Ai giorni nostri chi vuole iniziare un sentiero spirituale, o semplicemente rinnovarlo, ha sicuramente bisogno di un nuovo linguaggio. Le parole plasmano il nostro destino e il mondo intorno a noi, e innanzitutto nutrono il nostro dialogo interiore.
Ciò che avviene dentro di noi influenza ciò che avviene fuori, nello spazio-tempo, e ciò che avviene nello spazio-tempo influenza ciò che avviene dentro di noi. Questo è il teorema fondamentale del Vastu, lo Yoga dell’Abitare, l’antica scienza del costruire e dell’abitare che nasce migliaia di anni fa proprio dal grembo della filosofia della Yoga tramandata e rinnovata nella Bhagavad-gita.
D’altronde è proprio nel secondo capitolo della Bhagavad-gita che si gettano le basi di una prospettiva completamente ribaltata rispetto a quella dell’Occidente: se costruiamo il nostro progetto politico, sociale, scolastico, ecc. dimenticandoci dell’essenza del nostro essere, cioè che SIAMO l’anima, allora sarà arduo cogliere davvero ciò che di bello c’è in questo mondo.
Inevitabilmente la nostra società sarà basata sull’ego, sull’«io» e «mio», e questa è una strada a destinazione unica: l’autodistruzione. Non serve dimostrarlo, basta aprire un giornale e leggere una qualsiasi notizia.
Ma che cos’è l’anima? Com’è fatta? Quali sono le sue caratteristiche?
«L’anima non nasce e non muore. La sua esistenza non ha inizio in alcun momento passato, presente o futuro. Mai nata, eterna, immortale e senza tempo, l’anima non perisce con il corpo». (2.20) *
Questa è la sua caratteristica fondamentale, quella che la differenzia, ontologicamente parlando, dalla materia, con la quale non ha nulla a che fare, se non la falsa identificazione con essa.
I Veda dichiarano che l’anima (cioè noi stessi) è sat-cit-ananda, caratterizzata da eternità, coscienza (o esistenza, nel più essenziale e filosofico senso di essere o esistere), e felicità. Siamo fatti così, siamo fatti di questo: fermiamoci a pensarci un attimo, perché si spiegano molte cose, tra cui il perché siamo “programmati” per la felicità e l’etica.
«Nessun’arma può colpire l’anima. Il fuoco non può bruciarla, né l’acqua bagnarla o il vento seccarla». (2.23)
«Invisibile e insolubile, l’anima non può essere bruciata o riarsa. È immortale, presente ovunque, inalterabile, inamovibile ed eternamente la stessa». (2.24)
Questi versi sfidano la razionalità, perché sembrano fondamentalmente contraddittori: com’è possibile essere contemporaneamente dappertutto e essere inamovibili, cioè essere immobili? Come possiamo essere noi eternamente gli stessi e inalterabili, se siamo pieni di felicità? Siamo infatti abituati a collegare la varietà con la felicità, il brivido di nuove esperienze, di nuovi progetti che sfidano le nostre capacità…
Qui Krishna sta parlando di come la natura dello spirito sia sostanzialmente diversa dalla materia, sia un mondo a parte, diverso perché basato su leggi diverse, che poi si scopriranno essere le leggi della Bhakti, dell’Amore.
Questo tipo di contraddizioni sono quelle della logica non ancora matura, quella del “bianco e del nero”, che sarebbe poi la logica dei computer. Lo sai vero che i computer si basano su una successione di zeri e uno? Ogni passaggio può avere solo due stati, acceso o spento, e da lì nasce tutta la varietà che sperimentiamo sugli schermi.
Eppure è passato un secolo da quando la meccanica quantistica ha fatto irruzione nella tranquilla prateria della logica scientifico-matematica, sfidando radicalmente lo stesso concetto di realtà: le particelle subatomiche, compresa la luce, sono contemporaneamente particelle e onde, e dunque gli stati possono essere tre: acceso, spento, acceso e spento contemporaneamente. Questa nuova frontiera scientifica ha generato una serie di paradossi che ancora oggi sono irrisolti, sembra proprio non esserci via d’uscita: la natura, se guardata al microscopio, sembra decidere cosa fare e come comportarsi in base alla situazione, e soprattutto in base a chi la sta guardando in un preciso momento.
Che meraviglia sapere che alcuni Vaishnava, cioè coloro che studiano e praticano gli insegnamenti di Krishna nella Bhagavad-gita, aderiscono a un “modello filosofico” definito achintya-bedha-abedha-tattva, ovvero l’inconcepibile (cioè inconciliabile con l’intelletto) terza via tra dualismo e monismo. Krishna conclude questa sezione descrittiva sull’anima proprio così.
«L’anima è invisibile, inconcepibile e invariabile. Sapendo ciò, non dovresti affliggerti per il corpo». (2.25)
Ogni volta che spingiamo la scienza ai suoi limiti, cioè nel microcosmo e nel macrocosmo, nell’infinitamente piccolo e nell’infinitamente grande, si arriva a una sorta di confine misterioso, dove però trovano sempre spazio la coscienza e il libero arbitrio, e dove un creatore del cielo e della terra trova legittimamente e naturalmente posto. La materia sembra comportarsi in modo strano, imprevedibile, irrazionale. Chi crede nello spirito non si smarrisce e trova così l’impronta di Dio, chi invece si definisce materialista o naturalista preferisce parlare di mistero ancora da risolvere.
Krishna rassicura Arjuna: non affliggerti per il corpo, questo mondo è «strano ed enigmatico» perché la gente si dimentica dell’anima, è di quella che ti dovresti veramente pre-occupare, cioè «occuparti prima»: tutto il resto, semplicemente, è così perché quello è il modo migliore di essere in quel preciso istante.
La domanda, a questo punto però, sorge spontanea: credere o non credere nell’esistenza ed eternità dell’anima è una scelta? Oppure, in termini più confessionali, è solo una questione di fede?
* Tutte le citazioni sono tratte dalla «Bhagavad- Gita Così Com’è».


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