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  • Immagine del redattoreRiccardo Serventi Longhi

Per scoprire l'essenza dello Yoga occorre tornare bambini

Aggiornamento: 11 ott 2023

La capacità di tornare alla semplicità, alla purezza che possiamo intravedere negli occhi di chi ancora non è affogato nelle abitudini, nei diktat mentali, nelle convinzioni, nella sapienza intellettuale, nel nozionismo che ci fa così dotti, così pronti a rispondere su ogni argomento, inclusi quelli che riguardano lo yoga, come se sapere fosse uguale a conoscere. Perfettamente preparati, eppure sempre così insoddisfatti.


Il bambino sa ben poco. Va incontro al nuovo, occhi sgranati, stupiti, sin dal risveglio ogni mattina. Non teme l'errore. Non gli riguarda la sensazione che sperimenta l’adulto dell’essere, in perenne esame di sé stesso. Errare ha un bellissimo doppio significato: uno è sbagliare, sì certo, ma anche andare in giro, vagare senza una direzione certa. Senza solchi prestabiliti. Ha una radice comune con “eroe”. L’eroe sfida gli eventi mettendo a rischio tutto. Fino all’estremo dell’offrire la propria vita, disposto a lasciarla (per come l’ha conosciuta fino a quel momento). Esce dal solco del sentire comune. Del percorso standardizzato. L’atto “eroico” non ha nulla di razionale. Chissà magari anche a noi è successo di farne uno, magari piccolo, per accorgerci poi che “non sappiamo come sia potuto succedere, non credevamo di esserne capaci”. Insomma la nostra mente è uscita dal prevedibile.

Lo Yoga è quanto di più imprevedibile possa capitarci, se ci abbandoniamo allo stupore e ci lasciamo sorprendere. Forse in questo secolo di esperti, di conflitti e attaccamenti sempre crescenti, lo Yoga è un atto eroico. Lasciarsi essere senza quantizzare, senza confinare. Il bambino è un eroe. Sperimenta, si lancia là dove esiste uno spazio che una vocina interiore gli indica come fonte di gioia. Erra. Sbaglia. Si butta nelle cose. Un bambino non chiede troppe spiegazioni, prova, mette le mani nella terra e con la sua fantasia ne tira fuori un gioco meraviglioso. Un castello, un dinosauro, un’astronave o uno scoiattolo. Non importa quale forma avrà davvero ciò che guarda, va al di là della convenzione formale. Lui nel suo cuore vedrà abbastanza da lasciar affiorare la felicità.


Scartare un pacco, per un bimbo, diventa molto più divertente del suo contenuto. Nello scartare c’è la dinamica della scoperta, la curiosità dell’ignoto.

Un bambino non si stanca di cadere dalla bicicletta mentre prova a vivere l'ebbrezza delle prime pedalate. Non si ferma alla difficoltà dell'imparare a leggere e scrivere. Prova e riprova finché un giorno, dalle prime lettere storte, fra righe fastidiosamente dritte, diviene nel tempo, poeta, letterato, scrittore, conosciuto in tutto il mondo. Vi immaginate Garcia Lorca, Hemingway, Dante, Marguerite Yourcenar, Virginia Wolf , Ludovico Ariosto, Shakespeare? Pensiamo che sia stato tutto facile per loro? Che a pochi anni, non abbiano avuto difficoltà per imparare a scrivere le loro prime parole? E se si fossero fermati, ora cosa ne sarebbe di loro?

Fortunatamente per noi non hanno smesso di provare e riprovare fino a che hanno co-creato, sostenuti dagli eventi, le condizioni affinché accadesse la meraviglia. È come se si fossero messi a disposizione di una forza più alta. Si sono lasciati vivere dalla bellezza.


Nello yoga, nella meditazione, dovremmo intravedere lo stesso percorso. Non una via da copiare perché vissuta da altri e quindi imitabile esteriormente. Non un compito da imparare o di cui saper parlare, perché letto e studiato sui libri, ma l'infaticabile gioia di perseguire un sentiero facendone esperienza interiore senza cedere all'apparente fallimento. Il sentiero a ritroso per ricominciare a scartare quel dono chiamato Ananda (gioia) che ognuno di noi è, in sostanza, ricoperto dalla confezione fatta da quei veli (Kośa) che sono: l’abito/corpo che indossiamo, condizionante ma docilmente quietabile, l’energia che si muove al suo interno, in dispersione e inascoltata, ma potenzialmente divina, la mente pensante, ed infine la mente intuitiva. Lo Yoga ci indica che svelando svelando (togliendo, non aggiungendo), questi involucri cedono alla rivelazione di ciò che siamo realmente «nitya navin ananda», sempre nuova gioia.


Molti lasciano lo yoga e la meditazione perché credono di non sentirne beneficio. Dipende forse da cosa si intende per beneficio. Il beneficio, spesso viene accolto solo come qualcosa che ci offre una soddisfazione materialistica più o meno immediata. Prendo una pillola e sto meglio. Andiamo al supermercato per comprare un prodotto sapendo che lo troveremo in quello scaffale e che quel prodotto appagherà la nostra necessità. E così via.

