top of page
  • Immagine del redattoreFranco Acquaviva

«Oppenheimer», il segnale di allarme di Nolan

Aggiornamento: 12 set 2023

Oppenheimer di Christopher Nolan impone subito il suo montaggio rapidissimo; neanche il tempo di una frase, a volte solo una parola basta per far scattare il controcampo, secondo il quale, per convenzione, dobbiamo vedere chi parla quando parla (mentre a volte è anche bello far saltare la consuetudine: ma qui siamo comunque in  pieno mainstream). Nolan infatti è considerato un regista che sfrutta al massimo il potenziale economico della grande produzione hollywoodiana pur mantenendo una spiccata cifra autorale.


Cillian Murphy, protagonista di «Oppenheimer».

Ad ogni modo dobbiamo prepararci fin da subito a un orizzonte di aspettativa dove la convenzione del “naturalismo” è rispettata in pieno, non fosse per alcune “libertà” espressive. Che sono forse i momenti più alti del film. Perché, nel seguire il protagonista nella sua scalata di genio al soglio pontificio del riconoscimento scientifico mondiale – con qualche stereotipo alla Beautiful Mind in cui si mostra prima la goffaggine del futuro scienziato e poi alcuni tratti del carattere che paiono alludere a una certa dose di instabilità psichica, almeno giovanile – se  togliamo il ritmo indiavolato del montaggio poco rimane di diverso da una rappresentazione tutto sommato convenzionale del genio con latente vena di follia.


E dunque la prima “libertà” espressiva che troviamo, al di fuori di quell’aura da film di genere immerso in soluzione autorale è, come dicevamo, il ritmo adrenalinico del montaggio e dei dialoghi, che impedisce spesso di cogliere appieno i dettagli, il che è un toccasana perché stimola la capacità intuitiva dello spettatore e mette in seria difficoltà la tendenza alla logica discorsiva, lineare.


La seconda è la simultaneità-concatenazione di piani temporali differenti. C’è il piano temporale del progetto Manhattan, della ricerca intorno alla bomba atomica e alla sua costruzione, con relativo test.

C’è il piano della giovinezza universitaria di Oppie, come viene confidenzialmente chiamato lo scienziato, assieme alle sue frequentazioni dell’ambiente della sinistra intellettuale dell’epoca, cui si agganciano gli inserti delle sue storie d’amore fino al matrimonio.

C’è il piano dell’inchiesta-interrogatorio a porte chiuse cui viene sottoposto negli Anni 50 da una commissione che, in pieno «maccartismo», indaga su presunte sue attività anti-americane.

E infine c’è, sempre negli anni del dopoguerra, il piano della speculare inchiesta cui una commissione govenativa sottopone il principale avversario di Oppie (Lewis Strauss), quello che ha incoraggiato l’indagine dell’FBI sulle presunte attività anti-americane dello scienziato.


Il fungo dell'atomica. (Foto di WikiImages da Pixabay).

Questi piani, distanti lustri uno dall’altro, si susseguono e si alternano senza che si avvertano indicatori troppo marcati della loro sussistenza: tranne il bianco e nero della commissione che interroga Strauss, per il resto il principale indicatore è dato dal sapiente invecchiamento cui è sottoposto per gradi il volto del protagonista, oltre ai dati ambientali di spiccata caratterizzazione, come il grande villaggio costruito in pieno deserto del New Mexico per ospitare il team del progetto Manhattan.

Come altre volte (vedi Inception, Interstellar, ma soprattutto Tenet) Nolan sembra dire al pubblico: “smazzati tu il lavoro di trovare le connessioni tra le linee narrative e le ipotesi più o meno scientifiche del film in questione”; cosa alquanto insolita per un cineasta che non è propriamente un regista d’avanguardia. Il suo, in fondo, è un cinema che ha qualcosa di pedagogico, come un invito a rimanere svegli a non farsi sedurre dalla magnifica efficacia delle sue immagini.


Una terza “libertà” espressiva, dove lo stile prende il sopravvento sull’esigenza di narrare una storia – in scene forse tra le migliori del film – si manifesta nei momenti in cui una data situazione esterna che riguarda il protagonista comincia a scomporsi negli elementi di una sua personale visione o allucinazione interna, che finisce poi per riversarsi su quella stessa situazione distorcendola fino all’incubo o alla rivelazione intima di circostanze poco confessabili: così il discorso gonfio di retorica che Oppenheimer pronuncia davanti a un uditorio entusiasta per celebrare il “successo” del doppio lancio dell’atomica sul Giappone diventa per pulsazioni progressive di suono e sommovimenti immaginifici la visione sconvolgente delle conseguenze delle radiazioni sui corpi di quegli stessi americani osannanti nella sala della conferenza stampa. Come dire: è successo ai giapponesi e potrebbe succedere a noi americani, a tutta l’umanità.


È così che la storia del “padre” della bomba atomica raccontata da Nolan risuona anche come il segnale d’allarme rinnovato e necessario su un pericolo che, ancora e soprattutto oggi, è ben lungi dall’essere stato disinnescato.


 

Il memoriale della bomba di Hiroshima. (Foto di Travel-Tokki da Pixabay).



97 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti
bottom of page