Ho appena concluso un ciclo di dodici lezioni che tengo annualmente per il Dipartimento di Salute Mentale della mia città, destinato a un numero selezionato di pazienti. Pur essendo sicura della bontà e dell’efficacia del mio metodo, quando lavoro con loro ho sempre un filo d’ansia: sono persone fragili, bisogna procedere con cautela e contemporaneamente bisogna dar loro degli strumenti validi ed efficaci che li aiutino ad arginare l’ansia e il rimuginio mentale.
Ogni volta che finisco il programma di lezioni mi faccio le stesse domande: «Quanto ha inciso questo yoga sulla loro condizione? È riuscito a dare sollievo, anche solo momentaneo, alla loro mente?». Due domande che, in fin dei conti, sono valide in ogni contesto. Quand’è che veramente lo yoga trasforma, aiuta, guarisce?
Ha ragione Patanjali quando dice (Yogasūtra I.30) che “la malattia” è uno dei nove ostacoli allo yoga. Il malessere, fisico o psichico, rende la mente instabile e quindi inefficace la pratica dello yoga. Quando stiamo male fisicamente la nostra mente non fa che rivolgersi al corpo fisico, quando il malessere è psicologico la mente diventa ossessiva o, anche, eccessivamente dispersiva, e consuma tutte le nostre energie. Questa condizione di mente instabile Patañjali la chiama viksepa.
Ma riflettendoci, chi non va in dispersione mentale anche più volte al giorno? La cosa riguarda un po’ tutti, e purtroppo per alcuni diventa una condizione invalidante. Ma allora, nella stragrande maggioranza dei casi, lo yoga che facciamo è inefficace? Se pratichiamo pensando alla tonicità dei glutei o a mille altre cose, senz’altro sì. Come pure se lo usiamo come una pillola miracolosa senza mai prenderci davvero in carico e praticarlo sul serio.
Lo yoga è cessazione dei turbini mentali. E se la mente non è eka-grata, cioè focalizzata su un solo elemento, stiamo facendo un’altra cosa. Una cosa che ci piace chiamare «yoga».
Molte volte siamo convinti che praticando un po’ di āsana e qualche prānāyāma”
veniamo pervasi dalla potenza dello yoga. Ma lo yoga non è uno “Spirito Santo” che cala in noi dall’alto. Per renderlo efficace dobbiamo faticare, cadere, rialzarci, insistere, dubitare, studiare, cercare, viaggiare…
Patañjali lo dice chiaramente: «Se vuoi essere nello yoga non puoi essere apatico, indolente, superficiale, ignorante, materialista, impaziente e malato, perché tutto questo ti rende instabile».
E per superare questa instabilità ci suggerisce di coltivare atteggiamenti positivi come l’amicizia, la compassione e la lietezza, in modo da controbilanciare tutti gli impulsi negativi che emergono dalla nostra natura reattiva ed egoica. Ci invita inoltre ad analizzare la nostra condizione, e quindi a chiedere aiuto a un medico quando non ne siamo capaci. Siamo stati creati con «i sensi rivolti in fuori» come recita la Katha Upanisad. Il che rende evidente lo sforzo che siamo chiamati a fare data la nostra natura non introspettiva. In poche parole se non sviluppiamo un chiaro progetto evolutivo, una direzione esistenziale, e se non siamo capaci di fare introspezione e pensiamo solo alle cose mondane, la dispersione mentale e l’angoscia ci visitano con maggiore frequenza.
La dispersione mentale, però, si può superare anche «mediante l’emissione e la ritenzione del respiro» (YS I.34). Ecco la strategia per chi è più in difficoltà: gli esercizi respiratori. Che rappresentano la parte più interessante del lavoro che svolgo coi fragili, insieme al canto di alcuni mantra. Cantare e respirare non necessitano di abilità fisiche, quindi tutti gli allievi sono sullo stesso livello; inoltre si possono fare a occhi chiusi (cioè tenendo aperta una minimale fessura di presenza), il che spezza la smania di controllo e aumenta la fiducia e l’introspezione. Invece la pratica di āsana, seppur facilitata dall’esecuzione sulla sedia, non raggiunge l’obiettivo. Gli allievi guardano se stessi e gli altri, giudicano e si giudicano. La scarsa mobilità dovuta all’età, al sovrappeso, all’uso di farmaci e alla sedentarietà li fa sentire subito inadeguati. Questo “yoga” non è affatto benefico, perché i contenuti mentali invece di evaporare creano attriti, aggiungono vritti, vortici, paranoie. Altro che sana introspezione. Altro che sviluppo delle qualità positive. L’āsana si trasforma facilmente in un lanciafiamme carico di ego feriti e irrisolti. Altro che benessere.
La pratica che “fa stare bene” dovrebbe andare in tutt’altra direzione. Ecco che, in fin dei conti questi allievi, considerati sulla carta poco eleggibili alla disciplina, ci insegnano invece molte cose sullo yoga. Evidenziano che l’āsana è una trappola. Intuiscono l’efficacia del controllo sul respiro e del canto dei suoni. Sono capaci di affidarsi e di chiedere aiuto a un “maestro”. Molte cose che noi baldanzosi “normali” raramente facciamo.

Era il 1975, a Parma. Avevo un rapporto molto laico con lo yoga, tutti noi eravamo mossi da una sincera curiosità accompagnata da un certo distacco nei confronti del mondo esoterico e mistico; questa è stata una fortuna e non a caso nessuno di noi ha poi seguito anni dopo il filone New Age...

Due scoperte importanti: uno studio americano spiega che partecipare ad attività sociali come visitare amici, partecipare a eventi o fare volontariato può aiutare a prevenire o ritardare la demenza. Una ricerca italo-svizzera, invece, ha “visto” con esami sofisticati delle alterazioni strutturali e cellulari dell'intestino legate alla malattia degenerativa.

Quanto è difficile essere all’altezza! In un mondo che ci chiede continuamente di metterci alla prova e superare i limiti. Ve lo dico da queen del disagio quale sono stata. Perché non riesco a uniformarmi e piuttosto preferisco sentirmi a disagio, restando ciò che sento di essere? Lo Yoga mi ha dato la risposta: perché ognuno di noi è unico perché custodisce in sé una piccola scintilla, una piccola Luce, che è parte di quella Energia che tutto sostiene e da cui tutto origina...

Birmingham, nell’Alabama, era nel 1963 «probabilmente la città più segregata negli Stati Uniti», secondo Martin Luther King. Domenica 15 settembre 1963 una bomba esplode davanti alla 16th Street Baptist Church di Birmingham (Alabama), prima dell’inizio delle celebrazioni. Quattro giovani ragazze afro-americane rimangono uccise nell’attentato. Per queste vittime innocenti, il grande sassofonista decise di comporre una sua elegia a supporto dei diritti civili

Quest’anno sono attesi 400 milioni di fedeli per il Maha (grande) Kumbha Mela, il più grande raduno religioso del mondo. La festa indiana rappresenta un’importante occasione per purificarsi dai peccati, raggiungere la salvezza e avvicinarsi al divino...

Le luci che vengono dalle case accendono i muri, dando un calcio alla solitudine della sera. Mi sento già felice. Intuisco, passo a passo, di trovarmi nel mezzo di una meraviglia e cresce il desiderio di farmi portare dall’aria e dai vicoli e anche dalle grandi strade. Ero pronta al degrado, invece ho trovato bellezza