Quale potente della terra, re, presidente, si sognerebbe oggi di consigliare ai propri figli in età adolescenziale, nel bel mezzo delle turbolenze della crescita e dei disagi interiori di questa età così difficile, aperta alle prime domande esistenziali (chi sono io? Qual è il mio scopo?), di affidarsi alla presenza di un maestro spirituale per qualche anno? Ve lo immaginate? Qui è tutto un imprimere sin da giovanissimi il senso della competizione e del successo a tutti i costi. La Gioia, viene insegnato, è frutto della soddisfazione, dell’ottenere. Fino a poco tempo fa regnava il CatStevensoniano «Trovati una ragazza, sistemati». Come se questo fosse tutto il possibile da vivere. La finalità del benessere viene confusa con l’appagamento e questa si riduce a un ambire a una più o meno decente condizione economica, verso cicli di studi o corsi che potranno, forse, tornare utili ma nel cuore e nella mente, non vibra alcuna emozione verso la direzione presa. Nessuna riflessione tipo: «Ciò che sto facendo, vale la vita che mi è stata donata, o copio l’esistenza degli altri, come i compiti dal compagno di banco, come si faceva da ragazzini per far bella figura o rubare un voto tanto per evadere la questione?»
L’abbandono del cliché proposto dall’esterno è forse la battaglia più ardua da combattere nell’età della crescita. Uscire dalla sensazione di “tradire” le aspettative degli altri, dei genitori, degli amici, dei parenti che si aspettano che tu sia chissà cosa nella loro mente, per molti diviene un baratro inaffrontabile e si va a finire di scivolare nella prigione dell’essere frutto di ciò che ci circonda. Non primizia del nostro germoglio interiore. Eppure la nostra esistenza (il perché della nascita è così straordinariamente legata al mistero), non dovrebbe avere come finalità la mediocrità. C’è in ognuno di noi una scintilla divina da manifestare! Veniamo al mondo dopo che uno spermatozoo (UNO!!!) su 150 milioni, risalendo in una corsa epica e per niente facile, raggiunge e feconda l’ovulo. Uno solo, se ne entrassero due, nell’ovulo, la vita non sarebbe possibile. Per evitare ciò, quando si verifica la fecondazione da parte di uno spermatozoo, l’ovulo attiva un meccanismo interno che impedisce l’ingresso di più spermatozoi. Se questo meccanismo fallisse, l’embrione non sarebbe vitale e la gravidanza non avrebbe luogo. Insomma siamo frutto di una scelta esatta, perfetta. Noi e non un altro/a, quel giorno, in quell’istante, dovevamo sbocciare. Non siamo un caso. Siamo l’unico evento possibile in quell’istante perfetto. Vengono i brividi solo a pensarci eh? Tutta questa magia, questa potenza, si manifesta e noi che facciamo? Rischiamo di accumulare fotocopie di chi ci ha preceduto aspettando che questo miracolo che è la vita, ci abbandoni senza aver compiuto, almeno in parte, il senso profondo del nostro esserci.
Ma torniamo al nostro re dell’inizio. Un meraviglioso testo della cultura indovedica, lo Yoga Vasishta racconta in forma di dialogo, la crescita di un adolescente in crisi, di fronte a domande esistenziali, spirituali, profonde, a paure e interrogativi, svelate nella relazione con una guida “giusta”, certamente non finalizzata all’offerta di risposte preconfezionate o legate ad un qualche ottenimento di “successo” come viene normalmente interpretato questo termine performante. Vasistha fu un grande saggio che decise di raccogliere l’enorme impegno di diventare insegnante del re Rāma. Rāma, si dice che apparve sulla terra per riportare il Dharma in risposta alla corruzione dilagante. La chiarezza rispetto all’oscurità. Bel progetto eh? Ogni epoca ha il suo buio, e spesso si è atteso un “salvatore”. Quando uno di questi luminosi esseri si manifesta, dice sempre le stesse cose, ma l’umanità sembra perennemente tarda di comprensione.
Il padre di Rāma, re Dasharatta, era preoccupato per il giovane figlio. Al ritorno da ognuno dei suoi viaggi Rāma appariva sempre più deluso dalla vita. Sembra il rampollo di una ricca casata, stanco di Suv, discoteche, weekend fighetti, che comincia a comprendere che la vita vissuta nell’assoluto materialismo, è un po’ essere già morti. La sua crescente apatia preoccupava il padre, che decise di chiedere aiuto al saggio Vasistha. Quando Dasharatta descrisse lo stato d’animo in cui versava il figlio, Vasistha se ne rallegrò: il tipo di disillusione che Rāma stava vivendo era, in realtà, un segno del suo percorso spirituale.

