
Nell’agosto del 2022, a pochi mesi dalla morte di mio padre, decisi di ripercorrere le orme del principe Siddhartha Gautama del clan dei Shakya, nato a Lumbini, oggi in Nepal, indicativamente nel 500 a.C. Il suo percorso, come sappiamo, culminò con l’“illuminazione”. Da qui divenne il Buddha, “il risvegliato”. Proseguì il suo cammino condividendo ciò che aveva scoperto, attraverso numerosi sermoni, cammino che si concluse con la sua morte all’età di 80 anni. Tutto questo accadde qui, in India, dove paradossalmente oggi i buddhisti sono solamente lo 0,7% della popolazione, circa 8 milioni e mezzo.
Una mia cara amica di Treviso venne a Delhi e partimmo insieme, in un periodo surreale che sapeva fortemente di post-pandemia, dove di gente in giro se ne vedeva ancora poca. Con un treno notturno raggiungemmo Gorakhpur e da lì, in bus, Kushinagar saltando la tappa di Lumbini e Kapilvastu, dove un tempo si trovava il palazzo reale, non non volendo passare il confine. Kushinagar, nello Stato dell’Uttar Pradesh, (nelle foto sotto) è un luogo molto importante di pellegrinaggio, è qui che il Buddha lasciò il corpo in quel passaggio che viene chiamato parinirvana, lo stato in cui entra dopo la morte qualcuno che ha raggiunto il nirvana durante la sua vita, la liberazione dal samsara, karma e rinascita. Abbiamo iniziato dalla fine del suo percorso terreno, ma a poca distanza dall’inizio…
Un piccolo stupa moderno, all’interno del quale si trova un antico Buddha sdraiato sul fianco destro, marca il punto in cui si crede questi esalò il suo ultimo respiro. A Kushinagar il suo corpo venne cremato e anche questo punto è segnato da uno stupa eretto dai regnanti della zona, stupa rinnovato, come fece con altri, dall’Imperatore Ashoka nel III secolo a.C. Ashoka il Grande che, da spietato guerrafondaio, divenne in seguito un grande promotore del Buddhismo.
A Kushinagar ci procurammo un’auto per poter fare una tappa a Kesariya, all’epoca del Buddha Kessaputta, persa un po’ in mezzo alla campagna, sulla via per Vaishali. Qui si è già nello Stato del Bihar oggi, fra l’altro, lo Stato più povero dell’India e qui il Buddha, diretto al contrario nostro da Vaishali a Kushinagar, tenne il Kalama Sutta, un importante discorso. Qui annunciò per la seconda volta la sua morte imminente. Al rifiuto del Sangha (la comunità dei suoi seguaci) che non voleva lasciarlo proseguire da solo con pochi altri, donò loro la sua ciotola per l’elemosina, facendo intendere che non ne aveva più bisogno e che era giunto il momento di lasciarlo andare. Questi deposero la ciotola dove oggi sorge lo stupa che sembra essere il più grande al Mondo.
Quest’ultimo non si presenta molto ben tenuto, una parte è anche invasa dalla vegetazione, ma fa un effetto incredibile vederlo ergersi enorme in un luogo così remoto. Quasi ai suoi piedi, piuttosto affamate ed assetate, sul ciglio della strada mangiammo un paio di kachori sedute all’ombra di un baracchino che quello offriva… I kachori sono dei piccoli pani fritti farciti con lenticchie scure. Ci aspettava ancor un po’ di strada per raggiungere Vaishali. I tratti di campagna in Bihar mi sono piaciuti molto. Ogni tanto mosse da qualche collina, ti vengono incontro, almeno in agosto, distese di verde dalle diverse gradazioni, rese ancora più sature dalla luce del sole che filtra attraverso le nuvole monsoniche colore del mercurio, specie dopo un rovescio.

