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  • Immagine del redattoreGuido "Guidozilla" Gabrielli

Vipassana, il sottile legame tra Sinatra e Bowie

Aggiornamento: 6 mar 2023

C’è qualcosa di sadico nell’interpretazione di Claude François del brano Comme  d’habitude (Come al solito, ndr),  di cui è autore anche del testo. Per circa 4 minuti riepiloga la sua consumata storia d’amore, in cui i gesti, le attenzioni, i pensieri di una semplice giornata d’amore sono diventati falsi riti spettrali di una messinscena senza anima. Ripetendo per 44 volte «comme d’abitude». Ma forse la parte più diabolica è vedere la sua faccia da playboy Anni 70 struggersi davanti alla telecamera, mimando una finta empatia di dolore, mentre con l’occhietto vispo, pensa già alla prossima conquista.

Sta di fatto che questa strategia funzionò perfettamente e all’inizio del 1968 in Francia in televisione e alla radio Claude François e la sua canzone cavalcava le classifiche e probabilmente era tra gli uomini più desiderati d’Oltralpe.

Gli editori francesi del brano, cercavano di poterlo esportare all’estero come era già avvenuto con successo, nella storia della canzone popolare francese (da Les feuilles mortes del ’46 in poi) e incaricarono un promettente giovane inglese David Jones, che di lì a poco sarebbe diventato David Bowie da Brixton per una versione inglese. Il giovane autore si era già confrontato con alcuni adattamenti di brani del cantautore belga Jaques Brel e benintenzionato prende la base musicale del brano che diventa Even a Fool Learns to Love. È la storia di un clown destinato a forza a far ridere e intrattenere, ma che improvvisamente si accorge di poter far ridere e far innamorare una giovane donna.

Il test a detta degli editori del brano, non fu molto soddisfacente e quindi rifiutato , “vogliamo una vera star per registrare il disco, non quel cafone di Bristol”. Dimenticandosi di dirlo all’interessato.

Per loro fortuna

Fatto sta che, per loro fortuna, Paul Anka, cantante e compositore pop molto celebre tra gli Anni 50-60 (Diana, Put your head on my shoulder…) è in vacanza in Costa Azzurra nella primavera di quell’anno e ascolta alla radio quel motivo. Pur non comprendendo il testo, intuisce il potenziale melodico, s’informa chi fosse l’autore e vola a Parigi per assicurarsi i diritti. Non sa ancora bene cosa farne, ma quando torna negli Stati Uniti ha modo di andare a cena con il suo vecchio amico Frankie (Sinatra) che non se la stava passando bene. Alla fine degli Anni 60 con la rivoluzione del rock e del pop, lo stile di Frank Sinatra stava perdendo pubblico. Le sonorità erano molto distanti da quelle che i giovani iniziavano ad apprezzare e ricercare. Durante una cena con Paul Anka, suo stretto amico, «The Voice» si confidò con il collega raccontandogli della sua stanchezza, insoddisfazione e del desiderio di smettere: «Sono stufo di questo business, ne voglio uscite» (I'm sick of it; I'm getting the hell out»).

 

«My way»

Tornato nella sua casa di New York le parole di Sinatra risuonano nella mente creativa di Paul Anka che, in seguito, scrive il testo di My Way sul motivo Comme d’habitude.

È la storia di un uomo che ripensa alla sua vita, che ha amato, ha riso e pianto; ha avuto soddisfazioni e sconfitte; che non ha rimorsi e non rinnega ciò che ha fatto perché sempre fedele a se stesso: «I've lived a life that's full, I did it my way» («Ho vissuto una vita piena, l'ho fatto a modo mio»). Terminata la canzone chiama subito Frank, che si era spostato a Las Vegas in Nevada , dicendogli: «Ho la canzone giusta per te». «The Voice», all’inizio un po' restio, registra il brano a Los Angeles il 30 dicembre del 1968. E così che nasce quell’inno internazionale di auto-indulgenza di maturità maschile, dura e pura, che sarà anche testamento di Elvis e Sid Vicious e di migliaia di altri artisti nel mondo.  

Un brano che travalicherà i confini, il tempo e le mode: uno stile di vita, My Way.

Nel frattempo...

Dall’altra parte dell’Atlantico capita che il signor David Jones diventato David Bowie (ma che si sarebbe presto trasformato in Ziggy Stardust), ascolti il brano alla radio e si stupisca: «Ma questo era il brano di cui avevo fatto una versione?». Relativamente scocciato, consapevole che il testo da lui prodotto, Even a Fool Learns to Love, era piuttosto imbarazzante, si dice: se è così farò la mia versione di My Way: My Way to Mars. Così sulla base armonica di My Way/Comme d’Habitude, nasce Life on Mars.


Le prime sette battute di entrambe le canzoni sono armonicamente identiche, hanno gli stessi accordi e in entrambi i casi usano il classico cliché del basso discendente all’inizio di ogni verso appena iniziato. Ma mentre My Way persevera in questa discesa (tutti gli addii sono sempre con accordi discendenti), salvo alla fine di ogni verso risalire di tonalità e ricominciare la discesa, come fosse una scala di Esher che si rincorre, Life on Mars si avventura in un paesaggio armonico differente in crescendo, arrivando a un climax finale dove ci si domanda si ci sia vita su Marte, se ci sia una possibilità di fuga.


Nell’arrangiamento di Mick Ronson, ritroviamo le fondamenta del glam rock in cui il piano arpeggiato di Rick Wakeman (ex Yes) si adorna assieme a una imponente orchestra d’archi e timpani, con assolo di chitarra (che precede lo stile dei Queen di quasi 10 anni) in un finale che echeggia Wagner di Also Sprach Zarathustra ( in fondo siamo negli anni di 2001 Odissea nello Spazio)

La poetica di Bowie è sempre stata la descrizione del caos, di un futuro tendenzialmente distopico. Il brano rappresenta la visione del mondo di una giovane ragazza con i capelli da topo (mousy hair) che vive una grigia esistenza in mezzo a due genitori litigiosi e vacui che si contrappone un'esplosione di caotico zapping glamour rappresentato nelle immagini caleidoscopiche e clichè ripetitivi (Mickey Mouse, Lennon, cavernicoli in fuga, noiose immagini di film decadenti) che si contrappongono, in cerca di una via di fuga dai suoi litigiosi genitori. Bowie la descriveva come «una ragazza che si senta tradita, che sia delusa dalla realtà. Penso che, pur vivendo una realtà deprimente, sia convinta che in un luogo imprecisato c'è una vita che vale la pena di vivere e che sia amaramente insoddisfatta per il fatto di non avervi accesso»: Marte.

Il brano fu inserito nell’album Hunky Dory del 1971 e nelle note di copertina del disco accanto al titolo della canzone c'è la scritta autografa di Bowie: «Inspired by Frankie». Life on Mars è diventata una delle canzoni simbolo di Bowie e della storia del rock.


«Life on Mars» ispirato da Frankie, la dedica di Bowie sull'album «Hunky Dory».

Epilogo

Nella meditazione buddhista della Vipassana, meditazione «della chiara visione» in lingua pali, la mente osserva un paradigma, il respiro. