea del puro, del coerente, dell’amore, eccetera. L’idea. L’unica coerenza è quella del nostro essere non del nostro io, e questo ci rende profondamente responsabili a livello personale, sociale, politico, morale. Come impariamo a raggiungere questa coerenza se non abbattendo la barriera del senso dell’io? Se non espandendo la coscienza, quell’«essere al centro dell’essere». E qui c’è un passaggio centrale. Se l’essere, il nostro essere, il sé, si fonde con l’Infinito con la pratica profonda dell’Ottuplice sentiero Yoga, essere stabiliti al centro del Sé significa realizzare lampi di beatitudine, di chiarezza mentale. Bastano pochi secondi per cambiare una vita. Come quando un sottile squarcio in uno scafo fa entrare l’oceano in una barca. L’esperienza di Faggin.
La vita del ricercatore spirituale è un insieme di piccoli squarci che ci mostrano una parte di questo infinito che ci contiene e che abbiamo dentro di noi. Questa luce arriva dall’interno di noi stessi grazie alla pratica costante (abhyasa), non dalle parole di qualcuno, ma dall’esperienza quotidiana. Se da ogni pratica usciamo con più domande che certezze, ogni pratica sarà il punto di partenza verso un percorso di discriminazione mentale che può portare alla chiarezza. Ci sono più domande che risposte, lo so. Nessuno può darci la risposta se non un lavoro continuo, instancabile, di abbandono e di ricerca, di meditazione e di studio. Con una sola certezza: i semi del risveglio sono già dentro di noi.

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Questo è un po’ il manifesto dello yoga che pratico e che insegno da quasi trent’anni. Lo yoga si occupa della domanda essenziale che abita ogni essere umano. Del mistero del vivere, del mistero dell’essere coscienti. Del “chi” siamo e “come” siamo. La parola “Yoga” indica uno stato, uno stato fondamentale della coscienza. Non è un percorso che conduce da un luogo a un altro, e neppure una ricerca di benessere. È la possibilità di essere consapevoli di essere vivi e di come lo siamo. La possibilità di sentirsi espressione di una realtà indivisa. La pratica di Yoga si fonda sull’Osservazione e sul Cambiamento.
Lavoro con la voce da cinquant’anni. È stata la mia compagna, la mia arma gentile, il mio specchio: la radio, la tv, il canto. Con la voce ho raccontato e ascoltato, ho cercato emozione, ritmo, verità. Ma più la uso, più capisco che la voce non è solo suono: è respiro che si manifesta, corpo che vibra, anima che prende coraggio e decide di farsi sentire. È la forma più diretta di presenza
La speranza di una donna che è scappata dall'orrore e ha cercato un futuro con i suoi figli su un'isola della Grecia. Ma ha lasciato l'amore della sua vita e non vuol sapere che lo rivedrà solo come nuvole nel cielo...
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