Vaishali, dove Siddharta Gautama si recò spesso, è un luogo molto importante che non riguarda solo il Buddhismo. Qui infatti nacque Lord Mahavira, il 24° Tirthankara, ovvero l’ultimo ed il più importante profeta Jainista. Siamo intorno al VI o V secolo a.C. Fu comunque a Vaishali che il Buddha permise per la prima volta alle donne di unirsi al Sangha, iniziando per prima la zia materna. Qui pronunciò il suo ultimo sermone e nel vicino villaggio di Beluga si ammalò gravemente. Ripresosi per forza di volontà, al ritorno annunciò al demone Mara, la personificazione della morte, della tentazione e delle forze che ostacolano l’illuminazione, che di lì a 3 mesi avrebbe lasciato il corpo e raggiunto il parinirvana, così fece con il suo discepolo più prossimo, il cugino Ananda. A Vaishali, dopo la sua morte, si tenne inoltre il secondo grande concilio buddhista, un evento significativo. Di nuovo Ashoka, per commemorare la visita del Buddha e il suo ultimo sermone, eresse uno dei suoi tanti pilastri, e vi si trova anche uno dei tanti stupa delle reliquie. Qui ci sono monasteri appartenenti a diverse correnti. Prendemmo una stanzetta in uno di questi, anche se non quello che avevamo in mente, perché molti in quei giorni erano chiusi al pubblico in seguito alla morte di un Lama importante. I monaci erano partiti, se ricordo bene per il Nepal, dove stavano accompagnando il defunto con i 49 giorni di rituali. Anche Vaishali si trova in campagna, camminare per esplorarne i dintorni, e cercare di visitare qualcuno dei monasteri aperti, fu abbastanza impegnativo; fra l’umidità e la tanta polvere sollevata dal vento caldo, ma eravamo felici e rilassate.

Mentre noi lasciammo Vaishali in bus, alla volta di Patna, il Buddha la lasciò in direzione opposta alla volta di Kushinagar, fermandosi appunto a Kesariya e in seguito a 8 km dalla meta finale. Qui, nel villaggio di Pava, accettò di pranzare dal fabbro Cunda che offrì a lui e gli altri commensali una ciotola di sukara-maddava, un piatto a base di maiale. Al Buddha venne offerta la prima porzione e, per rispetto, nessuno iniziò a mangiare prima di lui. Al primo boccone, egli si rese conto che qualcosa non andava e respinse la ciotola ordinando a Cunda di seppellire tutto il sukara-maddava il più profondo possibile, dove neanche i cani, scavando, avrebbero potuto raggiungerlo. Disse anche ai presenti di non biasimare il fabbro per quello che sarebbe accaduto in seguito. Oramai alle porte di Kushinagar, in grande pena e assetato, si fermò presso il fiume Kakuttha dove bevve e si bagnò per l’ultima volta. Oggi questo tratto di fiume è stato incanalato fra due pareti di cemento armato, abbastanza desolante come vista… Il resto lo sappiamo.
Tornando a noi, il bus, alle porte di Patna, attraversò il Gange in un punto in cui è ampissimo da sembrare un grande lago. Non avevo mai percorso un ponte così lungo qui in India, ho letto che il Mahatma Gandhi Setu è il terzo. Patna è la capitale, nonché la città più grande del Bihar. Da qui si raggiungono molti dei centri di pellegrinaggio buddhisti ed è anche una città sacra per i sikh, infatti qui vide i natali il loro decimo e ultimo Guru, Gobind Singh. L’antica Patna, nota come Pataliputra, fu fondata nel 490 a.C. dal re di Magadha Ajatashatru e fu la capitale del regno per un lungo periodo nonché un centro importante di studi di belle arti e astronomia. Il padre di Ajatashatru, re Bimbisara, amico e grande seguace del Buddha, aveva invece fondato Rajagriha, oggi conosciuta come Rajgir, un’altra delle nostre tappe.
Dopo aver trascorso una notte a Patna, di nuovo in bus, partimmo per Nalanda (nelle foto qui sopra) che si trova una 90 di km prima di Rajgir. Quel che resta della più importante università monastica buddhista è qualcosa di indescrivibile, un luogo imperdibile, sebbene faccia anche male al cuore pensare alla sorte che ha subito. Patrimonio mondiale dell’Unesco, Nalanda vide il suo massimo splendore fra il V e l’XII secolo d.C.
I suoi studenti arrivavamo da tutta l’Asia, tra cui Corea, Giappone, Cina, Tibet, Indonesia, Persia e Turchia. Vi si insegnavano anche i Veda, logica, grammatica, medicina, metafisica, composizione in prosa e retorica. Sostenuta, nei secoli, dai sovrani dell’epoca, Nalanda fu distrutta alla fine del XII secolo durante l’invasione di Bakhityar Khilji, un sultano musulmano che demolì il monastero, uccise molti monaci e fece bruciare la preziosa collezione di testi. Nalanda rimase il riferimento più importante per quanto riguarda gli studi in Tibet, lo stesso Arya Nagarjuna si formò in questo centro, così come molti altri importanti filosofi e logici. In seguito alcuni dei libri salvati dal rogo furono portati in Tibet dai monaci in fuga e a Lhasa, nel XV secolo, vide la luce una piccola Nalanda. Rajgir è davvero particolare. Il re Bimbisara che ne fece la prima capitale dell’antico regno di Magadha, è oggi una piccola città, che viene anche citata nel Mahabharata. Ci visse per un periodo Mahavira e il Buddha vi trascorse diversi mesi meditando e predicando a Gridhra-Kuta, la così detta “Vulture Peak, la collina degli avvoltoi”. Qui iniziò re Bimbisara e altri al buddhismo e fu qui che un più numeroso gruppo di discepoli apprese il secondo giro della ruota del Dharma, gli insegnamenti sulla vacuità e il sentiero del bodhisattva, nonché il Sutra del Loto e il Sutra del Cuore.

