
La stagione del monsone è appena terminata, anche se quest’anno in modo un po’ anomalo, infatti da qualche giorno ha preso a piovere spesso, aiutandoci a sopportare meglio le giornate che, con l’umidità all’89% e le temperature a 32°, ci stavano graziando con una “gradevole” percezione di gradi 42… A differenza del Sud dell’India, che viene toccato dalle piogge due volte l’anno, qui al Nord la stagione inizia ai primi di luglio e termina verso metà settembre.
Le allegre immagini di gente che danza e salta scalza e fradicia sotto la pioggia sono forse presenti a molti; è vero, l’arrivo di questo periodo è accolto con gioia e sollievo, almeno all’inizio quando si esce da due mesi di caldo insopportabile con temperature che arrivano ai 47°/48°. Lo scorso anno a Delhi anche 52 per un paio di giorni. Fra maggio e giugno i raggi del sole colpiscono la pelle spietati come sciabole, se lasciata scoperta, nell’aria c’è tanta polvere sollevata dal vento caldo, il loo, che arriva dal deserto del Thar, polvere che si infila in casa attraverso gli infissi. Ogni tanto arriva a colpire il toophaan, il ciclone che spezza rami, manda in giro di tutto, solleva sacchetti abbandonati in strada e, ovviamente, la terra sottile come la sabbia. Le foglie degli alberi, che a Delhi per fortuna sono davvero tantissimi, piano piano prendono a colorarsi di grigio assumendo un’aria triste e rassegnata. Ecco spiegato perché, quando iniziano le prime piogge, la gioia è tale e tanta che prendere in considerazione l’uso di un ombrello sfiora raramente il pensiero. A parte essere quest’ultimo un oggetto abbastanza inutile per come piove quando piove sul serio. O stai fuoi o cerchi riparo.
L’aria, dopo un acquazzone che dura mediamente 20/30 minuti, si rinfresca e, se dopo un rovescio il sole continua a rimanere schermato dalle nuvole, la sensazione a dispetto dell’umidità è di grande sollievo. Il verde torna ad essere verde, di un verde così brillante che ti apre davvero il cuore, spuntano nuove foglioline e la vegetazione esplode. Nel mio piccolo angolo di verde alcune piante hanno raddoppiato la loro taglia in pochissimo tempo. È bellissimo vedere come la natura e l’uomo godono di questo periodo, e vi rispondono quasi come ad una rinascita. Ma, come per tutte le cose, c’è anche un rovescio della medaglia e questo, per molti, è tutt’altro che piacevole.
Per me la stagione del monsone significa il ritorno dai miei due mesi annuali a Venezia, la pulizia di fondo della casa, le indigestioni di mango, di cui mi sono persa i due mesi migliori, che poi a fine agosto il suo momento di gloria finisce. Significa la ripresa seppur lenta del lavoro, il non dover innaffiare il giardinetto, il passare anche giornate lavorando da casa avvolta in un’atmosfera magica che solo la stagione delle piogge crea. Il cielo è quasi sempre velato, l’aria tropicale ti fa sentire come imbozzolato, protetto. Si esce di casa asciutti, sapendo di poter fare ritorno fradici di pioggia o di sudore, ma poco importa se ci si bagna, se ci si infanga, se si arriva ad un appuntamento che si sembra appena usciti da una centrifuga, è la stagione dei monsoni e si vede di tutto. Nell’aria c’è quella sorta di solidarietà silenziosa fra le persone, o perlomeno la maggioranza. Se ti trovi davanti a una grande pozzanghera qualcuno che passa, se gli fai un segno, o anche no, ti carica sul suo mezzo fino alla sponda opposta, altri invece passeranno sulle pozzanghere, con auto e moto, noncuranti di te che ci stai camminando a fianco e ti ritroverai imbrattato. La stagione del monsone mette a dura prova la capacità di accettazione, non solo questa stagione a dire il vero. Per me l’India è un’eccezionale scuola di vita, già solo il clima fa la sua parte.
Lo scorso gennaio ho dovuto cambiare casa, quando fra le tante proposte mi sono trovata in un contesto completamente diverso da quello standard “moderno” dei giorni nostri, la casa che poi alla fine ho scelto di prendere in affitto, è stato un colpo di fulmine. Mi è stato proposto però il piano terra di una casetta a 2 piani, primi Anni 60, con i suoi pro e i suoi contro. Il monsone 2024, proprio al suo inizio, aveva allagato l’intero quartiere, facendo straripare i tombini, ovviamente intasati, e stabilizzando per due giorni il livello dell’acqua a circa 40/50 cm. Oltre al problema, rivelatosi poi del tutto infondato, relativo alla sicurezza, la perplessità sul prendere la casetta in affitto, era proprio tutta e solo sull’incognita monsoni. È pur vero che vengo da Venezia, ma non da un piano terra… Alla fine la mia testardaggine mi ha portato a rischiare e, almeno per quest’anno, le cose sono andate bene. Tanta, davvero tanta pioggia, ma assorbita alla grande, un po’ per la pulizia dei tombini e un po’ perché il monsone di quest’anno, almeno qui a Delhi è stato ritmato a sufficienza per consentire alla terra di assorbire l’acqua. È speriamo sia così anche il prossimo anno.
