Probabilmente vi sarete già imbattuti in chi parla di “accesso ai Registri Akashici” come se fosse un Google Drive o un Cloud cosmico: un archivio eterno che permette di conoscere le vite passate, rivelare la tua missione divina o capire perché la tua ultima relazione si è conclusa (spoiler: ti diranno che era karmicamente destinata a fallire). Ma, dietro queste affascinanti promesse spirituali, c’è una confusione monumentale tra due concetti fondamentali che, storicamente, sono molto diversi: ākāśa ed etere.
«Ākāśa è il substrato del suono». (Sāṃkhya Kārikā, 2.8)
(Non si parla di registri akashici, ma del suono nell’universo. Un dettaglio importante, credetemi.)
Ākāśa nella tradizione indiana significa semplice, sottile e spazioso; nel sistema filosofico Sāṃkhya, uno dei più antichi e strutturati dell’India, l’ākāśa è uno dei cinque elementi (o mahābhūta) che formano la realtà materiale. È il più sottile e, in un certo senso, il più “spirituale”, ma anche il meno interessante se sei in cerca di visioni o rivelazioni cosmiche.
Natura di Ākāśa: Spazio, etere, substrato del suono.
Funzione: Permette la propagazione delle onde sonore.
Accesso: NO, non consultabile come un campo di informazioni universale. Si tratta di un elemento materiale e fisico, pur essendo sottile.
Quindi, quando leggiamo nelle Upaniṣad che ākāśa è il principio che consente all’universo di manifestarsi, va compreso come un aspetto della realtà materiale, non come un database eterico per tutti i segreti del mondo. Chi ha trasformato l’Ākāśa in Etere? Risposta: la New Age, che acquisisce il termine ākāśa con una svolta creativa. Si mescolano in un colpo solo Platone, l’elettromagnetismo ottocentesco, un po’ di spiritismo e qualche interpretazione quantistica. Ed ecco che nasce il concetto di “Registri Akashici”. In questa nuova visione, snaturando ogni tentativo di analogia concettuale e linguistica, ākāśa non è più uno dei cinque elementi. Diventa una specie di etere cosmico, un campo sottile che non solo permea tutto l’universo, ma contiene tutte le informazioni riguardo alle anime e alla storia universale. In sostanza, non è più solo un elemento fisico, ma assume la connotazione di coscienza e memoria universale. La confusione è lampante. Non stiamo più parlando di un principio materiale che fa parte della cosmologia indiana, ma di un campo cosciente che sente archivia e legge le esperienze universali. Ma qualcuno lo deve fare per te…
L’errore filosofico che apre all’esoterismo
Ora, vorrei chiarire che non ho nulla contro la creatività in tutti i campi e che, nella spiritualità, viva l’espressione di concetti complessi che si adatta ai tempi e ai contesti. Ma se prendi un concetto che esprime un costituente della natura, lo estrai dal suo contesto e lo “rivendi” come un “archivio energetico”, stai creando una distorsione filosofica. Eppure, questo è esattamente ciò che accade. La versione New Age dell’ākāśa è una fusione confusa e flessibile di etere, memoria collettiva e coscienza universale. Ma il problema è che ākāśa non ha nulla a che fare con le informazioni coscienti. È, in termini filosofici, una componente materiale di prakṛti, la materia, non una dimensione dove si trovano risposte alle tue relazioni problematiche o alle tue vite passate. Serve un uso sensato delle parole, anche se sono così lontane da noi. L’ākāśa non è un archivio segreto dell’universo, ma la parola esotica, potente e affascinante è facile da usare per vendere varie tecniche, che forse hanno giusto il pregio di farci sperimentare la risonanza con il piano vitale, energetico, sottile delle cose.
Effetti collaterali
Anche il fumoso concetto di channeling si basa sull’idea che l’ākāśa sia un “archivio cosmico” che contiene tutte le informazioni universali può portare a interpretazioni superficiali. Così, invece di cercare una connessione profonda con il proprio sé o con le energie universali, alcune persone potrebbero sentirsi attratte da risposte facili, ma vaghe. Nelle meditazioni guidate, dove si promette l’accesso ai “Registri Akashici”, si distoglie l’attenzione dall’obiettivo tradizionale della meditazione, che è quello di far calare la potenza della mente, di ridurre le fluttuazioni e di raggiungere la coscienza pura, non di esplorare un “database spirituale”. Allo stesso modo, molte terapie alternative che si basano sull’idea di “guarigione energetica” attingono erroneamente a concetti come l’etere o l’ākāśa come se fossero campi energetici in grado di risolvere disagi fisici ed emotivi, ma questo spesso porta a “soluzioni” facili che non affrontano la radice dei problemi.
La confusione sottrae autenticità e potere alle pratiche – tutte – ridotte a esperienze spirituali in modalità superficiali, senza crescita durevole o reale cambiamento di consapevolezza. Che piaccia o meno, le uniche esperienze spirituali sono nel silenzio della meditazione. Quando scopri di avere già dei poteri che non hanno bisogno di un nome. Quando quello che vedi non necessariamente ti piace, ma neanche è così importante come credevi. L’accesso a un granello di coscienza universale non ha nulla a che fare con letture “esclusive” e terapie a pagamento. Se c’è una spiritualità autentica, si basa sulla disciplina, sull’ascolto interiore e sul rispetto delle tradizioni. Se pensi che sia uguale rivolgersi a qualcuno che dice di avere l’abbonamento a una versione “premium” dell’universo, forse è il momento di rivedere cosa stai cercando e perché.
PS: Se ti è piaciuto questo articolo, condividilo con chi ha letto troppo la Blavatsky e troppo poco Patañjali.


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