Parlo casualmente con un ragazzo di 20 anni che ascolta e «canta per il piacere di cantare» la migliore musica d’autore che ha espresso il nostro Paese da Battisti, a Dalla, Cocciante, De Andre’…( conosce ogni parola, ogni pausa). Mi sorprendo in positivo e riconosco che non me l’aspettavo… Indubbiamente è merito dei suoi genitori, di un fratello maggiore come spesso si dice. Mi lancio in una conversazione: «Cosa pensi del valore dell’invisibilità e dell’autenticità creativa?». Mi guarda con onestà e dice: «Non esisti se non sei in classifica. È così che si sopravvive oggi, con un po’ di malizia e ragionamento economico. Devi entrare nel giro, farti notare. Poi nel tempo , magari, puoi anche fare cose più vere. Ma prima devi arrivare».
Questa risposta mi colpisce, non perché sia superficiale, ma perché è pragmatica. Rappresenta bene la logica dominante del presente: prima la visibilità, poi — forse — il contenuto. Il mercato detta il ritmo, e chi vuole stare a galla è costretto a ballare a quel tempo.
Ma io gli ho risposto: «Va bene, ma allora facciamo solo cose che piacciono al mercato o creiamo un percorso di valore nostro? Non che il tuo pensiero non sia valore, ma intendo dire valore che lasci qualcosa, che resista al tempo? In fondo tu stai cantando canzoni dei grandi coraggiosi cantautori italiani di 40 anni fa». Non c’è una vera replica da parte sua, solo un sorriso. Forse un dubbio, l’eco di una domanda che resta aperta.In un mondo che premia la visibilità, dove i riflettori sembrano essere diretti solo verso quelli che hanno successo in termini di fama e riconoscimento, il valore dell’invisibilità viene spesso messo in discussione. La visibilità, oggi più che mai, è percepita come un sinonimo di importanza e successo. I social media, la televisione, la cultura popolare creano una gerarchia della visibilità, in cui chi non appare o non è celebrato rischia di essere considerato inutile, irrilevante. Questo crea una cattiva abitudine che suggerisce che per essere validi bisogna essere visti, applauditi, riconosciuti da una massa. Ma se consideriamo la storia, la cultura e l’arte da una prospettiva diversa, vediamo che la verità non risiede nella quantità di applausi che ricevi, ma nella qualità di ciò che fai, nella profondità del messaggio che porti e nella coerenza con te stesso.
L’Arena della visibilità nella Società dei riflettori
Nel corso della storia, molti degli attori silenziosi, quelli che non cercavano fama, sono stati quelli che hanno prodotto cambiamenti più duraturi e significativi. La loro resistenza silenziosa non urlava, non si manifestava in maniera ostentata, ma ha agito e costruito nel tempo, prendendo forza da una fermezza interiore che non necessitava di approvazione esterna. Una resistenza che si esprimeva in modi che sfidavano il sistema, attraverso gesti quotidiani e canzoni inossidabili. Nel campo dell’arte, la visibilità è un’arma a doppio taglio. Da un lato, ti può portare a un enorme successo commerciale e alla possibilità di influenzare le masse, ma dall’altro, ti può spingere a conformarti a logiche di mercato che rischiano di snaturare la tua identità artistica. La vera arte non ha bisogno di essere esibita per essere apprezzata. Non è l’applauso che dà valore all’opera, ma la sua capacità di toccare l’anima delle persone, di comunicare emozioni, pensieri e visioni senza chiedere nulla in cambio. Molti degli artisti più significativi della storia, da Van Gogh a Emily Dickinson, sono stati invisibili al loro tempo, ma hanno lasciato un’eredità che ha attraversato i secoli. La loro arte è stata un atto di resistenza contro le convenzioni, un rifiuto di essere utilizzati come strumenti di mercato. Questi artisti hanno scelto di creare per il piacere di farlo, per la necessità di esprimere loro stessi, non per essere validati o applauditi.
In questo momento sembra che l’invisibilità sia diventata una condanna. I giovani dai social media e dalla società dei riflettori, sentono il bisogno di essere visibili per sentirsi importanti. Questo fenomeno ha portato alla crescita di una cultura del successo immediato e della gratificazione rapida, che lascia poco spazio per il lavoro paziente. Il valore di un individuo sembra essere misurato dal numero di followers su Instagram, dai “mi piace” su Facebook, e dalle visualizzazioni su YouTube. La carriera artistica o personale è diventata un gioco da ragazzi, dove chi è visibile vince, e chi è invisibile rischia di non esistere affatto. Ma questa corsa alla visibilità può avere effetti negativi sulla creatività e sull’autenticità. Per inseguire il riconoscimento e il successo immediato, si rischia di perdere se stessi, di non avere la forza di resistere alle convenzioni e di adattarsi a ciò che il mercato richiede. Così facendo, si rinuncia a un’altra forma di potere: quello che nasce dal fare qualcosa di vero, senza il bisogno di essere visti o applauditi.
Non c’è nulla di più potente della capacità di restare fedele a se stessi quando il mondo ti dice di adattarti. Oggi, più che mai, dovremmo riscoprire l’importanza dell’invisibilità come atto di resistenza, come scelta consapevole di non essere definiti dalle aspettative, Il mondo ha bisogno di persone che non rincorrono il riconoscimento ma creano, costruiscono, fanno il loro lavoro con passione e autenticità, senza la necessità di essere visti da tutti. Il valore di una persona non è mai legato alla quantità di occhi che la guardano, ma alla qualità delle sue azioni e delle sue creazioni. La vera grandezza risiede nella capacità di non farsi travolgere dal rumore del mondo e di restare nel proprio silenzio, mentre gli altri urlano. Non è mai l’applauso a definire un’artista ma la sua capacità di rimanere se stesso.
Se non sei nei top 10, se non sei seguito e amato dalla massa non esisti
L’invisibilità, piuttosto che essere un ostacolo, può essere dal mio punto di vista come una scelta di libertà, fuori dalle logiche del mercato e dei premi facili. Non essere visibili significa poter essere liberi di creare senza pressioni, senza l’assillo di piacere a tutti. La vera arte nasce dalla verità personale, dal coraggio di esprimersi senza compromessi. In un’epoca in cui si corre per diventare virali, fermarsi diventa un atto rivoluzionario. Scegliere di non inseguire il like, di non conformarsi al linguaggio dominante, di non aderire a ciò che “funziona” solo per ottenere attenzione, è un modo per restituire valore al contenuto, alla profondità, alla sostanza. La società dei riflettori ci mostra continuamente ciò che appare, ma raramente ci racconta cosa c’è dietro, o meglio, dentro. Sta a noi cambiare prospettiva, rivalutare l’invisibilità come un luogo libero, senza maschere. Il mio non è un invito a disprezzare la visibilità, ma a non renderla l’unico parametro con cui misurare il valore. Non tutto ciò che brilla è oro, e non tutto ciò che è nascosto è privo di luce. In un mondo che urla per farsi vedere, la voce di chi parla piano può arrivare più lontano. La vera domanda non è «quanti mi vedono?», ma «cosa sto dicendo davvero?». E soprattutto: «sto dicendo qualcosa in cui credo?».
A bien tot mes amis


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