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  • Immagine del redattoreElena Tommaseo

L'India non è solo induismo: viaggio tra le religioni che illuminano Delhi

Aggiornamento: 2 mag

È curioso come per molte persone, soprattutto per chi non ci è mai stato o chi vede solo ciò che vuol vedere, l'India sia il “Paese della Spiritualità”, dell'Induismo, dello Yoga. Un Paese dove tutto è imbevuto di spiritualità e il “male” non ha casa.


Mi sono sempre chiesta come mai ci sia questo pregiudizio: addirittura anni fa conobbi una donna che mi disse di sognare l'India da sempre, ma di non esserne ancora “degna”. Rimasi allibita da questa affermazione e le suggerii di andarci subito prima di farsi aspettative ancora più fuorvianti e rimanerci malissimo se ci fosse andata “quando degna”, chissà poi quando...


Una pooja dedicata a Durga, la “summa“ del divino del Vedanta e dell'Induismo.

Ironia a parte, è chiaro che queste convinzioni abbiano origine dal fatto che l'India è la culla delle religioni/filosofie più antiche a noi note. I Veda sono nati qui, certo, ma anche Siddharta Gautama, il Buddha, è nato in India nella figura di un principe Hindu; Guru Nanak, il fondatore del Sikhismo, è nato in India ed era un Hindu; anche il Jainismo ha avuto origine in India.

Prima dell'avvento degli Aryans (quindi in epoca pre-vedica, circa 1500 a.C.) i nativi praticavano il culto animistico e totemico di molti spiriti che dimoravano nelle pietre, negli animali, negli alberi, nei fiumi, nelle montagne e nelle stelle. Alcuni di questi spiriti erano buoni, altri erano malvagi e l'unico modo per controllarli era una grande abilità magica.

Tutti i giorni mi capita di assistere ancora a queste pratiche, il saluto al Sole, la devozione alla madre Yamuna, il fiume che attraversa Delhi ed è il più importante degli affluenti di madre Ganga, i rituali ai piedi degli alberi di peepal, la specie di ficus sotto il quale Buddha Gautama raggiunse l'illuminazione, sacro per hindu, buddhisti, sikh e jainisti, le petizioni scritte ai Djinns, tanto per citarne qualcuno.


L'India non è solo Induismo, è un enorme calderone dove convivono tanti culti, molti dei quali originati qui, altri arrivati attraverso migrazioni o invasioni, ma pur sempre parte integrante della vita dei suoi abitanti e, in linea generale, in convivenza rispettosa. Questo almeno è quello che percepisco vivendo qui stabilmente dagli ultimi 14 anni e venendoci da 27.

La mia percezione è che, per chi non è un fanatico, e purtroppo quelli non mancano e sono la manna di chi se ne serve per raggiungere i propri fini, la religione conta poco quando si incontra qualcuno che sentiamo affine umanamente parlando.


Nelle foto sopra, da sinistra: la moschea Jama Masjid di Old Delhi nel giorno in cui termina il Ramadan; una pooja (cerimonia) sulla Yamuna; la basilica del Sacro Cuore di Delhi.


La cartolina da Delhi di oggi parla proprio di questo, un viaggio attraverso l'armonia religiosa che percepisco, le ricorrenze in cui tutti fanno gli auguri a tutti, in cui ognuno festeggia il proprio vicino, amico, compagno di classe, collega di lavoro, in cui anche io mi trovo spesso coinvolta e sempre accolta con grande dolcezza e apertura. Questa è l'India che sognava il Mahatma Gandhi, questa è l'India che esiste ancora, nonostante, negli ultimi tempi, le sue basi siano brutalmente scosse dalle fondamenta. E quindi sì, c'è la spiritualità, se vogliamo chiamarla così, ma c'è anche l'esatto opposto di essa, ma questo è un altro argomento.


Per sfatare un po' il mito dell'India induista, oltre alle religioni che ho citato prima, non dobbiamo sottovalutare la presenza dell'Islam. Quello che molti ignorano, è che l'India, a partire dal 1192, è stata in gran parte sotto il dominio islamico di 5 diversi sultanati ed infine dell'impero Moghul. Formalmente fino al 1857 quando poi divenne ufficialmente una colonia britannica, ma i missionari in un certo senso arrivarono molto prima.

Il discepolo Tommaso approdò in India, in Kerala, nel 52 d. C. per poi morire anni dopo in Tamil Nadu, dove oggi si trova Chennai, ex Madras.

Quando l'India conquistò la sua indipendenza, il 15 agosto del 1947, contava il 37% circa di musulmani, in seguito alla nascita del Pakistan questa percentuale diminuì drasticamente, oggi si è assestata intorno al 14%. Il lungo periodo di dominio islamico ha chiaramente influito dal punto di vista culturale e religioso, ma anche qui ho letto molto riguardo la tolleranza nei confronti delle altrui religioni, in linea di massima. Anche l'arrivo del sufismo coincide con l'inizio di questa fase storica e il sufismo qui a Delhi gioca un ruolo importante.