Quanto a noi, eccoci di nuovo in cammino alla volta di Bodh Gaya (foto sopra), fra tutti i luoghi di questo percorso considerato il più importante. Qui, sotto un albero di Peepal, conosciuto ai più come il Bodhi Tree, avvenne l’illuminazione di Gautama Buddha. L’albero odierno, che si trova all’interno del associato al complesso del tempio di Mahabodhi, è un “discendente diretto” di quello originale dal quale, nel tempo, vennero create delle talee. Il Peepal in India è considerato un albero sacro, della famiglia del Ficus Religiosa. Bodh Gaya è un centro vivace dove i pellegrini, specialmente buddhisti, si recano in gran numero, da soli o con il loro Sangha. Ai piedi del Bodhi Tree pregano, meditano, ci girano intorno o gli stanno semplicemente seduti accanto.
Eravamo sedute lì, una sera, quando un giovane monaco ha raccolto due foglie cadute a terra e ce le ha date. Questa foglia ora è all’interno del mio commentario sul testo di Chandrakirti, Entering the Middle Way. Anche Bodh Gaya cadde vittima degli invasori islamici. Il complesso non è molto grande, ci sono dei templi e il punto in cui il Buddha si ritirò per 49 giorni, in silenzio, subito dopo aver ottenuto l’illuminazione. L’esitazione a condividere le proprie intuizioni, sorse dal pensiero che la maggior parte delle persone non sarebbe stata in grado di comprenderle e quindi trarne beneficio. Al quarantanovesimo giorno gli apparve Brahma, una divinità nella cosmologia buddista, che lo esortò a condividere i suoi insegnamenti, e compiere il primo giro della ruota del Dharma.
L’ultima nostra tappa fu Sarnath (nelle foto sotto). La raggiungemmo in treno, da Gaya a Varanasi dalla quale dista una decina di chilometri. Deer Park, il Parco dei cervi, dove oggi si trova appunto Sarnath, era allora una foresta, qui il Buddha tenne il suo primo sermone a 5 soli discepoli e nacque così il primo Sangha, a marcare l’evento sorge uno stupa. Sarnath divenne in seguito un importante centro di studi Buddhisti durante il III secolo d.C. All’interno del complesso si possono vedere le rovine di quello che fu un monastero, un altro stupa e una porzione di uno dei pilastri di Ashoka, il resto si trova all’interno del bellissimo museo archeologico. Qui si possono incontrare gruppi di monaci e monache buddhisti di ogni ordine e provenienza, li vedi a volte con il loro guru sedersi a meditare fra le rovine del monastero o ascoltarne gli insegnamenti lì, come ai piedi dello stupa. Intorno a quest’ultimo girano in senso orario recitando mantra, a volte stendendo piccole foglie d’oro sui mattoni o accendendo incensi.
Con queste immagini da Varanasi tornammo poi a Delhi, dove vivo e faccio tesoro degli insegnamenti del Buddha attraverso gli studi che ho la fortuna di poter seguire alla Tibet House. Questo non è il classico percorso che il turista pensa di intraprendere in India, ma è certamente uno dei più belli sotto tutti gli aspetti.

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Nell’agosto del 2022, a pochi mesi dalla morte di mio padre, decisi di ripercorrere le orme del principe Siddhartha Gautama. Il suo percorso, come sappiamo, culminò con l’“illuminazione”. Il mio è stata un'immersione nella sua spiritualità e nei luoghi che lui toccò. Un'emozione che vi racconto a parole e con le mie immagini

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