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  • Immagine del redattoreElena Tommaseo

Cosa sarebbe l’India senza rickshaw?

A Delhi ci sono 8 mezzi per spostarsi. Ma il mio preferito è... un'avventura


Se vi trovate in India capirete abbastanza velocemente che qui camminare o andare in bicicletta è “cosa che non si fa” se ci si sente di appartenere alla categoria “upper class”, a meno che non teniate alla forma fisica. Ci sono parecchi modi per spostarsi dal punto A al punto B, anche le distanze più piccole possono venire coperte da mezzi a esse adeguati.

Fra le varie possibilità in una città, per esempio come nel caso di Delhi, in ordine dal top al basso abbiamo queste opzioni:


AUTOMOBILE. Spesso è condotta dall'autista privato: un autista costa relativamente poco e sarà facile vedere gente seduta sul sedile posteriore di una semplice utilitaria mentre scorre il proprio smartphone e il posto di fianco a quello di guida è vuoto. L'autista permette di salire a bordo di un'automobile già climatizzata che aspetta sotto casa, di andare dove si deve senza impazzire per il parcheggio e farà sempre trovare l'auto immacolata. Mentre ci si occupa delle proprie faccende lui aspetta e si ripresenta in perfetta sincronia se si ha l'accortezza di avvisarlo una decina di minuti prima di uscire da dove ci si trova. C'è chi, in questo modo, può anche riuscire a passare l'estate e il periodo del monsone senza versare una goccia di sudore. Nell'attesa l'autista di solito ammazza il tempo come segue; chiacchiera con altri autisti, facilmente spettegolando sui propri “maalik”, guarda film sul proprio smartphone, parla al telefono con gli amici o si fa lunghe chiacchierate con la fidanzata (se è molto giovane), si abboffa di street food, oppure butta giù lo schienale del sedile e si mette a dormire profondamente.

TAXI. Un taxi non si prende al volo, fino a qualche anno fa si prenotava con una telefonata attraverso alcune compagnie, oggi ci sono App come Uber, e non solo, che offrono varie gamme di automobili, dalla più piccola al Suv. Arrivano dove ci si trova e giungono dove si deve andare; la App ha anche un'opzione per poter condividere il percorso con chi è in ansia per il passeggero il quale a sua volta, se sente di trovarsi in una situazione ambigua o di pericolo imminente, ha la possibilità di lanciare un allarme alla centrale operativa. Questo sistema permette anche di chiamare gli autorickshaw e i motorini.

AUTORICKSHAW (detto «auto»; si pronuncia «oto»). In assoluto è la mia soluzione preferita, a eccezione di quando fa veramente caldo e ti arriva addosso aria bollente, o quando sta piovendo a dirotto: in questo caso chiamo un'automobile. L'auto si prende al volo, ne passano in continuazione e a Delhi ce ne sono circa 95.000. È possibile chiamarli anche con le App, le stesse dei taxi, per un turista la soluzione migliore per evitare di cadere in trappola di molti che approfittano lanciando sul piatto cifre spesso esorbitanti rispetto alla norma, o cercando deviare il percorso dei malcapitati passando per i negozi con loro convenzionati. Moltissimi sono gli autowalle (quelli che guidano l'auto) onesti, dall'altra parte, ma nel dubbio e per non perdere tempo è comodo per chi non ha dimestichezza ricorrere alle App.

METROPOLITANA. La metropolitana a Delhi funziona benissimo, è relativamente nuova, le prime due linee risalgono alla prima metà del 2000; è molto pulita, climatizzata, economica e copre oramai quasi tutta la città. Il prezzo da pagare è in proporzione alle distanze da percorrere e quel tratto da fare in più, nell'eventualità la metro non avesse una stazione dove serve esattamente, si completa con uno dei due mezzi:

CYCLERICKSHAW: è il rickshaw a pedali;

E-RICKSHAW: è il rickshaw elettrico.


Il rickshaw elettrico.

AUTOBUS. Al momento ci sono 7.379 autobus che battono le strade della metropoli! I bus rossi costano un po' di più e hanno l'aria condizionata, quelli verdi e arancioni non ce l'hanno. I prezzi sono assolutamente risibili.

MOTORINO. Con le app è anche possibile farsi trasportare a cavalcioni di una moto onestamente è l'unico mezzo che non ho mai provato, è abbastanza recente, e non ci tengo a provare...



Ma veniamo al mio mezzo preferito: l'autorickshaw. Decisamente non ci tengo a possedere un'automobile con tutti i grattacapi che ne conseguono, autista incluso. L'autorickshaw si infratta come un'anguilla guadagnando terreno in ogni situazione di traffico, ingorgo, condizione della strada, che sia asfaltata, a buche o sterrata. I suoi guidatori sono tipi tosti, un tempo per lo più provenienti dal Punjab, oggi dal Bihar, forse lo Stato più povero dell'India, ma famoso per i tanti siti dove Buddha Shakyamuni ha lasciato il segno del suo passaggio.



