«Queste vite buttate nel cesso…». L’espressione è forte, forse è detta in un momento di sconforto, anzi forse è solo pensata a voce alta da un passante ieri sera sui Navigli a Milano. Chissà a cosa pensava.
Non ho messo il punto di domanda a questa che dovrebbe essere una domanda, perché in realtà è un pensiero pleonastico, ridondante, la risposta la so, forse la sai anche tu che leggi, perché tutti noi abbiamo incontrato persone che hanno gettato via la propria vita. Mi sbaglio? Forse in qualche momento abbiamo pensato quella cosa di noi, magari in un periodo della vita in cui ci si lasciava vivere, in anni in cui non riuscivamo a prendere decisioni, oppure in momenti in cui eravamo attori attivi o passivi di una forte quanto inutile contrapposizione.
Quel pensiero a voce alta di quello sconosciuto calzerebbe a pennello a quegli uomini che la cronaca ci sta portando in prima pagina e che hanno tolto la vita alle loro ex compagne o mogli e hanno reso orfani i loro figli. Quante vite buttate nell’umido, sì. Senza un perché.
La violenza è davvero un gesto mentale, un clima interiore, una forma della mente che non lascia scampo. A sé prima di tutto, e poi all’altro o all’altra.
La violenza è dentro ciascuna donna e ciascun uomo. L’avete mai vista? Vi siete mai accorti della potenzialità negativa che abbiamo dentro? Avete intuito l’attimo in cui dalla rabbia potrebbe nascere qualcosa di peggio? Non credo ai raptus: quell’attimo è un preciso momento in cui si decide di esprimere un gesto violento. Oppure si decide il contrario, che non ce lo meritiamo noi per primi e allora riponiamo quell’istinto e decidiamo di passare oltre.
La violenza s’impara in casa? Certo, chi ha avuto questi esempi è a rischio, ma quell’istinto è insito nell’uomo. Quello che si impara in casa o lavorando su di sé è che è inutile oltre che esecrabile dare seguito al pensiero. Questa è la differenza tra la conoscenza e l’ignoranza, una ignoranza di sé e del nostro destino, del motivo per cui siamo nati e per cui viviamo.
Ecco cosa significa «buttare la vita nel c…»: significa lasciare che l’ignoranza di sé prenda il sopravvento, che i ragionamenti diventino grossolani, “tagliati spessi”, senza un moto del cuore che susciti comprensione, empatia, compassione. Buttare via la nostra esistenza significa non tenere conto di chi siamo e di quello che valiamo e contiamo.
Vuol dire gettare via il tempo per ordire trame di guerra, per fare dispetti, per rispondere a chi ci fa del male o ci disturba.
Significa alzare il tono dello scontro. Significa anche non fuggire da un uomo o da una donna violenta, non tenere conto di ciò che vogliamo fare della nostra vita, mettere noi in secondo piano rispetto all’ego del prossimo.
Quando un ego altrui diventa ingombrante, il consiglio dei migliori terapeuti è di uscire dal gioco. È un peccato? Avete paura di perdere qualcosa? Avete solo da guadagnare. Un egoico non ha la capacità di mettersi in discussione, sarà sempre e solo colpa tua. Anche restare in questo gioco perverso è una «vita buttata nel c…».
La vita è un gioco imperfetto giocato da esseri umani imperfetti, che dà risultati altamente imperfetti. L’unica colpa che potremmo avere è sprecarla, buttarla via per non aver usato il cuore, l’empatia, la gentilezza e la compassione nei nostri confronti e nei confronti degli altri…
Quando si entra in questa ottica virtuosa si comprende che il cuore non è mai abbastanza, per sé e per il mondo, ma che tutto ciò che possiamo fare è provarci, abbandonare le intenzioni di violenza e di rabbia per entrare in un flusso di libertà e di pace. Non è facile, ma solo così potremo dire di non aver buttato via la vita.


Il sistema delle caste in India è uno dei fenomeni sociali più antichi e complessi al mondo e affonda le sue radici nei testi religiosi dell’induismo. Nonostante i progressi legislativi, nella pratica le discriminazioni castali non sono scomparse. E anche se il peso elettorale degli “intoccabili” serve al potere, i loro diritti sono pochi e il cammino verso una piena uguaglianza rimane lungo e complesso...

Lo Yoga è patrimonio dell’umanità come lo sono le grandi religioni, il pensiero di Socrate e Platone e le canzoni di Bob Dylan e dei Beatles. Fa parte del nostro immaginario e ha dato all’uomo – non solo all’uomo indiano hindu – una via di liberazione dalle sofferenze. Ecco perché lo celebro sul palco dell'Arena di Milano...

Il primo ministro Modi che ha voluto questa “festa” è la persona meno adatta a parlare di yoga perché il suo governo e il suo partito sono repressivi, violenti e irrispettosi dei diritti umani. Io non ci sto: sono profondamente convinta che lo yoga non sia un proclama di intenti, ma uno stato d’essere, una esperienza personale di chi ha trovato in questa disciplina uno strumento per vivere con più equilibrio e serenità la vita quotidiana

Dice Swami Niranjanananda, erede di Satyananda: «Il secondo capitolo dello Yoga è una nuova visione dello Yoga, non come pratica, ma come vidya, una saggezza che va compresa, assimilata ed espressa nella vita». E poi ancora «risvegliare e integrare le facoltà di testa, cuore e mani». Qualcosa si muove nel mondo di questa via spirituale, non più con l'obiettivo di un corpo flessuoso, ma di una vita integrata. Ed era ora

Nell’agosto del 2022, a pochi mesi dalla morte di mio padre, decisi di ripercorrere le orme del principe Siddhartha Gautama. Il suo percorso, come sappiamo, culminò con l’“illuminazione”. Il mio è stata un'immersione nella sua spiritualità e nei luoghi che lui toccò. Un'emozione che vi racconto a parole e con le mie immagini

Quando si parla di testi della tradizione Hatha, di solito si menzionano la «Siva Samhita», la «Gheranda Samhita» e l’«Hatha Yoga Pradipika». Ma nelle biblioteche indiane giacciono migliaia e migliaia di manoscritti in attesa di essere tradotti. Gli esperti sono pochi e quindi ci vuole tempo. Da poco, per esempio, è stato scoperto e tradotto un altro testo, l'«Amṛtasiddhi», tradotto da James Mallinson, e a sua volta tradotto in italiano dalla nostra Amalia Cornale