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  • Immagine del redattoreAmalia Cornale

Uno yoga per l'estate: ma che yoga è?

Aggiornamento: 22 ago 2023

Lo yoga tradizionale non è un prodotto standardizzato destinato alle masse, ma un percorso ricchissimo di contenuti, riservato a pochi, che non ha bisogno di alcun supporto esterno (musica, spiagge, montagne, cantine…), né di alcuna forma fisica predefinita da canoni ginnici o estetici, per essere praticato


Yoga in spiaggia, yoga e trekking, yoga e aperitivo, sup yoga, Spritz yoga… La lista delle attività ricreative che vengono associate allo yoga è lunga e, specialmente d’estate, si arricchisce di nuove proposte sempre più “accattivanti”.

Questo fenomeno non deve affatto stupire. Basta studiare la storia dello Yoga per sapere che questo è l’effetto della commodification - la mercificazione - dello yoga, iniziata già negli Anni 90, e soprattutto della sua attuale commoditization, meccanismo che avviene quando un bene (in vendita) non ha in sé più nulla di originale da offrire, ma è diventato qualcosa di indifferenziato.

E allora come fa lo yoga più commerciale per catturare nuovi praticanti/consumatori? Propone insieme alla pratica un plus, un incentivo stuzzicante, che molto spesso passa per la gola.

Purtroppo però, frequentemente, queste proposte diventano la prima esperienza di “yoga” di molte persone che, in questo modo, comprendono lo yoga come un mix fra fitness e divertimento.


Diciamoci la verità, la parola «yoga» piace più della parola «ginnastica», ha quel che di esotico che fa sentire speciali se lo si pratica, e oggi non c’è abbastanza cultura dello Yoga per capire che molto spesso le due cose vengono fatte coincidere per ignoranza, o convenienza.

A me capita spesso di sentire questo genere di frasi: «Io non posso praticare yoga perché non ho più il fisico adatto». Sentenza inappellabile che fa capire come la mistificazione dello yoga abbia raggiunto anche chi non lo pratica, o chi si è incautamente avventurato in una lezione estemporanea che lo ha traumatizzato.


È un dato di fatto: lo yoga è percepito generalmente come una pratica intensa, destinata a chi è palestrato e regge ritmi cardio elevati. Questo è certamente vero, ma riguarda solo gli stili di yoga moderni, incentrati sulle sequenze di asana elaborate ormai 100 anni fa, mentre lo yoga esiste da millenni. E si rivolge a tutti.

Bisogna sempre evidenziare che gli stili di yoga che privilegiano la forma esteriore, attraverso la pratica intensa di asana, furono ideati negli Anni 20 da alcuni autorevoli maestri indiani, in un contesto di competizione con le tecniche ginniche importate in India dai dominatori britannici, ed erano destinati ai ragazzi fino ai 16 anni che, con l’agilità tipica della loro giovane età, rappresentavano i migliori testimonial del “nuovo yoga”.

Si tratta dunque di qualcosa che fu creato in un momento storico “emergenziale”, da un gruppo elitario di insegnanti, in un Paese poverissimo che tentava di risollevarsi in ogni modo dalla povertà e dalla tirannia. Qualcosa di dimostrativo, che però, poi sfuggì di mano.


Gli esiti della mercificazione dello yoga sono sotto gli occhi di tutti. Oggi si diventa “maestri” con corsi di poche ore, magari su Zoom. Nascono come funghi stili di yoga sempre più specifici, che vengono brandizzati, non si sa mai quanti polli ci cascano. Tanto, tanto fumo, e pochissimo arrosto. Una Babele di proposte inestricabile, che fa leva su insicurezze e paure recondite.

Ma allora, come facciamo a scegliere, a orientarci? Con la storia.


I saggi (rishi) che idearono lo yoga certamente non erano interessati alla tonicità dei glutei, né praticavano sequenze con la musica messa a palla, piuttosto privilegiavano l’immobilità in asana.


Per molti secoli lo yoga ha rappresentato, pur con tantissime differenze fra le varie tradizioni, una metodica per stabilizzare la mente, una disciplina per unirsi al divino. Attraverso uno strumento (il corpo per lo hatha yoga, il canto di specifici suoni per il mantra yoga, l’agito per il karma yoga) e seguendo le direttive di un maestro esperto e autorevole, si perviene «al dominio dei destrieri sensoriali» e si accede allo stato meditativo, un luogo di silenzio in cui la mente è finalmente pacificata (dai suoi incessanti e fisiologici turbini) e unita (la radice di yoga, yuj, vuol dire unire, aggiogare) al corpo e alla trascendenza. Questo dicono i testi fondanti dello Yoga.


