Quanto è difficile essere all’altezza! In un mondo che ci chiede continuamente di metterci alla prova e superare i limiti, nostri ma pure degli altri, in cui siamo chiamati ad essere dei primatisti, si fa una fatica assurda a mantenere il passo e a molti uniformarsi, mantenendo il passo di quel gruppetto che si è riusciti a raggiungere, sembra il massimo del risultato.
Ci sentiamo a disagio perché non ci sentiamo mai abbastanza: abbastanza belle, abbastanza snelle, abbastanza alte, bionde o brune. Ci sentiamo a disagio pure perché non siamo madri, nei confronti di tutte quelle che madri sono ma anche di quelle che non lo sono, perché noi no, noi siamo quella via di mezzo che un figlio lo volevano, ma che non sono riuscite, pur provandoci in tutti i modi, senza sfociare nell’ossessione, ad averlo. Quindi ci sentiamo a disagio nei confronti di quelle che invece, buttandosi anima e corpo nel progetto, hanno ottenuto il tanto agognato risultato e anche nei confronti di quelle “ma no, io un figlio proprio non lo voglio!”. E noi niente, non ci sentiamo né carne né pesce.
Così passiamo a un altro obiettivo, a un altro sogno, magari quello di riuscire a vederci belle secondo i canoni attuali, e così giù di punturine e le nostre facce si fanno tutte uguali. Ma se un bel giorno abbiamo il coraggio di fermarci e andare a guardare dove punta quell’ossessione, quel disagio, quel desiderio di sentirci parte, allora capiamo che sentirsi parte di una piccola cosa, di una piccola idea o di una parte di mondo, è solo un richiamo verso qualcosa di molto più grande. Sentiamo che non ci possiamo fermare quando impariamo a identificarci con questo o con quel ruolo e impariamo a dire: io sono insegnante di, io sono avvocato, io sono commercialista, io sono la mamma di, perché esaudire un desiderio non fa crearne un altro, ancora più grande e faticoso da coronare, così come vestire un ruolo, una maschera, non ci aiuterà se non momentaneamente a sentirci più a nostro agio. Ci abituiamo a essere sempre più richiedenti e invece che cercare di modificare la nostra interiorità ci illudiamo di trovare la felicità cambiando l’esterno.

Ve lo dico da queen del disagio quale sono stata, non che ora questa cosa sia completamente risolta in me, quando vedo quanto quelle tutine sfavillanti donano a quelle giovani a sinuose yogini, be’ cavolo se il disagio torna a pervadere tutto il mio essere! Ricoprire un ruolo è solo costruirci una gabbia, una piccola scatola di compensato in cui ci rinchiudiamo, convincendoci che questa potrà proteggerci quando si alzerà il vento ma che invece crolla proprio alla prima ventata. Ci arrocchiamo nei nostri fortini (le nostre menti) a difesa di presunte certezze, ma quando la vita ci mette di fronte all’ineluttabile, attraverso un lutto, un evento improvviso che ci porta a perdere tutto, una malattia, la perdita del lavoro o un altro qualunque evento inaspettato, ci accorgiamo, se siamo capaci di ascoltare e rimanere aperti senza chiuderci nel dolore e nella paura, di quanto fosse insensata la nostra convinzione che tutto resta sempre com’è e che ci è dato di controllare tutto.
In realtà tutto cambia continuamente. La frase “io sono fatto così” è una delle più insensate che possiamo pronunciare. Tu non sei fatto, fatta, così. Tu sei così ora, qui. Tra un momento sarai già qualcosa d’altro. L’unica certezza che possiamo avere è quella del momento presente e che non tutto dipende da noi. Certo, la nostra realtà ce la costruiamo noi, attraverso le scelte e addirittura i pensieri che facciamo e che nutriamo, ma una gran parte di quello che siamo è figlio di qualcosa di molto più grande di noi, di un’energia molto superiore alla nostra stessa forza di volontà. E a questa dobbiamo arrenderci, ma non con rassegnazione, no, bensì con entusiasmo e gratitudine, certi che lei lavora e lavorerà sempre per il nostro massimo bene, e che qualunque cosa accada è esattamente ciò che doveva.
Lo Yoga mi ha svoltato la vita davvero, mi ha dato le risposte a tutte le domande che da anni mi facevo. Una tra tutte questa: perché non riesco a uniformarmi e piuttosto preferisco sentirmi a disagio, restando ciò che sento di essere? La risposta che lo Yoga mi ha portato è che non mi sono uniformata perché sentivo di essere unica, che ognuno di noi è unico perché custodisce in sé una piccola scintilla, una piccola Luce, che è parte di quella Energia che tutto sostiene e da cui tutto origina.
Da laica forse all’inizio del mio cammino ho fatto fatica a riconoscere questa cosa, e all’inizio anch’io ho desiderato far parte di qualcosa. Ma non ci sono riuscita, quindi devo ringraziare infinitamente chi non mi ha permesso di entrare nello sfavillante mondo del “tutina yoga”, proprio perché non ero abbastanza, perché è grazie a loro che sono riuscita a fare quel passo in avanti e quell’atto di fede che chi intraprende questo cammino seriamente è chiamato a fare. È grazie a questo che sono riuscita a portare lo Yoga nella mia vita e a non limitarlo sul tappetino.
Non vi accontentate di vivere la vita di qualcun altro, di essere ciò che vi viene chiesto di essere. Sperimentate e non accontentatevi di leggere e studiare. Imparate a interessarvi dell’invisibile, non solo di ciò che vedete con i vostri occhi! Questo è stato uno degli insegnamenti più grandi per me, e voglio condividerlo con voi che mi leggete.

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Ci siamo formati con i migliori insegnanti, portiamo un sapere che arriva da lontano, siamo professionisti che si dedicano senza risparmiarsi a questa mission. La nostra è la forza della gratuità, l’anima del karma yoga