Ma se a me è andata bene, questo non è valso per tutti. Qui in città molte strade si allagano, molti quartieri si inondano, c’è gente che rimane fulminata sulla via di casa, i cavi elettrici scoperti e lasciati penzolare non si contano. C’è chi ogni anno sparisce dentro a un tombino lasciato aperto. Quest’anno un tuk tuk è finito dentro a una grossa buca non segnalata, vicino ai lavori in corso per una linea metropolitana, si è ribaltato e il conducente è scivolato fuori a testa in giù nella voragine allagata. Tanta gente perde la vita così, come niente, a causa dell’acqua color caffelatte che nasconde tutto. Uomini e animali.
Chi vive lungo il fiume Yamuna, si trova ogni anno a dover affrontare il peggio del peggio. L’acqua rilasciata dalle chiuse all’ingresso in città, con ridicoli preavvisi di 4 ore, se non meno, invade le rive, entra nelle casette di chi non ha altro posto dove vivere, distrugge quello che trova, passa oltre l’argine e vi rimane per giorni. Quando poi si ritira lascia un tale ammasso di fango che ogni anno deve essere rimosso soprattutto per mano degli stessi residenti. Quest’anno, come due anni fa, è stato particolarmente grave, persino le tende allestite per dare un tetto a chi aveva dovuto lasciare le case, sono andate sott’acqua e il crematorio più antico di Delhi è stato chiuso perché totalmente allagato.
Anche chi vive sui marciapiedi se la passa parecchio male. Queste sono le cose che mi mettono a confronto con le vite parallele alla mia e mi fanno sentire in colpa quando la sera sono a letto a leggermi un libro, al riparo con il “piacevole” rumore della pioggia che si abbatte sugli alberi e le tettoie di vetroresina. Ma è un attimo e il pensiero si sposta dal mio punto di vista a quello di chi vive altrimenti, e così il monsone mi ricorda che sa essere spietato e non rappresenta per tutti la stessa cosa. Eppure di giorno li vedi, i bimbi che vivono sul marciapiedi, danzare allegri sotto la pioggia ed essere a lei grati, in quel preciso momento. È un attimo anche perdonare.
Lasciando la città, seguendo verso monte il corso dei fiumi che scendono veloci a valle, in un turbinio di vortici caffelatte, si arriva a fronteggiare situazioni disarmanti. Questo oramai lo vediamo accadere ovunque nel Mondo, quindi non sorprendono più di tanto le frane, gli allagamenti, le automobili che vengono trascinate via da ondate di acqua e fango, eppure qui tutto assume proporzioni sempre esagerate. Fra le tante disgrazie di quest’anno, a parte chi viene travolto e perde la vita in nome di un video o un selfie in situazioni palesemente pericolose, o per mettersi in pellegrinaggio durante la stagione peggiore, in massa e armati più da bastoncini per i selfie e non quelli a trekking, una ha lasciato davvero il segno. La sparizione, in 5 minuti, di un intero villaggio in Uttarakhand, il villaggio di Dharali. Qualcuno dall’alto ha ripreso l’ammasso di fango e detriti che si stava stava dirigendo inesorabilmente verso il villaggio, costruito su entrambe le sponde. È stato un attimo. Il fiume era diventato un mostro vorace che prendeva le curve facendo dei balzi impressionarsi, per poi abbattersi sul villaggio, mentre la gente ignara camminava per la strada. Non c’è stato il tempo di accorgersi cosa stava arrivando dalla parte opposta, mentre chi riprendeva urlava per avvisare chi stava sotto, ma inutilmente.
Come mi devo rapportare a questa stagione? Non lo so, come tutte le cose dipende da quale angolazione le guardi, egoisticamente dalla mia prospettiva è un bel periodo, non lo avrei forse più definito tale se il mio appartamento fosse finito sotto l’acqua straripata dai tombini… Non lo definisce così, seppure magari lo accoglie con gioia, chi ogni anno perde la casa e le sue poche cose, chi rimane isolato per settimane perché la strada che porta al suo villaggio è crollata, chi deve sopportare di dormire su un marciapiedi bagnato. Se penso a tante di queste situazioni fatico a sentirmi bene nella posizione in cui mi trovo. Penso anche che molte situazioni che si vanno creando siano conseguenza di azioni e scelte fatte, che poi ricadono sulla gente comune che non sempre ha responsabilità in merito, o una voce che la rappresenti pensando davvero a loro.
Le immagini di Delhi sotto il monsone. (Tutte le foto sono di Elena Tommaseo ©)
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