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  • Immagine del redattoreMario Raffaele Conti

Lasciare andare i pensieri è complesso perché i pensieri sono materia, non spirito

I pensieri ci accompagnano sempre. Nella notte diventano sogni e la mattina appena svegli cominciamo a pensare, a ricordare il sogno, prima di entrare in un nuovo pensiero, nel vortice della mattina. È un festival dei pensieri la nostra giornata ed è il motivo per cui risulta così difficile fermarsi, sedersi qualche minuto e lasciarli andare per entrare in un differente stato mentale che non li prevede.


Al solo pensiero (ops) ci viene un poco di panico, come se lasciare andare i pensieri su ciò che abbiamo da fare o sulle preoccupazioni, ci impedisca di occuparcene. Come se non fosse serio. Il distacco ci sembra un tradimento, una mancanza di impegno, abbiamo il timore di perdere il filo della nostra vita o dei nostri affetti. “Staccare” è quasi impossibile. Certo, complici i cellulari che trillano appena svegli e ci richiamano al dovere o al piacere, il silenzio è merce rara nella nostra giornata. E, anche lì, non guardare il cellulare sembra quasi un tradimento, un escludere, una maleducazione e, quando riusciamo a non guardarlo, ecco arriva il dubbio: «Mi avrà cercato qualcuno? Sarà urgente?».


Mi chiedevo come mai questi pensieri siano così pesanti e difficili da escludere, da attenuare, da domare, da cauterizzare. Gli indiani li paragonano a cavalli imbizzarriti, a scimmie che saltano rumorose da un albero all'altro. I buddhisti sono più gentili e li considerano nuvole che passano nel cielo. Nuvole cariche di pioggia e con tuoni e fulmini, aggiungerei.


Consideriamo i pensieri poetici («Non smetto di pensarti»), li consideriamo a ragione fondanti della nostra personalità, della nostra cultura e del nostro sentire e vivere, ma senza la virtù del distacco finiscono per stritolarci. Mi chiedo da anni come sia possibile, se sono solo pensieri, quindi per definizione lievi e intangibili, onde che passano nella mente e che non possono essere afferrati. E un motivo c'è.


Me lo ha rivelato lo studio di Yogasutra, il testo di Patanjali che qui analizziamo spesso nei suoi vari aspetti di “attualità”. Secondo la cosmologia (cioè la teoria di formazione e di funzionamento del cosmo) del Samkhya-Yoga (le due vie filosofiche sono associate), esistono due principi eterni, Materia e Spirito (in sanscrito Prakriti e Purusa). Ebbene, come ben spiegato da Mircea Eliade nel suo libro Patanjali (Ed. Mediterranee), i pensieri appartengono alla materia.

Per me questa è stata una rivelazione e mi ha permesso di comprendere perché sono così “pesanti”. Ma non solo i pensieri sono materia, bensì anche gli stati mentali. Ed ecco perché tutti gli yogi realizzati ci raccomandano di non dare peso alle visioni o alle luci che possono “apparire” durante qualche stato meditativo più o meno profondo: perché anche le visioni sono materia, in quanto frutto di onde cerebrali diverse da quelle della veglia, ma comunque materia. Questo spiega anche perché spesso effetti considerati spirituali diano frutti così poco spirituali: perché non sono spirito, ma materia.


Capite bene che questa distinzione è centrale e dirime un sacco di questioni. Resta da intendersi su cosa sia Spirito, Purusa, Atman, Sé, Anima. È lo scopo dell'indagine dello Yoga, che è un metodo che va a indagare proprio su questo e utilizza la materia (il corpo) per sublimarla, per superarla e arrivare a intuire il “testimone” della nostra realtà. È una ricerca difficile che necessita un cambio di marcia nella realtà quotidiana. Me ne rendo conto spesso: se sono troppo assorbito dal contingente, perdo la rotta, ma basta recuperare il giorno dopo e allungare la pratica di silenzio, di respiro, di pranayama, per ritrovare l'intenzione.


Il silenzio esterno prepara a quello interiore, disturbato dai pensieri che saltano qui e là; ma, talvolta, con la forza dell'intuizione (che è illuminata dal Purusa) e con l'abbandono, appare uno stato che è un silenzio vero carico di amore e di calore. Basta iniziare, sedersi ogni giorno per il tempo che si può, per seguire il respiro e gustare il suono dolce del silenzio del corpo, della voce e della mente. Provateci. Ci vuole tempo e costanza, ma qualcosa cambierà.

«Il Buddha che prende la Terra come testimone della sua vittoria su Mara» (Museo Guimet, Parigi) Foto Amalia Cornale

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