Deleghiamo all’esterno la capacità di donarci una felicità che crediamo duratura. E siccome ci soddisfa solo per un breve periodo, la ricerchiamo continuamente rimanendone delusi, perché non si ripeterà come la prima, (o le prime) volte. Anzi di volta in volta ci deluderà sempre di più, trasformandosi quindi in fonte di dolore ciò che prima ci piaceva.


Ma, nella meditazione, la nostra mente non può minimamente immaginare che cosa troverà quando prima o poi, nel perseguire la pratica, a un certo punto smetterà di essere in continua modalità «ON» come un motore borbottante: «Mi serve questo per stare bene. E se non riesco a ottenerlo? Mi dà fastidio quest’altro. E se non riesco ad allontanarlo? Se non raggiungo le aspettative? Ho paura di… Quello mi ha detto... Quello mi ha fatto quel torto. È bel tempo o pioverà?». Insomma quando la sua funzione di pesca continua nel passato e proiezione perenne nel futuro potrà cessare.


Una mente adulta razionale basata sul toccare per credere, sull’appagamento sensoriale/mentale non può comprendere uno stato come quello meditativo. Com’è possibile trovare pace se non in qualche cosa che posso “prendere” per riempire quello che mi manca? È come se rifiutasse di uscire dai binari su cui si è poggiata, come un tram, tutta la vita. Vuole percorrere quelle vie. Fare quelle fermate. Godere del tragitto solito, senza rischiare nulla. Fosse anche essere felici davvero. Meglio evitare. Ogni cambiamento, per la nostra mente, è una piccola morte da accettare. Figuriamoci cosa gliene importa di sapere che ogni cosa deve morire per poter ricominciare a vivere. Meglio stare alla larga dalla morte, fosse anche di un «io» tormentato che può risorgere a Sé.

Una mente bambina è abituata a morire con una pistola che fa «BUM!», e poi tocca a lei diventare guardia dopo essere stata ladro. Cambiamento continuo, questa è l’esistenza. Morte e rinascita continua.

Ovviamente più le nostre sovrastrutture si rinforzano nel passare del tempo, più è possibile che diventi necessario un impegno maggiore per permettere che le dinamiche del nostro intelletto interrompano l'abitudinario innesco delle reattività e del saltellare da un «mi piace» a un «non mi piace» continuo. Ma una volta scavallato il recinto delle credenze (da «Non ci riuscirò mai» a un semplice «Continuerò a provarci un po’ alla volta, ogni giorno, fiducioso che questo seme germoglierà», come un contadino che non sta lì a fissare il seminato in attesa del raccolto), allora arriveranno i doni, che già erano lì.


Quando siamo adulti e incontriamo il traffico per andare al lavoro la nostra mente innesca subito una lamentosa lite con tutti quelli che ci circondano perché è colpa di qua, perché è colpa di là, perché il governo, perché l'ufficio, perché su e perché giù. Quando eravamo bambini e in macchina con i nostri genitori incontravamo una fila di automobili, ci mettevamo a giocare con i finestrini appannati facendo le smorfie a chi era nelle macchine accanto.

Proprio pochi giorni fa mi è capitato di vedere un bimbo che lo faceva e sono stato al suo gioco. Ci siamo divertiti tantissimo. Solo che la mamma a un certo punto ha detto al bambino «Matteo non si fanno le boccacce» ed è andata via. Ma Matteo si è girato e dal lunotto posteriore ha continuato il nostro gioco. Salutandolo ho sperato che la certezza che ora ha di fare ciò che lo rende felice potesse accompagnarlo anche in età adulta.


È vero, lo yoga non funziona. Non funziona come sport. Non funziona come religione (anche se parliamo di spiritualità e le sue radici affondano in testi profondamente devozionali), non funziona come una seduta psicanalitica, non funziona come una vacanza (anche se ora viene proposto come incentivo per weekend di relax, davvero discutibili). Non funziona se desideriamo risposte immediate. Se lo facciamo per sentirci migliori degli altri, se crediamo che ci farà diventare ricchi, che ci risolverà i problemi senza far nulla o guarirà i nostri mali fisici come fosse una forma di chirurgia spirituale, allora non penso che funzionerà. Lo lasceremo sicuramente, se le nostre intenzioni sono queste.

Se, invece, non ci stanchiamo di imparare, se rimaniamo eterni studenti e nel mettere i piedi sul nostro tappetino non cerchiamo di provare ad essere più performanti, se ascoltiamo il nostro corpo come un tempio che custodisce un tesoro inestimabile fatto di vita, suono, luce, amore, pace, energia, profonda calma, se ogni volta che ci sediamo sul nostro cuscinetto, o sulla sedia o dove siamo, semplicemente proviamo ad interrompere la dinamica dell’efficienza e della ricerca di un risultato, e proviamo a tornare, come bambini, disponibili allo stupore e all’entusiasmo, allora penso possa funzionare.

«Lasciate che i bambini vengano a me, perché chi è come loro erediterà il Regno» e «Beati i poveri in spirito» sono passi di un gran testo. Più stupore, meno intelletto. Tornare piccoli, apre all’Immenso. Ricordiamo che i testi sapienziali, non ci dicono cosa fare, ma ci dicono Chi siamo. Spontaneità e perseveranza senza giudizio. Lo stato di Yoga, ci sta aspettando. Siamo in grado di meravigliarci ancora?


Foto di Joshua Choate/Pixabay.




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