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  • Immagine del redattoreRiccardo Serventi Longhi

Il mare bambino

Aggiornamento: 29 ago 2022

«Quel bimbo era appena uscito dall’acqua. Guardava attorno a sé. A sinistra. A destra. Scintille di mare brillavano sul suo piccolo corpo estivo…».

Inizia così Il mare bambino, il racconto originale scritto e recitato da Riccardo Serventi Longhi per Rispirazioni.


Pochi minuti per iniziare ad accogliere il mistero, a seguire un volto, un’ispirazione, un gesto, che cambieranno per sempre la vita del protagonista.


Buon ascolto.


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Il testo:


«Quel bimbo era appena uscito dall’acqua. Guardava attorno a sé. A sinistra. A destra. Infinite minuscole scintille di mare brillavano sul suo piccolo corpo estivo. Seguivo il suo sguardo cercando con lui un riferimento, una persona che potesse indicare il suo luogo di approdo. Una fonte a cui tornare. Un porto accogliente.

Era sereno. Certamente, pensavo, la mamma lo seguiva da qualche punto d’osservazione a me e a lui ignoto.

Ma guarda tu con quale sicurezza, un esserino così piccolo (avrà avuto 4 o 5 anni), scruta così intensamente l’orizzonte. Si era voltato adesso, con lo sguardo al mare. Come avesse attraversato quello spazio a nuoto, da lì alla terra che era di fronte. Solo che la terra, al largo dalla nostra vista, non c’era. O meglio, c’era ma così lontana. Almeno trenta miglia, se fosse giunto qui dall’isola più vicina ora invisibile per la foschia, o 5-600 miglia, se il luogo di partenza fosse stata la terraferma al di là dell’isola.

Respirava intensamente, come a riprender fiato da una fatica importante. Antica. Da una di quelle fatiche che però sei felice e fiero di aver affrontato e non interessa il risultato, ma il suo compimento. Il vento del dopo sfida muoveva, dolce, i suoi polmoni.

Gli altri bimbi giocavano sulla sabbia, sulla battigia, a gruppetti di due, tre, alcuni con i genitori. È difficile che stiano fermi i bambini, con tutti quegli stimoli, a quell’età. Lui invece era in piedi, immobile. La sua attenzione non reclamava una mamma o un papà.

Si voltò e mi guardò. I suoi minuscoli occhi azzurri proiettarono due raggi di luce direttamente al centro della mia fronte. Come ad avermi scoperto a girovagare nei pensieri, su di lui. Poi fissò ancora il mare per qualche istante, e di nuovo riportò quell’azzurro nei miei occhi, reso ancora più profondo dal colore attinto dal mare. Sembrava dirmi «Hai visto che ho fatto? Vengo da lì. Vengo da un mondo lontano. Ho nuotato per giorni, settimane, mesi, ed ora sono qui. Ce l’ho fatta».

Io continuavo a cercare intorno chi potesse aver lasciato solo un bimbo così piccolo in riva al mare per tutto quel tempo. Lui continuava a fissarmi. Si accucciò in terra, piegando le ginocchia, e fece dei segni sulla sabbia. Si lavò le piccole mani nell’onda che lambiva i suoi piedi impanati di riva e schiuma. Poi raccolse un pugno di granelli sfiorando gli spruzzi. Si alzò, e cominciò a dirigersi verso di me.

Mi sollevai in piedi sorpreso del suo incedere sicuro, ed esitai qualche istante prima di muovermi. Lui era già arrivato ai miei piedi. Mi guardò dal basso. Il colore dei nostri occhi sembrava specchiarsi. Tese la piccola mano verso di me e io gli porsi la mia. La aprì e da quelle minuscole dita uscì un mucchieto di sabbia e un piccolo granchio. Poi mi fece segno di volermi prendere la mano che era rimasta libera e mi portò verso la riva. Mi tirò gentilmente in giù, verso il basso, verso di sé e verso il mare che riempiva e cancellava le nostre impronte, facendomi capire che dovevo lasciare libero quel granchietto, cosa che feci immediatamente. L’animaletto nuotò veloce verso il largo.

Chiesi al mio sconosciuto amico come si chiamasse e se la sua mamma o il suo papà fossero lì vicini. Sorrise.

Mi preoccupavo per lui, ma non ero attento a ciò che era accaduto pochi istanti prima.

Rivolsi lo sguardo verso l’ombrellone da dove ero venuto, pensavo, fra me, di tornarci per prendere il cellulare e chiamare i carabinieri o comunque un aiuto.

Voltandomi domandai, di spalle alzando la voce «Sei di queste parti?». Non arrivò alcuna risposta.

Mi girai di nuovo, ma non vidi più nessuno, né granchio né bambino.

Guardai verso le onde increspate ed ebbi la sensazione che qualcuno che vedevo al largo, ma molto al largo, nuotasse a grandi e lente bracciate verso l’orizzonte. Non poteva essere lui! Le braccia erano quelle di un uomo adulto. E poi tutta quella distanza come avrebbe potuto coprirla in quel tempo così ristretto?

La mia mente era così intenta a ragionare, misurare, calcolare quando, chiunque fosse quell’essere che nuotava così lontano, smise di abbracciare le onde e si fermò, e iniziò a fare cenni con la mano. Un saluto? Un invito ad accorgermi? Mi guardai intorno a sincerarmi che si stesse rivolgendo proprio a me. Nessuno in quel momento era rivolto nella sua direzione. Chiamava me.

Entrai in acqua lentamente. Aspettavo un altro cenno per comprendere. Il cenno arrivò. Immergendomi in ciò che ci univa, nuotai verso la sua direzione, senza sapere dove stessi andando, ma sentivo che era la cosa giusta da fare. Muovendomi verso l’orizzonte il fiato divenne sorriso.

Ancora oggi nuoto, so che è la cosa giusta da fare. Ma non nuoto per trovare terra. Nuoto per seguire quel bambino».

 



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