L’emigrazione giovanile dall’Italia è un problema complesso che richiede una risposta urgente ed articolata. Secondo uno studio presentato al CNEL dalla Fondazione Nord Est e riportato qualche giorno fa sulla rivista Forbes Italia, in tredici anni, dal 2011 al 2023, circa 550mila giovani italiani tra i 18 e 34 anni sono emigrati. Si stima che al capitale umano uscito corrisponda un valore di 134 miliardi.
Ogni anno, quindi, migliaia di giovani italiani decidono di lasciare il Bel Paese in cerca di un futuro migliore. Ma perché? Cosa spinge così tanti ragazzi a rinunciare alle proprie radici? La risposta è semplice: siamo un Paese, usando le parole dei ragazzi, “vecchio”, incapace, aggiungo io, di offrire prospettive concrete e stimolanti. Stanchi di un mondo che sembra non muoversi, i ragazzi chiedono un cambiamento radicale.
Le paure degli adulti
Forse noi adulti non capiamo i giovani, non comprendiamo quando dicono che andando via da questo Paese avranno successo. Li riteniamo addirittura degli ingrati o, peggio, auguriamo loro col sorriso di andare all’estero e vedere cosa trovano di meglio. Agli adulti fa paura che i ragazzi possano realizzare i loro sogni più folli. Ma c’è anche l’esperienza che divide e non permette spesso di trovare un punto d’incontro.
Qual è davvero la prospettiva dei ragazzi? Quali sono i loro sogni e le loro aspirazioni? L’interesse dei giovani per personaggi famosi sui social media, spesso caratterizzati da contenuti superficiali e comportamenti eccentrici, potrebbe essere interpretato come una ricerca di modelli di riferimento alternativi, in un contesto in cui le istituzioni tradizionali sembrano non offrire più risposte adeguate. Non comprendiamo perché ammirino modelli effimeri e aspirino ad una fama spesso passeggera, associata al mondo dei social e derubrichiamo l’interesse che si crea attorno a questi ‘miti’ come voglia di impegnarsi poco e fare soldi facili. Certo, quello di questi personaggi non è ‘successo’.
Ma cosa piace ai ragazzi di costoro? Forse il fatto che si siano creati da soli la loro fortuna, che, nonostante un Paese in cui non piace chi innova, in cui non si incoraggia in alcun modo l’imprenditoria giovanile, abbiano trovato il modo di esprimere se stessi e la propria diversità, senza necessariamente adattarsi al futuro, tra l’altro incerto, proposto dai ‘grandi’. Ma questo modo di raggiungere la fama, la ricchezza, il successo attira forse momentaneamente, perché poi quando si indaga si scopre altro.