Molti non sono i proprietari del mezzo che, spesso, appartiene a un padrone (maalik) che lo affitta a 500 Rs al giorno, circa 6 euro. Non ovunque, ma a Delhi sono dotati di un meter, cioè un tassametro, che spesso è casualmente rotto, o per via della pioggia momentaneamente fuori uso, o per l'eccessivo calore del sole va in tilt o, quando l'autowalla decide di essere diretto, semplicemente rifiuta di usarlo. Scattano qui trattative, spesso estenuanti, dove però o ho la meglio o lascio il passo e ne fermo un altro. L'esperienza insegna quali sono le tariffe accettabili per coprire un tot numero di chilometri e, facendone uso quotidiano anche più di una volta al giorno, una differenza di 50 centesimi alla fine del mese incide. Non è la stessa cosa per un turista che si troverà facilmente a pagare più del dovuto, ma che lo farà per un periodo limitato di tempo.


Le tendine (arrotolate) anti pioggia.

Una corsa in autorickshaw è comunque quasi sempre un'avventura, per via del suo guidatore, ognuno con le proprie caratteristiche caratteriali, e per via del mezzo: nuovo, vecchio, mezzo rotto, iper decorato, con la musica a palla che esce da grosse casse piazzate proprio dieto al sedile del passeggero. Spesso mi diletto a fare due chiacchiere con questi personaggi e ne escono cose di ogni genere, ci sarebbe da raccogliere certe conversazioni su carta.


Qualche anno fa ero su un’auto dove erano raffigurati Gesù e Maria, Shiva e Parvati. Incuriosita chiesi all'autowalla come mai, di che religione fosse, e lui mi rispose: «Io sono Hindu, quello che guidava questo auto prima di me era Cristiano, il proprietario è Musulmano. Non ho rimosso l'adesivo di Gesù quando ho iniziato a guidare questa auto perché per me Dio è uno e così anche il genere umano». Assieme a un uomo che aveva una cultura da professore di Storia e Archeologia, e che guidava l'auto per conto di suo fratello che in quel periodo non stava bene, questo è stato uno degli incontri più belli.


Gesù e Maria, Shiva e Parvati...

Durante il periodo della pandemia, quando finalmente i mezzi pubblici sono stati autorizzati, mi sono trovata semi-sigillata nel retro: molti avevano istallato una protezione di plastica alle loro spalle, ma la più bella di tutte è stata quella a reticolo.

«Ma a che cosa servono queste fascette?», chiedo io prevedendo già la risposta perché evidentemente oramai sono stata irreparabilmente contagiata nel modo di ragionare.

«Carona (questa la risposta classica di quei giorni, ndr): così la gente non mi tocca»

Effettivamente li tocchiamo spesso con colpetti sulle spalle quando c'è da dire vai a destra o vai a sinistra o fermati. Deterrente eccezionale le fascette!


Le fascette «anti Covid».

La protezione durante la pandemia.

Ultima corsa degna di un cartone animato comico è avvenuta solo qualche giorno fa quando, seduta davanti con un gomito dell'autowalla conficcato sulla milza e le braccia protese verso il tettuccio per afferrare due appigli di metallo, accompagnavo una famiglia di quattro persone altissime a fare una visita di Old Delhi.

Loro accatastati sul sedile posteriore, con gli arti da tutte le parti, che non si capiva di chi era la gamba o di chi fosse il braccio, inizialmente ignari di ciò che stava accadendo non avendo una buona visuale sull'esterno, si sono resi conto che la corsa all'improvviso aveva assunto una strana caratteristica. Infatti, passati a razzo e convinzione con il semaforo rosso, avevamo iniziato delle carambole acrobatiche, per evitare un poliziotto che si era letteralmente lanciato dal lato opposto della strada per bloccare il “triciclo” (come lo chiamava mio padre ridendo) in doppia infrazione: semaforo rosso e sovraccarico. Una gimcana fra spartitraffico, macchine che arrivavano dal senso opposto e curve a gomito, ci ha visto concludere l'inseguimento con una fuga che ha decretato la nostra vittoria schiacciante fra fragorose risate e il divertito stupore di chi era arrivato in città da poco più di due ore ed era appena uscito dall'albergo.

Non posso immaginare le mie giornate senza poter usufruire di questo mezzo!


Autorickshaw. Tutte le foto sono di Elena Tommaseo (diritti riservati).


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