«Questo è certamente un problema molto serio; non è questione di credere o non credere», scrive Jiddu Krishnamurti nel suo libro Su Dio (Astrolabio). Uno degli aspetti più affascinanti del grande filosofo (Madanapalle, 12 maggio 1895 – Ojai, 17 febbraio 1986), apolide di etnia indiana, come si considerava, è il suo pensiero sul divino. «Il credere o non credere sono processi dell’ignoranza, mentre la comprensione della qualità vincolante del tempo nel pensiero porta a quella libertà soltanto nella quale la scoperta è possibile», scriveva. «Ma la maggior parte di noi vuole credere solo perché è più comodo; ci dà un senso di sicurezza, un senso di appartenenza a un gruppo. Indubbiamente questa convinzione ci separa; voi credete in una cosa e io in un’altra. Così le credenze agiscono da barriera; è un processo di disintegrazione».
Molti, credenti o agonistici che siano, spendono anni di esperienza e di riflessioni per cercare di scoprire Dio. Ma è realmente possibile?
«Come pensate di scoprirlo? Accetterete le indicazioni di qualcun altro? O cercherete di scoprire da soli che cosa è Dio? Fare domande è facile, ma fare esperienza della verità richiede una grande intelligenza, una grande quantità di indagini e ricerche».

Le sue riflessioni sono crude e molto radicali e mettono ogni sincero ricercatore di fronte a un punto di domanda piuttosto importante: «Tutti i testi sacri danno una descrizione di Dio, ma quelle descrizioni non sono Dio. La parola “Dio” non è Dio, non è forse così?».
La sua riflessione era che «la nostra mente può creare l’immagine di ciò che desidera; può immaginare Dio con la barba, o con un occhio solo; vederlo blu o viola. Dobbiamo quindi essere consapevoli di avere dei desideri personali e non farci ingannare dalle proiezioni dei nostri stessi bisogni e desideri (…) Se crediamo in Dio, indubbiamente il nostro credo è il risultato dell’ambiente che ci circonda. Vi sono coloro che vengono educati a negare Dio sin dall’infanzia e coloro che vengono educati a credere in Dio, come è per la maggior parte di voi. Dunque noi formuliamo un concetto di Dio a seconda della nostra educazione, delle nostre esperienze passate, delle nostre avversioni, di quello che ci piace o non ci piace, delle nostre speranze e paure».
Difficile dargli torto e non per questo qualcuno deve smettere di credere. Semplicemente sapere i processi della fede sono una parte della ricerca. Ed è quello che spiega Krishnamurti con franchezza: «È necessaria una costante consapevolezza di tutto, una consapevolezza senza scelta: ciò significa che vi deve essere la capacità di vedere le cose così come sono, senza distorcerle o interpretarle».
Scrive Josephine Ebner in una tesi di laurea dedicata alle Concezioni del divino in Jiddu Krishnamurti che si più trovare nel sito italiano a lui dedicato: «Nel periodo della maturità il divino è presentato come ciò che è oltre il pensiero, di cui il sé non può fare esperienza, che si manifesta come qualcosa di ‘altro’ e di trascendente e che costituisce tuttavia il fondamento della vita stessa».
Diceva il filosofo: «Dio è qualcosa di cui non si può parlare, che non può essere tradotto in parole, perché deve rimanere per sempre il non conosciuto».

Per la Cultura Vedica indiana, l’universo materiale viene manifestato eternamente dalla potenza interna del Signore, dove una parte del suo aspetto impersonale, il Tutto Assoluto chiamato Brahman, viene ricoperto da Maya, l’illusione cosmica...

In questo momento sembra che l’invisibilità sia diventata una condanna. I giovani dai social media e dalla società dei riflettori, sentono il bisogno di essere visibili per sentirsi importanti. Ma per inseguire il riconoscimento e il successo immediato, si rischia di perdere se stessi. Ma la nostra grandezza è determinata dalla qualità delle nostre azioni e delle nostre creazioni...

Il Sacro Catino è custodito nel Museo del Tesoro della Cattedrale di San Lorenzo e si contende il “titolo” con il Santo Cáliz di Valencia. Le leggende sono tante e quelle letterarie e filmiche anche di più e questo testimonia il bisogno del sacro insito nell'uomo. Al punto che alcuni pensano che la reliquia sia l’idea che esista qualcosa che valga la pena cercare. Anche se non si troverà mai

...e quest’arte comprende la capacità di non considerare nostri i frutti dell’azione. Se agiamo in questa consapevolezza siamo sempre in equilibrio, sempre in pace, e le nostre azioni non generano più legami e successive reazioni, né buone né cattive. Quello che importa è che siano azioni in linea con il dharma

No, non si può conquistare come la padronanza del respiro o una certa attitudine a un asana. E non possiamo comprarla come provò Elvis Presley. È un dono quindi è gratis. Ma possiamo metterci nelle condizioni di riceverla con quattro atteggiamenti: studiare i testi della tradizione senza disperdersi, praticare con costanza, vivere la gratitudine, non avere strategia

La Pace non consiste in una vita priva di battaglie. Senza sfide non si cresce, senza intralci, non ci sono cambiamenti di direzione. Dove va tutto bene, dove regna la bonaccia, la vita, prima o poi, ristagna. Ogni ostacolo è un nodo da sciogliere, è un bivio che nutre. E non ha nulla a che vedere col pacifismo: è una qualità della nostra essenza che può divenire un terremoto che sconvolge chi incontra colui che la manifesta...