
La verità a richiesta, come le bustine di ketchup. Succede così stai parlando con qualcuno – un amico, un collega, il barista che ti serve il caffè con lo zucchero di canna e una confidenza a metà – e a un certo punto, dopo che hai detto la tua, ti arriva addosso come una raffica gentile ma sospetta:
«Sincero sincero?».
E tu tentenni.
Aspetta.
Prima non stavo dicendo la verità?
O forse ero in modalità economica, tipo «risposta civile per la sopravvivenza sociale»?
È come se la sincerità non fosse lo stato predefinito, ma un’opzione attivabile. Come il ketchup al fast food: non è che non c’è, ma te lo devi meritare.
«Vuole un po’ di verità?»
«Solo se ne resta».
Viviamo in due modalità:
1. Tirare a campare – la risposta moderata, levigata, diplomatica, pensata per non urtare, per non aprire falle. È il “tutto bene” anche se sei sull’orlo di una crisi di nervi.
2. Dire la verità – ma solo se richiesto, magari con cerimoniale, come una password segreta.
Sguardo diretto + tono basso + la formula magica: «Sincero sincero?»
Esempi di vita vera:
– Lei: «Ti piace questo vestito?».
– Tu: «Sì, molto originale!».
– Lei: «Sincero sincero?».
– Tu: «Sembra uscito da un spettacolo dei Legnanesi».
– Collega: «Sono stato troppo duro con il cliente?».
– Tu: «No dai, ci stava».
– Collega: «Sincero sincero?».
– Tu: «Hai fatto piangere anche la cassiera».
Il fatto è che abbiamo tutti bisogno di filtri.
Diciamo cose vere, sì, ma in un formato digeribile. La verità cruda va giù solo se preparata bene – con un po’ di empatia, magari con un contorno di ironia. O con una safe word: sincero sincero. E poi arriva lei, Caterina Caselli. Già negli Anni 60 qualcuno aveva intuito il problema. Caterina Caselli lo cantava chiaro, con la voce di chi non ha bisogno del “sincero sincero” per dirti in faccia come stanno le cose: «La verità mi fa male, lo so… La verità ti fa male, lo sai…» Due versi, una sentenza. La verità fa male a chi la riceve e a chi la dà. Una pallina di ping pong emotiva che rimbalza tra due umani pieni di orgoglio, paure e zuccheri aggiunti. E allora forse quel nostro «sincero sincero?» non è altro che la versione aggiornata – postmoderna, emoji-compatible – di quell’antica, eterna paura: non è che la verità non la sappiamo… è che temiamo non sia sostenibile.
Ma una volta era diverso? Forse. Forse no. Nel Medioevo dire la verità poteva costarti la testa, quindi la menzogna aveva un tono più tragico, più teatrale. Poi vennero i secoli delle lettere sincere, dei poeti maledetti, dei diari segreti scritti con l’inchiostro della verità. Oggi invece abbiamo i vocali WhatsApp e le stories da 15 secondi con filtri bellezza. La verità? Solo se fa like. Però qualcosa è cambiato davvero: la sincerità non è più scontata. È diventata una scelta. E non sempre si ha il coraggio di sceglierla.
Dal presente: La Verità di Brunori Sas, un brano che va dritto al punto, come una confessione sussurrata e potente:
«La verità è che ti fa paura
A pensarci seriamente
A vivere veramente
La verità è che ti fa paura
Perché è sempre quella
Troppe volte quella
La verità ti fa male, lo sai…».
Sì, eccola di nuovo, quella frase. Brunori la raccoglie dal passato e la riconsegna al presente con nuova intensità. Un ponte tra Caterina Caselli e la generazione del dubbio, dei post non letti, dei messaggi lasciati in sospeso e delle identità fluide. Perché oggi la verità non è solo “dire quello che pensi”, ma anche trovare il coraggio di essere quello che sei, senza maschere, senza filtri, anche se non fa piacere. Anche se fa tremare le gambe.
Epilogo: in bellezza, ma veri
Allora che fare? Forse niente di troppo eroico. Forse basta solo iniziare a dire la verità con più gentilezza, ma senza scuse. Non per ferire, ma per liberare. E magari, prima di dire qualcosa, chiediamoci:
«Voglio sopravvivere alla giornata o voglio davvero esserci?»
Perché la verità non è solo quello che dici.
È come lo dici.
È il rispetto per chi ascolta e per chi parla.
E sì, a volte fa male.
Ma come diceva qualcuno molto prima di noi:
«La verità vi farà liberi».
E liberi, onestamente, è un bel modo di chiudere.

Il problema con un sano iter del piacere nasce quando noi vogliamo costantemente riprodurre quei momenti. La nostra mente diventa “drogata di piacere” anche se, razionalmente, sappiamo che questo è un inganno. Come può un momento unico, frutto di innumerevoli sacrifici e fatica, o semplicemente di circostanze favorevoli, essere ripetibile a piacimento?

«Yoga è governare gli aspetti sottili della personalità», dice Yogasutra. Gestire le emozioni, i pensieri, le reazioni, le sensazioni. E questo può avvenire solo nel silenzio della staticità

Non esiste più una verità. Ogni cosa può essere vera o falsa, a seconda se si è follower di quella fonte, se si crede all’autorità che rappresenta, o se si rifiuti ogni forma di dogmatismo e principio di autorità. Così le notizie false vengono diffuse via social insieme a quelle vere. Perché, come dice il professor Galimberti, «quando sai dire solo mi piace o non mi piace, è chiaro che la bugia e la verità si confondono»...

Cattolici e buddhisti tibetani sono gli unici ad avere un capo spirituale e temporale della loro fede. Il che è una forza dal punto di vista di rappresentanza ma conta anche le sue problematicità. E mentre sta per iniziare il conclave, alcuni si chiedono chi penserà ai poveri ora che Francesco è scomparso. Se ne occuperanno le stesse persone che se ne occupavano prima: le donne e gli uomini di buona volontà di tutte le religioni. E continueranno a farlo qualsiasi pontefice verrà eletto

La verità non è solo quello che dici. È come lo dici. È il rispetto per chi ascolta e per chi parla. E sì, a volte fa male. Ma come diceva qualcuno molto prima di noi: «La verità vi farà liberi».

Il termine in questi anni ha perso la sua connotazione originale e originaria ed è diventato sinonimo di attività fisica. Mentre è sinonimo di ricerca interiore. Il passare da un’attenzione esterna a noi a un’attenzione all’interno di noi. E come facciamo? Questa domanda è il fulcro della pratica...