È necessario vedere la crepa sul soffitto prima di cominciare a vedere la luce brillarvi attraverso. Vasistha vide nello sconforto di Rāma un’opportunità e andò dal ragazzo. Rāma inizialmente non è che proprio sprizzasse di gioia nell’incontro col saggio. Era molto depresso e gli sembrava che l’intero mondo non avesse speranze. Genitori gioite! Va così, se c’è disagio, c’è fermento e crescita. Vasistha cominciò a spiegare che questa visione, apparentemente catastrofica, era proprio ciò che gli sarebbe servito per ritrovare chiarezza e che il suo percorso interiore era già cominciato. Aveva solo bisogno di una guida. Lo Yoga.
Lo Yoga è la guida più chiara che possiamo incontrare, perché ci dirige dall’interno. Che Grazia per chi lo incontra in età giovanile, quando tutto è confusamente associato a principi che spesso non ci riguardano, ma che abbracciamo per le motivazioni più disparate, lasciando emergere molto raramente la nostra brillante unicità. Al rientro dal suo viaggio, a Rama, disilluso dal senso della vita, viene offerta dal saggio Vashista una visione molto alta di chi è egli stesso.
«Tu non sei corpo e mente; tu sei infinito. Tu non sei imprigionato; la tua vera natura è senza limiti. Tu sei questo».
Le crisi esistenziali dell’adolescenza, si fondano sugli interrogativi legati al senso della propria realizzazione nella libertà, nella ricerca della felicità, da sempre, nel manifestare chi si È veramente. Il maestro dona risposte e chiarimenti alle numerose domande del giovane, ma subito, già nelle prime pagine, dichiara un cammino verso la chiarezza, la libertà interiore, che mi ricorda molto la pratica di yoga, vissuta insieme ai compagni di viaggio in sala, in ogni singolo incontro fra quelli che ho la gioia di tenere settimanalmente. Dice Vasishta:
«Rama, ci sono quattro guardiani all’entrata del Regno della Libertà. Essi sono: l’autocontrollo, lo spirito di indagine, l’appagamento in ciò che si ha e la buona compagnia. Il saggio ricercatore dovrebbe diligentemente coltivare l’amicizia di questi o, almeno, di uno di essi»
Sembrano sintetizzare un incontro Yoga, oltre che, ovviamente, il sentiero in cui vivere, per rivelarsi. Autocontrollo: essere costanti, non cedere agli alibi dell’impegno da assolvere a tutti i costi che allontana dalla pratica, non procrastinare. Dedicare spazio e tempo a sé, rende liberi. Ci vuole autocontrollo anche solo per arrivare puntuali alla pratica, e per qualcuno è una sfida (autogiustificata) per anni. Spirito d’indagine: Senza Yama e Niyama, non c’è Yoga. Non è una postura fisica a fare lo Yoga, ma la modalità di osservazione ed esperienza che viviamo in quell’atto fisico, che lo trasforma in offerta, divenendo preghiera. Nella preghiera, ci si dispone all’ascolto, non alla richiesta. L’indagine su di sé è lo scoccare della freccia dell’attenzione verso l’interno, e dove va l’attenzione, va l’energia che autorigenera l’interesse e rinnova costantemente l’esperienza. È l’inno alla curiosità priva di distrazione. L’appagamento in ciò che si ha: abbiamo tutto il necessario per essere felici. Ora.
Il nostro essere è Gioia. L’esistere è gioia. Il respiro è Gioia. Il presente è un frammento di gioia che nel procedere ritrova altri piccoli pezzi di un disegno immenso, non condizionabile a una cornice predefinita di un’idea basata su convenzioni esterne. Asana è stare nella Gioia, per scoprire la vita divina che scorre in noi. La buona compagnia: quando siamo in sala, impariamo la vicinanza, il silenzio insieme, a volte una lacrima, di frequente il sorriso, l’interesse per la propria sincerità, la via verso ciò che siamo di più profondo e alto. L’abbraccio con l’Infinito. Si cresce nel satsang, nel dialogo insieme nell’interiore sul sentiero dei grandi maestri.
Lo Yoga non è una tecnica di rilassamento. Lo Yoga è una via verso una coscienza più elevata, e per questo è necessario l’Abbandono, e ne diviene conseguenza. Per aprire quelle unghie serrate ad afferrare le identificazioni o il noto (le abitudini) ed accogliere l’abbraccio della Vita, fino alle radici della sua Sorgente. Abbandono come nelle braccia di chi, insegnandoci a nuotare da bambini, ci apre alla fiducia. È ben altro che rilassamento comunemente inteso, è uno stato di presenza attiva offerto dalla chiarezza. Dall’ Amore. Rama è la Luce che siamo. Ogni essere umano viene al mondo per portare la propria scintilla. Non è semplice manifestarla, a volte sembra quasi doloroso brillare, come la fatica del bruco per divenire farfalla, ma è il senso dell’esistenza di ognuno. Per imparare a Vedere. Per diventare chi siamo davvero.