La visione dei giovani
Personalmente, non so quale sia il segreto del successo. Ho chiesto a dei quindicenni e a dei diciottenni cosa pensano sia il successo. Se si interrogano e si lasciano parlare, hanno idee abbastanza chiare. Ecco alcune delle loro risposte:
- Il successo è bello, dice un ragazzino in sintesi, ma dura poco e porta a fare degli errori, perché non capisci più il giusto e lo sbagliato.
- Il successo sarà nel mio lavoro, di medico o insegnante, dice una ragazza.
- Il successo sarà nella mia famiglia, avrò due bambini e… ah, certo, anche un marito, afferma una ragazzina, strappandomi anche un sorriso.
- Non cerco il successo in Italia, mi scrive un ragazzo che quest’anno affronterà la maturità, in Italia mancano del tutto spirito di iniziativa e prospettive avvincenti, le persone sono costrette a lavori monotoni e devitalizzati.
Da queste risposte deduco che per i miei studenti il successo è vita, equivale a realizzarsi. Ma il commento che mi ha fatto più riflettere è stato:
Il successo è fare un lavoro che non ti deve portare a odiare i lunedì.
Ecco. Mi sono detta. I lunedì per sopportare i quali ad alcuni occorre fare un’ora al mattino di yoga, come accade a una mia ex vicina, insegnante, che trascorre le domeniche a praticare la meditazione dell’ape (Bhramari Pranayama) che io puntualmente sentivo ronzare dalla stanza adiacente.
A quella giovanissima fanciulla avrei voluto dire che io non ce l’ho una soluzione sicura per bypassare quell’orrenda sensazione di un lunedì che si avvicina, quel senso di perdita di tempo prezioso a ogni settimana che ricomincia. Ad ogni modo mi ha fatto capire che, al di là di quello che noi pensiamo, i ragazzi osservano e capiscono che la cosa importante è trovare una propria soddisfazione in quello che si fa. Il senso di quello che si fa, il sankalpa (una risoluzione, un’intenzione, ndr) dello yoga che una ragazzina di 15 anni ha espresso senza saperlo.
Cosa possiamo imparare
Spesso nei giovani possiamo specchiarci. Quello che mostriamo loro corrisponde a quello che loro stessi poi desiderano. Se ci vedono infelici, insoddisfatti o tristi, con molta probabilità vorranno essere tutt’altro rispetto a quello che siamo noi. È anche vero che per mostrarsi felici e soddisfatti lo si deve essere davvero. Non basta convincersi di esserlo. Però è importante capire che siamo connessi gli uni agli altri, che alla fine il lavoro su noi stessi si vede, e tanto. Che forse dobbiamo vergognarci un po’ di consegnare ai giovani una società competitiva, arida di sentimenti e dove la maggior parte delle persone non fa con gioia il proprio lavoro.
I ragazzi portano delle idee innovative, e la loro innovazione consiste nel volere qualcosa di diverso da quello che viene prospettato. Io sono curiosa di vedere come lo realizzeranno e, chissà, di realizzarlo insieme. Il futuro dei nostri giovani è il nostro futuro. È tempo di agire. Di far crescere un Paese da cui i giovani italiani non siano costretti a emigrare, ma in cui possano realizzare i propri sogni e contribuire alla sua evoluzione. Che questo sia il nostro sankalpa, l’intenzione profonda di impegnarci nella costruzione di un futuro comune.

Il problema con un sano iter del piacere nasce quando noi vogliamo costantemente riprodurre quei momenti. La nostra mente diventa “drogata di piacere” anche se, razionalmente, sappiamo che questo è un inganno. Come può un momento unico, frutto di innumerevoli sacrifici e fatica, o semplicemente di circostanze favorevoli, essere ripetibile a piacimento?

«Yoga è governare gli aspetti sottili della personalità», dice Yogasutra. Gestire le emozioni, i pensieri, le reazioni, le sensazioni. E questo può avvenire solo nel silenzio della staticità

Non esiste più una verità. Ogni cosa può essere vera o falsa, a seconda se si è follower di quella fonte, se si crede all’autorità che rappresenta, o se si rifiuti ogni forma di dogmatismo e principio di autorità. Così le notizie false vengono diffuse via social insieme a quelle vere. Perché, come dice il professor Galimberti, «quando sai dire solo mi piace o non mi piace, è chiaro che la bugia e la verità si confondono»...

Cattolici e buddhisti tibetani sono gli unici ad avere un capo spirituale e temporale della loro fede. Il che è una forza dal punto di vista di rappresentanza ma conta anche le sue problematicità. E mentre sta per iniziare il conclave, alcuni si chiedono chi penserà ai poveri ora che Francesco è scomparso. Se ne occuperanno le stesse persone che se ne occupavano prima: le donne e gli uomini di buona volontà di tutte le religioni. E continueranno a farlo qualsiasi pontefice verrà eletto

La verità non è solo quello che dici. È come lo dici. È il rispetto per chi ascolta e per chi parla. E sì, a volte fa male. Ma come diceva qualcuno molto prima di noi: «La verità vi farà liberi».

Il termine in questi anni ha perso la sua connotazione originale e originaria ed è diventato sinonimo di attività fisica. Mentre è sinonimo di ricerca interiore. Il passare da un’attenzione esterna a noi a un’attenzione all’interno di noi. E come facciamo? Questa domanda è il fulcro della pratica...