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  • Immagine del redattoreMario Raffaele Conti

L’inquietudine e il coraggio da leone

Aggiornamento: 30 lug 2023

In questo finale di un caldissimo luglio, nella coda di un periodo durissimo come quello della pandemia, alla vigilia di un'estate che ci auguriamo ristoratrice per tutti, potrebbe essere utile fare dei ragionamenti sul senso che diamo alla nostra vita. Casa mia è un rifugio o una prigione? I miei rapporti portano ossigeno o anidride carbonica? Lì dove sono io ci sto bene veramente? O vorrei che qualcosa cambiasse? E come faccio a cambiare? Dipende tutto da me o è necessario fare un lavoro sinergico? Quanta paura ho a chiedere un cambiamento alla vita o al prossimo? Niente come la pausa estiva fa più emergere questa necessità, a prescindere dal fatto che la si percepisca o meno.


Il primo segnale è l'inquietudine, sentimento così comune e frequente a ogni latitudine. Le domande che porta il sentirsi inquieto sono tantissime. Io ho scoperto, nel tempo, che l'inquietudine fa parte di me, di un aspetto del mio carattere, del mio essere iperattivo, e della necessità che sento di dovermi trasformare sempre. Oggi ho capito che posso trasformarmi là dove sono, senza stravolgere la mia vita, ma questo è possibile solo perché ho trovato una stabilità emotiva e affettiva che prima non avevo, anzi, che prima non c'era proprio. La nostra vita è spesso trasformata grazie agli incontri che facciamo, o meglio, agli incontri che ci concediamo. Ma anche se sto bene là dove sto, anche se la mia famiglia è un “rifugio”, è anche un terreno di confronto e di crescita, un luogo in cui fare entrare amicizie, legami profondi, anime che cercano. È una casa che somiglia di più a un laboratorio di vita aperto al mondo.


Ecco una domanda valida: quanto mi permetto di incontrare nuove persone, di intrecciare nuove amicizie, di entrare in contatto con nuove realtà? A chi mi dice “ma io sto bene così, non ne sento il bisogno”, rispondo: ben presto l'acqua che ristagna diventerà una palude maleodorante e la felicità che provi oggi diventerà solo un fantasma cui darai il nome di “felicità”. Non è una maledizione, è una realtà: non esiste «Vita» in un luogo che non lascia circolare l'aria, il pensiero, le energie tutte. Non esiste «Vita» in una stanza che non abbia alberi al posto delle pareti, per parafrasare Gino Paoli.


A me è successo molti anni fa. Sono stato in una situazione che mi sembrava confortevole, ma mi faceva morire giorno dopo giorno e ci sono rimasto anche quando qualcuno mi dava del codardo. Perché non potevo fare altro, allora. Poi, lavorando su di me giorno e notte, ho trovato il modo di cambiare la mia vita. È stata durissima, ho affrontato mesi, anni di disperazione, chiedendomi se fossi stato un pazzo a mollare la zona di “comfort sociale”, ma oggi so che è stato il mio karma a guidarmi, confortato dall’aiuto di decine di amici amorevoli che mi hanno dato una mano. Da quel momento, conosco la differenza tra una zona di comfort e una zona di comodo. Da quel momento non accetto di stare nemmeno un minuto dove so e sento che non devo stare. Ci vuole coraggio? Sapete come funziona: quando hai fatto un “tuffo da Acapulco”, dopo, qualsiasi mare sembra una pozzanghera. E sai che anche se sotto la superficie dell'acqua ti pare di vedere la bocca di uno squalo, in realtà, quello “squalo” è un pesciolino.

Mettere in dubbio l'apparente comodità non è solo un atto di coraggio, è soprattutto un atto di accoglimento della Vita. Non significa inseguire il successo, ma capire quello che è successo nella tua vita.


Qualche giorno fa ho incontrato un musicista straordinario, poco più di 30 anni, che si mantiene (anche) suonando la fisarmonica ai matrimoni. Mi ha raccontato che fino a qualche tempo fa aveva un posto fisso che gli fruttava poco, ma quei 1000 euro al mese erano sicuri. Ma era profondamente infelice, stretto in mille regole insensate, privo di qualsiasi prospettiva. Così ha mollato tutto e ha cambiato la sua vita. L'ho ammirato tantissimo, ha avuto un coraggio da leone. Ma oggi, anche se non naviga nell'oro, ha trovato una dimensione che gli somiglia, si permette ritiri di Vipassana offrendo il suo servizio alle comunità, incontra esperienze e persone, regala sorrisi e momenti di gioia con la sua voce bellissima e calda.


E noi dove siamo oggi? Non c’è momento migliore dell’estate per fare i bilanci e pianificare un nuovo inizio. Quando ci fermiamo è il momento in cui facciamo piani ambiziosissimi per settembre (mese in cui ci si iscrive in palestra per andare dalle 3 alle 5 volte, prima di smettere…), corsi e ricorsi che talvolta sono giravolte gattopardesche, giri sulla ruota del criceto che ci illudono di un cambiamento che non c’è. Eppure è proprio questo il momento per capire quanto siamo soddisfatti della nostra vita, del nostro rapporto amoroso, del nostro lavoro, della nostra città. È questo il momento per alzare lo sguardo e provare a spingere l’orizzonte un po’ più in là, ascoltando quello che il vento ci porta, che il cuore ci dice, che la ragione consiglia.

Non significa andare sempre oltre, ma rendere giustizia ai nostri bisogni più intimi e accettare che la trasformazione sia parte della vita. Significa non accettare più di vivere in una palude di zanzare e coccodrilli. Perché non ce la meritiamo una vita così, perché è logico fare compromessi, ma è illogico vivere di compromessi.


E se non fosse questa estate quella giusta per la trasformazione che abbiamo in animo? Sarà per la prossima. Nel frattempo osserveremo ancora meglio le pieghe della nostra mente e cercheremo la strategia che più ci somiglia per trovare nuove strade. Ma come fare per cercare? È quasi un ossimoro, eppure l'unico modo per capire come e dove cercare, come e dove andare, cosa fare della nostra vita, è quello di sedersi ogni giorno a osservare il nostro respiro. Vi sembrerà una perdita di tempo, ma scommettiamo che dopo qualche settimana scoprirete qualcosa di voi che non avreste mai osato immaginare?


La meditazione del leone. Foto di Ruan Schoeman/Pixabay.


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