Il maestro Ramin Bahrami, 48 anni, qualche giorno fa al Teatro Antico di Taormina ha ricevuto un prestigioso premio al Taormina Book Festival, ma il suo cuore era con la mamma, 89 anni, che «era partita da poco per andare a trovare l’anziana sorella» E ha lanciato un messaggio di pace. Perché, dice «dobbiamo capire, che siamo parte di una partitura più grande di noi che deve produrre un fiore di bellezza»

L’idea che possano esistere altri mondi oltre il nostro ha da sempre acceso la fantasia di scrittori e lettori, diventando col tempo anche oggetto di speculazione scientifica. Tra letteratura e fisica teorica, il concetto di universi paralleli ha attraversato i secoli come un ponte tra immaginazione e conoscenza, trovando nuova linfa negli esperimenti più recenti, come quello condotto dall’antenna ANITA nei cieli dell’Antartide...

Iniziamo il nostro viaggio nella cultura e nella storia dell’India antica, attraverso le letture e le parole che definiscono la fisiologia dello yoga e la psicologia della meditazione. Questo percorso seguirà le letterature e le filosofie dell’India antica e classica. Iniziamo questo grande viaggio, cercando di seguire la semplicità del pensiero indiano

Non è una postura fisica a fare lo Yoga, ma la modalità di osservazione ed esperienza che viviamo in quell’atto fisico, che lo trasforma in offerta, divenendo preghiera. Nella preghiera, ci si dispone all’ascolto, non alla richiesta. Non è una tecnica di rilassamento, ma una via verso una coscienza più elevata, e per questo è necessario l’Abbandono, e ne diviene conseguenza.

Il sistema delle caste in India è uno dei fenomeni sociali più antichi e complessi al mondo e affonda le sue radici nei testi religiosi dell’induismo. Nonostante i progressi legislativi, nella pratica le discriminazioni castali non sono scomparse. E anche se il peso elettorale degli “intoccabili” serve al potere, i loro diritti sono pochi e il cammino verso una piena uguaglianza rimane lungo e complesso...