È evidente come nulla di tutto questo possa mai apparire nella maggior parte delle attuali proposte estive di “yoga”, perché lo yoga tradizionale, che ho appena descritto, non è un prodotto standardizzato destinato alle masse, ma un percorso ricchissimo di contenuti, riservato a pochi, che non ha bisogno di alcun supporto esterno (musica, spiagge, montagne, cantine…), né di alcuna forma fisica predefinita da canoni ginnici o estetici, per essere praticato.


Questo genere di Yoga (sì, con la maiuscola) aborre i posti affollati, l’eccesso di caldo e di freddo, il rumore, la chiacchiera sciocca, la ripetitività, la popolarità, la mancanza di un’intenzione legata alla trascendenza. E non lo dico io, ma sempre i testi più importanti dello Yoga.


Quindi c’è uno yoga ginnico, uno yoga meditativo, uno devozionale… Che confusione. Ci si chiede, giustamente, quale diavolo sia il vero yoga. Bella domanda. È come chiedere quale sia il vero sushi, posto che per alcune persone quello fatto con frutta e Philadelphia lo è. Anche lo yoga più commerciale è yoga, e anche il sushi senza pesce è sushi, nel momento in cui centinaia di migliaia di persone ne fanno esperienza e lo chiamano così.


Tutti i termini vengono costantemente risemantizzati secondo l’uso corrente che se ne fa. Il significato di yoga prevalentemente in uso oggi sembra essere quello di “disciplina per stare meglio”. E in una società consumista, individualista e materialista questo “meglio” spesso coincide con l’apparire, declinato secondo i canoni estetici dei social media, che sono ancora più condizionanti rispetto a quelli degli Anni 90, e perfino rispetto a quelli degli Anni 10 (del 2000). E allora questo “meglio” si traduce spesso in un eccessivo interesse verso il corpo, e il “benessere”, che diventano oggetto di una vera e propria ossessione. Ortoressia, vigoressia, tanoressia (cercatele su Internet) sono sindromi compulsive, disturbi del comportamento alimentare, che costituiscono, il più delle volte, il vero substrato del nostro “benessere”.


La mente, non adeguatamente protetta dalla prorompenza dell’ego, ci conduce in vicoli ciechi di abitudini alimentari e di pratiche reiterate che ci fanno cortocircuitare, senza che ce ne rendiamo conto. È per questo “benessere” che cerchiamo lo yoga più fisico, che ci intrigano proposte come “yoga e aperitivo bio”, o “vegano”. Oppure “aperitivo spirituale”. Siamo sotto l’effetto di un incantesimo e non ci rendiamo conto della ridicolaggine di fondo di queste proposte. Così come non ci rendiamo conto del fatto che lo yoga, in certi casi, sia diventato una nevrosi.


Fra i criteri di ricerca sui principali motori c’è “hotel con yoga”. Lo yoga come il wi-fi, l’aria condizionata, l’ascensore, il parcheggio custodito. Un servizio. Una necessità irrinunciabile, una dipendenza, ovvero tutto ciò da cui lo yoga ci dovrebbe preservare, fortificandoci internamente, almeno secondo quanto teorizzato da Patanjali 1600 anni fa. Invece di essere liberi, lucidi, di essere vivekin (colui che discrimina, ndr), ci infiliamo in stupidi cul-de-sac dai quali non riusciamo più a cavarci, perché li facciamo diventare una granitica faccenda identitaria. Lo yoga ci dovrebbe spingere verso l’espansione della Coscienza, non verso barricamenti difensivi egoici o omologazioni a inarrivabili modelli virtuali.  


Se non possiamo rinunciare allo yoga in vacanza, abbiamo bisogno di fermarci, non di muoverci.

Se lo yoga ci fa sentire inadeguati, o non all’altezza di una performance, domandiamoci in quale girone dantesco siamo finiti.

Domandiamoci se con la pratica ci illudiamo di ingannare l’invecchiamento, domandiamoci quando abbiamo sentito l’ultima volta affiorare la nostra dimensione spirituale.

Fermiamoci a riflettere.

Facciamo un reset.

Approfittiamo della pausa agostana per chiederci: perché pratico? A quale scopo? Chi sto seguendo? Cosa sto inseguendo?

E se la risposta non ci piacerà, finalmente saremo entrati nel cammino dello Yoga.



Foto di Sergei Tokmakov, Esq. https///Terms.Law da Pixabay.


 

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