
Birmingham, 1963: il cuore nero della segregazione
Birmingham, nell’Alabama, era nel 1963 «probabilmente la città più segregata negli Stati Uniti», secondo Martin Luther King. Sebbene la popolazione della città di quasi 350.000 persone fosse bianca al 60% e nera al 40%. Funzionari di polizia, pompieri, commessi di vendita nei grandi magazzini, conducenti di autobus, cassieri di banche o negozi non potevano essere neri. I segretari neri non potevano lavorare per i professionisti bianchi. I lavori disponibili per i neri erano limitati al lavoro manuale nelle acciaierie, ai lavori domestici e alla manutenzione dei giardini, o al lavoro nei quartieri neri.
Quando si rendevano necessari licenziamenti, i dipendenti neri erano spesso i primi nella lista. Il tasso di disoccupazione dei neri era due volte e mezzo più alto rispetto ai bianchi. La segregazione razziale delle strutture pubbliche e commerciali in tutta la contea era imposta per legge, copriva tutti gli aspetti della vita e veniva rigidamente applicata a tavolino. Anche le caste in India avevano più opportunità.
Al minuto 52'56`` si parla della tragedia della Street Baptist Church.
La tragedia della 16th Street Baptist Churc
Domenica 15 settembre 1963 una bomba esplode davanti alla 16th Street Baptist Church di Birmingham (Alabama), prima dell’inizio delle celebrazioni. Quattro giovani ragazze afro-americane rimangono uccise nell’attentato; i feriti sono 17. Il funerale delle vittime, è fu sublimato dalla presenza di Martin Luther King e la sua orazione funebre è particolarmente ispirata. Ne riporto uno stralcio:
Cala ora il sipario; si muovono verso l’uscita; il dramma delle loro vite terrene si chiude. Sono affidate di nuovo a quell’eternità dalla quale vennero. Queste bambine – innocue, innocenti e bellissime – sono state le vittime di uno dei più orrendi e tragici crimini mai perpetrati contro l’umanità. Eppure sono morte nobilmente. Sono le eroine martiri di una santa crociata per la libertà e la dignità umana.
«Alabama», una preghiera musicale
Per John Coltrane, che fino ad allora si era occupato di indagare attraverso le sue sonorità, temi astrali: “A Love Supreme” , “ Psalm”, “ Impression”, “ Crescent”, e praticava meditazione yoga, dopo aver ascoltato il discorso del Dr. King, decise di comporre una sua elegia a supporto dei diritti civili. “Alabama” è la sua discesa sulla terra. Nel mondo dei diritti e della battaglia per la sopravvivenza e la dignità della sua gente. Come Krishna nella Gita.
Coltrane scende da noie e ci racconta “Alabama” . Un pezzo toccante, malinconico con una lunga introduzione in Mi m del piano di Mc Coy Tyer, che ci porta in un lamento solenne e contemplativo. Poi però a un certo punto cambia di tono: è come se il dolore, incamerato dalla comunità nera per anni, e portato all’esasperazione da attentati, fosse incanalato in una sorta di determinazione finale che si avverte nel brano. Coltrane entra con il suo sax tenore, eseguendo una melodia lenta caratterizzata da frasi lunghe e sostenute che costruite sulle pause del discorso di Martin Luther King,: Coltrane traduce in linguaggio musicale le emozioni dell parole scandite dal reverendo. Ci lasciano in un senso di lutto e riflessione. La sezione ritmica, composta da Jimmy Garrison al contrabbasso ed Elvin Jones alla batteria, mantiene un accompagnamento discreto, con Jones che utilizza spazzole per creare una trama morbida e sottile.
La struttura del brano non segue una forma standard di jazz, come il tradizionale schema di 32 battute o il blues a 12 battute. Invece, si sviluppa in modo libero, con sezioni che fluiscono l’una nell’altra senza una chiara distinzione tra tema e improvvisazione. Questo approccio conferisce al pezzo una qualità quasi liturgica, simile a una preghiera musicale.
Un messaggio universale
Con ‘Alabama’, Coltrane non si limita a raccontare un evento; crea un ponte tra il dolore di una comunità e la speranza di redenzione universale. Le note si fondono con le pause di King, trasformando il lutto in una preghiera musicale. È un pezzo che ci ricorda che, anche di fronte alla barbarie, l’arte rimane un atto di resistenza e un mezzo per riaffermare la dignità umana.

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