Perché viene in mente di praticare yoga? Perché fa male la schiena? Forse. Perché ci sentiamo legati, contratti? Forse. Perché non respiriamo bene? Forse. Perché dicono che fa rilassare? Forse. Perché lo fa un nostro amico? Forse. Perché lo fanno tutti? Forse. E per infiniti altri motivi, tutti validi, apparentemente esteriori, a volte, ma che sono il sintomo facilmente interpretabile, anche solo provando in modo molto maccheronico, a esplorarne il significato evidente.
Vediamo i primi di questi esempi appena elencati. Quali pesi portiamo che la nostra schiena non può più sostenere? Cosa ci costringe, trattenendoci a sé, quindi a cosa abbiamo dato il potere di re-legarci in un contratto rigido? Non respiriamo bene? Se non ci sono occlusioni fisiologiche il respiro è un’azione spontanea completa come nei bambini ma che lentamente, nel crescere, viene modificato dal processo mentale che lo devia nel suo binario di abitudini. Ansia, pensieri agitati, costante sindrome da primo/a della classe, o da Calimero, aspettative, delusioni, esperienze traumatiche, tutto concorre a “spezzare il fiato”, a interrompere il flusso vitale.
O forse, consapevolmente o meno, ci si ritrova in una sala su un tappetino, finalmente, perché nasce l’esigenza di vivere una vita diversa? E ancora perché? Perché una vita diversa? Diversa da cosa? Perché lo stress prende alla gola, perché ovunque ci giriamo sembra che una costante valanga di violenza e guai nutra il tempo e lo spazio che viviamo. Perché difficilmente l’ambiente intorno a noi regala equilibrio. Perché abbiamo fame di amore, rispetto, calma, e ci troviamo immersi in cicloni di inquietudine. Perché la parola giustizia è un valore per cui è diventato necessario combattere, non un diritto acquisito da battaglie durate secoli e dal buonsenso. Perché la nostra opinione è sempre una miccia per accendere un avversario pronto a esplodere, o quella del prossimo, motivo per noi per provare astio o rabbia nei suoi confronti, se contraria alla nostra. Diciamo “È giusto avere opinioni diverse”, per educazione, perché fa “fico”, zen, spirituale, intellettuale, filosofo, ma poi dentro sappiamo che questo pensiero ha un sottotitolo «Se però la tua opinione è diversa dalla mia, sarebbe meglio che tu la cambiassi».
Siamo immersi nella tempesta dell’informazione h24. Come apriamo il Pc o lo smartphone, qualcuno odia qualcun altro. Senza motivo, per default. Il mondo sembra davvero impazzito da tempo, ma in questi ultimi cinque anni, dal Covid in poi, lo sbando è cresciuto esponenzialmente. Circondati dalla follia, dallo squilibrio planetario. Società senza riferimenti, Capi di Stato che nessun regista fantasy o psycofantascientifico avrebbe potuto creare in modo così grottesco, nei modi, nelle espressioni, nei principi che li muovono, nelle parole emesse. Tutto ha il colore del falso, del fake, dell’alterazione come i volti nelle immagini sui social o la composizione degli alimenti nei supermercati. I mezzi di comunicazione hanno un solo argomento: guerre, guerre, guerre. Nessuno è più attendibile: nelle scuole i professori vengono aggrediti non solo dagli allievi, ma anche dai genitori degli stessi, se questi vengono ripresi per qualche carenza o mancanza di rispetto; ospedali dove medici e infermieri nei Pronto Soccorso chiedono una protezione dalle forze dell’ordine perché subiscono costantemente il pericolo di essere percossi da pazienti e familiari intolleranti alla pazienza (pazienza che ha richiesto un salto di qualità molto alto a causa del malessere creato dalle inefficienze di una sanità allo sbando). Vedere attraverso questa nebbia è un compito davvero arduo.
Crediamo che tutto questo caos non sia anche dentro di noi? Che non sia anche il nostro stato interiore nutrito da tutto quello che ci circonda? Che basta far finta che non ci sia chiudendoci in casa o acquistando qualcosa o pensandola come il più forte? O come il più debole? Urlando o tacendo? Allora per cosa scegliamo di fare yoga?