A Delhi ci sono chiese, cattoliche, battiste, protestanti. C'è la sinagoga, il tempio Baha-ì, il tempio parsi, i seguaci di Zarathustra, e ci sono i Testimoni di Geova, oltre ai luoghi dei culti già citati.

In una metropoli di circa 25 milioni, queste sono le percentuali abbastanza rispondenti alla situazione attuale: Hindu 81.68%, Musulmani 12.86%, Cristiani 0.87%, Sikh 3.40%, Buddhisti 0.11%, Jainisti, 0.99% e in percentuali minori tutto il resto.


Lo splendido tempio jainista di Delhi.

Il recente periodo di Ramadan, conclusosi l'11 aprile, mi ha spinto a scegliere questo tema. Lo scorso anno andai alla Jama Masjid, la grande Moschea a Old Delhi, proprio per Eid, l'ultimo giorno di Ramadan. Cosciente del fatto che avrei trovato una folla di migliaia tutti stipati, ho deciso di vincere la mia scarsa propensione a frequentare luoghi affollati, di difficile evacuazione. Qui la gente, in caso di incidenti, sa cadere nel panico senza più ragionare, ogni anno accadono incidenti dove nella fuga non si guarda in faccia a nessuno.


Il Meena Bazar di Delhi vicino alla grande Moschea.

Entrata in Moschea, dopo aver percorso Meena Bazaar in più di mezz'ora, anziché i soliti cinque minuti, mi sono resa conto che non era possibile girare per il cortile come avevo intenzione di fare per cogliere l'energia nell'aria e scattare qualche foto. Infatti, percorsi in precario equilibrio pochi metri, per non mettere i piedi sulle tovaglie posate per terra, mi son sentita strattonare delicatamente i pantaloni. Era un uomo che mi invitava a sedermi con la sua famiglia per condividere Iftar, il pasto consumato per interrompere il digiuno dopo il tramonto. Mancava ancora mezz'ora ai due colpi di cannone che danno il via al banchetto. Il digiuno si interrompe mangiando piano un dattero, cosa che mi sono ritrovata fra le mani anche io, seguito da pezzi frutta fresca; anguria, melone, papaya e poi acqua e lime, samosa, pakode (frittelle di verdure) e dolcetti. A nulla era valso il mio imbarazzato rifiuto quando mi avevano invitato a sedere. «Non sono musulmana, non ho praticato il Ramadan, non sono a digiuno e mi sento a disagio nel consumare Iftar con chi non ha bevuto nemmeno un goccio d'acqua nelle ultime 13 ore». Niente da fare, un grande sorriso da parte di tutti e la risposta è stata: «E allora? Siediti qui, questo non conta e tanto non puo camminare perché non c'è spazio». La stessa cosa è accaduta a un ragazzo hindu di Lucknow che è passato armato di macchina fotografica poco dopo di me.


La gioia per l'ultimo giorno di Ramadan alla grande moschea.
«Datteri, frutta e altre prelibatezze che mi sono state offerte», racconta Elena Tommaseo.
Un fachiro Sufi.

Quest'anno sono tornata lì, il penultimo venerdì di Ramadan, così come una sera sono andata per assistere a Iftar alla Dargah del Maestro sufi Nizamuddin Auliya, e ancora sono stata invitata a destra e a manca: io mi commuovo forse con poco, ma quando vedo prendere in mano quel dattero penso a quanto importante sia in quel momento quel piccolo frutto e quando vedo portare alla bocca l'acqua mi viene un nodo in gola. Per questo ritengo enorme il valore di un invito in questa situazione, per questo soffro quando vedo minata questa armonia, questo rispetto e affetto per l'essere umano in quanto tale.


La nostra Elena Tommaseo con una volontaria al Gurudwara, il tempio Sikh di Delhi.
La grande mensa Sikh al Gurudwara che offre cibo gratuitamente a chiunque, tutto il giorno.

Ho pranzato tante volta nei Gurudwara Sikh, ho festeggiato Holika Dahan per le strade e a volte con i vicini di casa, così come Diwali, Durga Pooja, Chhath Pooja. Ho conosciuto il rabbino, persona molto affabile e disponibile al dialogo. Ho ricevuto tante volte la prasad durante i festival jainisti, sono stata tante volte seduta in silenzio nel tempio Baha-ì, conosciuto dai turisti come il Lotus Temple. E naturalmente anche nelle chiese, sebbene io non le frequenti abitualmente, oppure nei templi buddhisti.


Un tempio buddhista a Delhi.

Da 2 anni, fra l'altro, sto frequentando un corso laico di Buddhismo Mahayana presso la Tibet House che fu fondata, nel 1965, da Sua Santità il Dalai Lama per preservare e diffondere il patrimonio culturale unico del Tibet, anche attraverso gli studi tibetani e buddhisti. Paradossalmente l'India, culla del Buddhismo, non lo vede fra le filosofie più praticate.

Insomma, spero di essere riuscita a dare un quadro più ampio rispetto a quello comune e ad avere stimolato la curiosità di chi si prepara a venire in India o a tornarci per approfondirne la conoscenza.



“Ex voto” ai piedi dell'albero sacro peepal. (Tutte le foto sono copyright di Elena Tommaseo).

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