Mi sono a lungo chiesto cosa possiamo fare per attirare a noi la Grazia. Intanto cos’è la Grazia. Siamo nati in ambito cattolico e la parola può avere delle criticità interpretative, ricordi o samskara giovanili, magari non sempre piacevoli. «Piena di Grazia» è detto in una famosa preghiera cattolica. Stiamo parlano della stessa Grazia? Quasi. Ho trovato queste definizioni nell’ambito dello Yoga: «Sinonimo di connessione a tutti i livelli interiori e con tutto ciò che ci circonda», «l’essenza universale dentro ogni essere. Spesso si associa ad armonia e gentilezza». Eric Baret dice che «La grazia tocca unicamente nei momenti di non-sapere, di non-pretesa. Non può mai toccare in un momento d’aspettativa, d’attesa, in un momento dinamico. Chiunque avanzi verso la grazia, non può che incontrare i suoi propri limiti». Siamo su livelli che definiremmo “alti”.
Ci pensa Satyananda a riportarci con i piedi per terra, per quanto ci riguarda come ricercatori e sembra quasi banalizzare tutto: «Lo Yoga – dice – è essenzialmente una scienza per il benessere fisico e mentale e dunque puoi utilizzare lo yoga per la tua evoluzione personale». Non banalizza. Ci riporta con i piedi per terra perché il pericolo che tutti viviamo o abbiamo vissuto è di partire direttamente dal livello superiore di consapevolezza senza esserci ancora. Parti, ti imbarchi in illusioni di essere chissà a quale livello di realizzazione e la prima volta che ti guardi nello specchio scopri l’autoinganno (spesso indotto da altri) e ti schianti a terra perché non hai preparato te stesso nella mente, nel corpo e nello spirito ad affrontare i venti siderali dell’alta quota, diremmo…
La Grazia – direi io – è semplicemente un dono. Qualcosa che ti arriva. Non si può definire questo qualcosa perché il percorso è estremamente personale. A un certo punto, inaspettatamente, ti giunge qualcosa: può essere una felicità diversa dalla solita felicità, un’intuizione sulla tua vita, un suono… Non sto a descrivere cose perché sennò finiscono derubricate come «suggestioni» ed è così in questo caso. Le suggestioni servono per uscire dai vortici dei pensieri, dal nostro bisogno costante di controllo, ma solo per questo. Le suggestioni sono poesia, non verità, ma aiutano ad arrivare al vero dentro di noi.
La Grazia è un dono che arriva nonostante noi. La Grazia non si può conquistare come la padronanza del respiro o una certa attitudine a un asana. È un dono quindi è gratis, e non per niente gratis ha la stessa radice di gratia in latino. Ma c’è un modo per attirare la grazia? Come delle radioline a transistor, ci si può sintonizzare per connettersi con la Grazia? Possiamo “dimostrare” all’elargitore della Grazia che potremmo maritarci questo dono?
La prima cosa da metterci nella testa – e non è cosa facile – è che non possiamo “comprarla”. Elvis Presley lo chiese a Daya Mata, voleva prendere l’iniziazione della via di Yogananda, il Kriya, ma non aveva tempo e possibilità di seguire un percorso e le disse che era disposto a dare qualsiasi cifra. Ma la risposta fu «no». Puoi fare mille corsi, ma non è automatico che ti giunga, anzi, spesso fare mille corsi in mille direzioni diverse, la allontana. La dispersione non attira la Grazia. Non possiamo neanche aspettarci niente. E questa è la prova più impegnativa. Non ci meritiamo niente, nemmeno se meditassimo 10 ore al giorno con l’intento di ottenere la Grazia. Non sappiamo cosa sia e come si esprimerà per noi, ma posso dirvi che quando ci tocca la sentiamo. È un tocco lieve, come una brezza interiore, una inspiegabile esplosione di gioia che ci rilassa e ci pone in una non-tensione: come essere accolti e abbracciati dalla mamma che avremmo voluto avere…
Ho pensato a quattro atteggiamenti per attirare questa Grazia:
1. Il primo atteggiamento è mentale, un desiderio indefinito, una tensione “verso”, un continuo studio di sé e dei testi. Studiare serve per non finire nell’illusione, nel New Age.
2. Il secondo atteggiamento è pratico, perché non basta studiare e pensarci per attirarla. Serve ma è necessario andare oltre: occorre praticare senza aspettativa ogni giorno o almeno con una frequenza che ci permette di non scollegarci mai dall’intenzione. Tra un momento di meditazione e l’altro ci dovrebbe essere un filo continuo interiore anche se tra i due momenti passano 48 ore… La ricerca, il contatto con il profondo, non può andare in vacanza, è necessario mantenerlo anche in vacanza: basta chiudere gli occhi cinque minuti davanti al mare o prima di dormire la sera, basta recitare i nostri mantra sottovoce, basta mantenere il contatto come con il partner quando si è lontani, almeno due messaggi al giorno per dirsi che ci si vuole bene. Ma la pratica continua è necessaria. A un certo punto quando la pratica dura per anni, ci sono momenti complicati. Quella che descrive Baret in quello che sto per leggervi lo sto provando da mesi e non è semplice: «Nella sadhana vivete con la sensazione che morirete tra un minuto».
3. La gratitudine. Accorgersi di quello che siamo, dei doni che abbiamo e riceviamo, dell’amore che ci circonda anche se siamo soli, del tanto che possiamo vedere anche in un solo sorriso. La gratitudine è il terzo atteggiamento che non è un abito, ma una consapevolezza profonda.
4. La quarta intenzione è non avere strategia. Meditare, praticare per la sola gioia di farlo. Non aspettarsi nulla dalla pratica. Dice ancora Baret che allora «si compie da sola. La grazia non è altro che questa evidenza».
Ricordate quello che dice Satyananda? «Lo Yoga è essenzialmente una scienza per il benessere fisico e mentale e dunque puoi utilizzare lo yoga per la tua evoluzione personale». Sta dicendo che se si prova a intraprendere la via dello Yoga per ottenere la Grazia abbiamo perso in partenza. Bisogna stare bene per questo, nella mente e nel corpo. Per fare le pratiche avanzate di Prana Vidya, di Pranayama, bisogna stare bene fuori ma anche dentro. Lo Yoga è fatto per persone che stanno rimettendo a posto la propria interiorità, che sono aiutati anche nel caso da uno psicologo, perché le profondità in cui ci porta sono insondabili. Questa è la Grazia, un dono che non ti aspetti, il dono di cui avevi bisogno e che non pensavi di poter meritare.


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