Scegliamo di distenderci su quel già citato tappetino, spesso, perché non ce la facciamo più. E se davvero riesci ad ammetterlo, il più è fatto. È un atto di resa. Di abbandono. Non di sconfitta, di abbandono. Perché tutto questo buio non può essere l’unica realtà. Perché abbiamo una scintilla interiore che ci spinge a seguire ciò che siamo al di là delle fumosità che ci circondano. Ma è necessario donarsi un tempo per tirarsi fuori da questo “fumo”.
Quale attività o disciplina al mondo richiede di arrenderti per essere davvero te stesso? Di smetterla di decidere tutto, di importi, di vincere o di perdere, di darti un voto a ogni passo che fai? Di imparare a meravigliarti di te, di tutto? Di percepirti parte di una storia che c’era prima della tua venuta e che proseguirà anche dopo, e ne sei stato e ne sarai parte per sempre! Di metterti nelle braccia della Forza che tutto sostiene in questo istante, in ogni attimo di gioia, ma anche nel momento in cui pensavi di non farcela più, per adagiarti e reimparare ad Essere.
Ecco, fra le mille definizioni dello Yoga, “la via per Essere” è un buon motivo per provare a farne esperienza, e forse una motivazione sotto il famoso mal di schiena.
Lo Yoga è un viaggio misterioso nel cambiamento, non per sopportare i disagi, ma per attraversarli. Per lasciarci attraversare, a volte. Perché tutto accade, non contro di noi. Accade e basta. Il fatto che siamo partecipi dell’evento, può rimanere un’esperienza temporanea nel quale navigare per sentire dove l’onda, battendo sullo scafo del nostro passaggio, evidenzia piccole o grandi incrostazioni date dalla stasi energetica, create dall’inerzia, dagli automatismi, dalle paure, dalle identificazioni, per poter scivolare verso percezioni e intuizioni diverse, rispetto a ciò che accade. Ma la buona notizia è che sotto le incrostazioni, la chiglia del nostro andare, è liscia come uno specchio, ed è fatta per planare in ogni condizione. Queste “incrostazioni” sono spesso le modalità dell’ego di difendere sé stesso ad ogni costo, motivo per cui ricadiamo sempre nelle stesse difficoltà o a quelli che chiamiamo ostacoli. Sono i solchi che ci dividono dal prossimo (inteso come l’altro), che ne ha altrettante, e su cui noi non possiamo fare nulla.
Allora quella “resa”, è l’atto di toglierci dalle spalle (ricordi il mal di schiena?) lo zaino delle incrostazioni, visibili, coscienti o meno, e renderlo. Rimetterlo alla Vita come si fa con qualcosa che non ci riguarda più, ma che sappiamo averci custodito per un periodo. Anche con gratitudine. La coperta di Linus da lasciar andare. Personalmente non butto mai un libro, anche se non mi è piaciuto o non mi ha interessato, lo rendo alla vita. Lo regalo o lo porto in un punto dove rimarrà al servizio di chi potrà usufruirne. Anche le nostre incrostazioni, difetti, rigidità, limiti, sono state utili per la sopravvivenza finchè non le abbiamo trattenute per chissà quale motivo. Paura? Per riempire? Insicurezza? Non è obbligatorio indagare il perché o il per come tirando fuori colpe o altro, ma comprendere che stavano mantenendo la barca della nostra esistenza, da tempo a vele spiegate, come se ci fossero delle cime fissate sul molo in porto. Più soffia il vento del cambiamento ormai non procrastinabile, più l’imbarcazione stride per salpare. Siamo destinati ad andare. La vita è costante cambiamento. Da un porto ad un altro non c’è mai un ritorno, soltanto un bellissimo viaggio di andata.
