Nella città sacra di Haridwar, sorge un ashram abbastanza famoso, al punto che molte guide amano portarvi i turisti occidentali: è il Shantikunj Ashram dell’All World Gayatri Pariwar. L’AWGP è un’organizzazione spirituale e umanitaria con sede in India, fondata da Pandit Shriram Sharma Acharya, il cui obiettivo è promuovere l’auto-sviluppo spirituale e il servizio sociale, ispirandosi ai principi dei Veda, alla pratica del Gayatri Mantra e all’ideale di una vita retta e altruistica. L’organizzazione sostiene una visione della spiritualità basata su valori universali, come la pace, la compassione, la moralità e il rispetto per l’ambiente con programmi di istruzione e sensibilizzazione.
Il campus è gigante e al centro ci sono due aree in cui si svolgono i culti. Il più importante è quello in cui viene recitato il Gayatri Mantra, il potente mantra solare dello Yoga, ma poco più in là c’è anche un tempio vero e proprio il cui culto si identifica immediatamente: l’Himalaya con incastonato il volto di Śiva, il volto di Dio per i seguaci dello Yoga. Al suo interno, una gigantesca riproduzione della catena dei monti più alti del mondo, davanti alla quale sono sistemate delle seggiole e dei cuscini per la meditazione.
Haridwar è ai piedi dell’Himalaya e nel cuore della città scorre potente il fiume Gange che per gli induisti è un altro volto del divino, Ganga, appunto. L’induismo non è un politeismo, piuttosto un panenteismo, un credo in cui il divino può assumere diversi volti, nomi e caratteristiche: che si dica Śiva, Ganga, Krishna o Brahma, sempre di Dio stiamo parlando. Ma il fatto che l’Himalaya assurga a un ruolo para-divino o divino tour-court, ci fa capire l’importanza di questa catena. Chi ha visitato la città di Rishikesh ha visto una grande foto di Swami Sivananda, il suo santo più amato, in cui è scritto: «Il Gange è mia madre e l’Himalaya mio padre», L’amore per il fiume sacro e la grande montagna sta tutta in questa dolcissima dichiarazione d’amore.
Il monte Kailash, uno dei giganti himalayani, per esempio, è considerato sacro in molte tradizioni spirituali: nell’induismo, è la dimora del dio Śiva; nello sciamanesimo Bön e nel buddhismo tibetano è venerato come centro dell’universo; nel giainismo è il luogo in cui il primo Tirthankara raggiunse la liberazione. Anche gli zoroastriani venerano questa montagna, identificandola con il mitologico Monte Meru. Tibetani e indiani intraprendono un pellegrinaggio presso il Kailash almeno una volta nella vita, affrontando un circuito rituale di circa 53 chilometri attorno alla vetta, a un’altitudine media di 5.000 metri.
Per gli occidentali il mito dell’Himalaya è riferito alle imprese alpinistiche. La vetta dell’Everest per esempio fu nominata così in onore di Sir George Everest, che fu direttore del Survey of India dal 1830 al 1843, l’ufficio responsabile delle rilevazioni topografiche e geodetiche dell’India britannica. Prima di questo, però, la montagna era già venerata dalle popolazioni locali: per i tibetani era infatti conosciuta come Chomolungma, ovvero “Dea Madre del Mondo,” un nome che riflette il rispetto e la sacralità attribuiti alla cima.
Per i libri di geografia, il monte Everest, al confine tra Cina e Nepal, ha un’altitudine di 8.848,86 metri sul livello del mare, è la vetta più alta della Terra. Ma nel 2015 per il terremoto del Nepal si diffuse la notizia del suo abbassamento di 2.5 centimetri. Ora, l’esatto contrario: l’Everest sta crescendo, come se fosse davvero una divinità che prende vita. Il fenomeno è il risultato di un processo geologico complesso innescato dall’erosione fluviale, che sta alleggerendo la crosta terrestre intorno alla montagna. La rete fluviale dell’Arun e del Kosi ha iniziato a scavare profondamente nelle rocce circostanti, rimuovendo miliardi di tonnellate di sedimenti. Questo ha creato una sorta di “rimbalzo post-glaciale”, cioè un sollevamento della crosta terrestre, fenomeno che di solito è associato alla scomparsa di pesanti ghiacciai. In questo caso, il rimbalzo è causato dall’erosione del terreno roccioso.
I ricercatori hanno misurato un sollevamento medio dell’Everest di circa 2 millimetri all’anno, calcolando che in quasi 90.000 anni la montagna si è innalzata tra i 15 e i 50 metri. Questi dati sono stati pubblicati su Nature Geoscience da un team internazionale, coordinato da Jin-Gen Dai dell’Università Cinese di Geoscienze e Matthew Fox dell’University College di Londra.
I ricercatori hanno spiegato che queste montagne stanno crescendo perché il tasso di sollevamento della crosta terrestre supera quello dell’erosione che le consuma: è questo equilibrio dinamico di sollevamento e erosione rende possibile la crescita delle vette.
L’Himalaya è un luogo vivo, un macro universo in cui tutto accade, in cui si celano alla nostra vista schiere di santi, in cui si è formata la leggenda letteraria dello Shangri-La, una terra in cui regnano gli ideali più alti, incastonati in un luogo leggendario tra quei monti. Ecco l’Himalaya rappresenta proprio questo mito, il luogo in cui i guru meditano e vivono incontri ed esperienze straordinarie. Come straordinario è il suo lento sollevamento, quasi volesse davvero toccare il cielo.
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