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  • Immagine del redattoreFranco Acquaviva

La fantascienza così divina di Philip K. Dick

Aggiornamento: 17 mag 2022

Nel quarantennale della morte del grande scrittore, nasce un'opera teatrale a lui ispirata che debutta al Teatro degli Scalpellini di San Maurizio d'Opaglio (Vb)



Nei calendari delle morti (e resurrezioni) che si compulsano per stare al passo con gli anniversari dei grandi che non ci sono più – e così ancora più piccolo ci sembra questo mondo affascinato dal grande che è stato. In questi almanacchi delle passate virtù letterarie e artistiche, che creano mostre monstre e musei reificati. In questa, lasciatemelo dire infine, retorica su un passato inimitabile che continua a fiorire in un momento in cui il futuro risulta quantomeno sfocato o al massimo illuminato dai bagliori delle intelligenze artificiali, se non, duole dirlo, da quello dei razzi che cadono non troppo lontano da qui; in tutto questo, s’innesta un ennesimo anniversario, che adesso, contraddicendomi in pieno, passerò a celebrare. Perché è l’anniversario di uno che è stato misconosciuto per tutta la vita, o quasi.


Parliamo del quarantennale della morte dello scrittore “di fantascienza” Philip K. Dick, avvenuta il 2 marzo 1982. Le virgolette stanno a indicare che in realtà di Dick bisognerebbe parlare come di uno scrittore in senso pieno, non diminuito. Se ne sono accorti anche i Meridiani Mondadori, che gli hanno dedicato un volume in uscita alla fine dell’anno; da sempre lo sa Emmanuel Carrère, che gli ha dedicato una biografia dal titolo fulminante Io sono vivo, voi siete morti (è tratto da una battuta di Ubik, uno dei capolavori, forse “il” capolavoro di Dick, anche per la ricchezza dei significati che vi si possono scorgere).

Fu lo stesso Dick a cogliere la complessità del suo forse più noto romanzo, quando afferma che quel libro gli era stato dettato da «Zebra», una delle sue “traduzioni” del dio immanente degli gnostici. Ma sto andando troppo veloce. Il fatto è che l’opera di Dick è immensa, e raccontarla è impossibile. Oltre a romanzi e racconti, c’è l’Esegesi, che nella sua versione integrale si estende per circa 9 mila pagine. Cosa viene detto in queste 9 mila pagine? Si tratta di un viaggio nelle profondità di un unico evento, o meglio di un serie di eventi, circoscritti in un periodo di un paio di mesi (febbraio-marzo 1974) che hanno gettato Dick su un terreno impervio, a contatto, nientemeno, che con una manifestazione divina direttamente esperita.


Di cultura progressista californiana, intrisa delle influenze della controcultura americana dei primi anni Sessanta - nasce e lavora per molti anni a Berkley, la culla del movimento studentesco e della controcultura americana - Dick nel febbraio-marzo del 1974 ha un’esperienza di «anamnesi», come la chiama lui con riferimento alla filosofia di Platone; di ricordo, di risveglio. Fa esperienza di un tempo non lineare, in cui passato presente e futuro si fondono. Vede segni del divino in ogni cosa che lo circonda. La sua mente viene bersagliata, in veglia e durante sogni lucidi particolarmente intensi, di flussi di immagini astratte coloratissime e informazioni che gli arrivano sotto forma di parole in lingue antiche che lui non conosce. Ha esperienze di precognizione. Scrive di essere simultaneamente se stesso e Thomas, un cristiano del I secolo dopo Cristo perseguitato dai Romani. Sostiene che il suo corpo vive in due continua spazio-temporali differenti: il presente del 1974 e il presente del 70 d.C.


Insomma cose decisamente incredibili. Dopo queste esperienze Dick torna alla “realtà” di tutti i giorni, decisamente trasformato, ma scopre di non avere alcuno strumento per accedere nuovamente a quello straordinario stato di coscienza. Così comincia a scrivere per cercare di spiegarsi quanto gli è accaduto adoperando, da geniale autodidatta qual è, gli strumenti della filosofia, della teologia, della fisica contemporanea, della psicanalisi ecc. Un’indagine totale, che lo occupa intere notti. Gli ultimi anni della vita di Dick, dal 1974 al 1982, occupati da questa attività frenetica, sono segnati anche da una poderosa creatività: scrive la Trilogia di Valis, tre romanzi (il volume edito in Italia da Fanucci consta di quasi 800 pagine): li innerva l’intuizione di una realtà divina che sta districandosi dalle spesse apparenze della realtà visibile per giungere agli uomini che sono pronti ad accoglierla.

VALIS, acronimo per Vast Active Living Intelligence System è un’altra sua traduzione, in termini che tengono conto del linguaggio e della mente scientifica occidentale, del concetto, ma soprattuto dell’«esperienza» di Dio.


È curioso considerare come a Los Angeles, distante una mezz’ora di macchina dal luogo in cui Dick viveva, Fullerton, ha operato dal 1920 al 1952, lascando tracce indelebili, un Maestro, uno Yogi autorealizzato della grandezza di Paramhansa Yogananda, per il quale la “questione”, per così dire, della Second Coming of Christ (Seconda Venuta di Cristo o Parusìa) è centrale, e osservare che lo stesso tema - che anche per Dick, fatte le dovute proporzioni, si invera in un’esperienza interiore potentissima - percorre come una corrente elettrica, sfolgorante e carsica insieme, tutto il corpus monumentale dell’Esegesi. Anche se Dick e Yogananda fisicamente non si sono mai incontrati.

Franco Acquaviva sul palco di «VALIS»

Come si fa a trarre uno spettacolo da tutto questo? Il sottoscritto ci ha provato, e spera di essere arrivato a un qualche risultato. È un lavoro teatrale che procede per lampi, per insights, com’era il modo di procedere di Dick, di cui sento la vicinanza per via del mio imperterrito, spudorato, maniacale e metodico autodidattismo (sorretto però da trentacinque anni ininterrotti di lavoro teatrale e dall’incontro con maestri del calibro di Eugenio Barba, Giuliano Scabia, Iben Nagel Rasmussen).


Lo spettacolo si intitola, guarda caso, VALIS, a cui segue un sottotitolo puramente indicativo «I mondi di Philip Dick» e debutta il 20 maggio alle ore 21, al Teatro degli Scalpellini di San Maurizio d’Opaglio, sul lago d’Orta (nell’ambito della stagione teatrale Vado a Teatro!, organizzata dal Teatro delle Selve, in collaborazione con Fondazione Piemonte dal Vivo e MiC).


Il rapporto tra rivelazione divina e fantascienza inizialmente mi era sembrata la cosa più strampalata che mi fosse mai capitato di sentire, eppure poi ho scopeto che in Dick questo rapporto è reale, vissuto, necessario. Sentite cosa ne dice in proposito Emmanuel Carrère, nella citata biografia: «Dick pensava che, nel suo caso, VALIS si fosse rivolto a uno scrittore perché trascrivesse le Sue parole nella forma contemporanea che, a Suo avviso, più si addiceva a una rivelazione: la fantascienza».






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