Ed ecco che quel metro e ottanta per sessantacinque centimetri di materiale antiscivolo (o come vi pare a voi, o prato o telo, è solo un sinonimo di qualcosa che ho già ripetuto) su cui ci stendiamo o ci muoviamo o fermiamo o sediamo, diventa il nostro nuovo scintillante scafo su cui planare sull’onda del momento presente. Chi è al timone? Noi! Chi decide la rotta? Ecco qui sta il punto. Se sei arrivato allo Yoga, è perché senti che la rotta va cambiata. Non stai più al gioco degli altri. Rimanendo sulla metafora marina, allora tutto ciò che utilizziamo per fare questo genere di calcolo è necessario che smetta di imporsi sulla nostra carta nautica, perché credevamo di essere il Mar Mediterraneo (meraviglioso per carità) ma invece siamo l’Oceano sconfinato. Stavamo girando in tondo in confini troppo stretti. Ed è tutto un altro viaggiare, nell’Immenso. C’è bisogno di affidarsi a spazi di cielo interiore molto più ampi, fino a perdersi, come goccia nell’Infinito.
Ecco forse lo Yoga è un po’ perdersi, in questo senso. Uscire dagli schemi, dal conosciuto, dai mari dei dictat interiori, della voglia di rispondere a tutto, di sapere tutto, di avere ragione su tutto (per alcuni di sentirsi sempre in torto) di ottenere, di reagire a tutto, di non fidarsi, di aggrapparsi, di ripetersi, di appropriarsi di ciò che non è nostro.
Ma allora lo Yoga è un salto nel vuoto? Ma certo che lo è! C’è più vuoto che materia intorno a noi, lo dice la scienza, e pensiamo di avere radici e sicurezze, mentre l’unica certezza è proprio il vuoto. Ma un vuoto talmente pieno che perdersi è ritrovarsi. Ritrovare quella Luce che ci aveva fatto sospettare che non può essere tutto come sembra, come mostra un momentaneo esterno. E che in questo “sembrare”, proprio la Luce ci guida, donata dal cammino dei grandi maestri che ci hanno preceduto e che hanno lasciato tracce di verità ovunque. A noi sta sperimentarle, ma non per un tempo X per poi mollarle perché “non ci riesco, non era vero”. Sperimentarle fino a sentire nel cuore il sussurro di un chiaro “È vero!”. E questo sussurro potrebbe avere il suono dell’AUM, la vibrazione dell’Eterno. Vale la pena offrirsi a quella resa che offre il vento verso questa direzione. Nel costante soffio della trasformazione. Ancora ti chiedi perché viene in mente di praticare Yoga?
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Questo è un po’ il manifesto dello yoga che pratico e che insegno da quasi trent’anni. Lo yoga si occupa della domanda essenziale che abita ogni essere umano. Del mistero del vivere, del mistero dell’essere coscienti. Del “chi” siamo e “come” siamo. La parola “Yoga” indica uno stato, uno stato fondamentale della coscienza. Non è un percorso che conduce da un luogo a un altro, e neppure una ricerca di benessere. È la possibilità di essere consapevoli di essere vivi e di come lo siamo. La possibilità di sentirsi espressione di una realtà indivisa. La pratica di Yoga si fonda sull’Osservazione e sul Cambiamento.
Lavoro con la voce da cinquant’anni. È stata la mia compagna, la mia arma gentile, il mio specchio: la radio, la tv, il canto. Con la voce ho raccontato e ascoltato, ho cercato emozione, ritmo, verità. Ma più la uso, più capisco che la voce non è solo suono: è respiro che si manifesta, corpo che vibra, anima che prende coraggio e decide di farsi sentire. È la forma più diretta di presenza
La speranza di una donna che è scappata dall'orrore e ha cercato un futuro con i suoi figli su un'isola della Grecia. Ma ha lasciato l'amore della sua vita e non vuol sapere che lo rivedrà solo come nuvole nel cielo...
Per invecchiare meglio bisognerebbe leggere più libri sulla biologia e guardare meno pubblicità. Facile a dirsi, un po’ meno a farsi. Perché i condizionamenti sociali sono enormi. Ma a prescindere dallo sviluppo tecnologico che l’umanità ha raggiunto, le domande sulla vita e sulla morte rimangono le stesse. Perché nasciamo, perché moriamo? Ai quesiti esistenziali senza tempo rispondiamo con trapianti e i ritocchi, mentre dovremmo imparare a meditare...
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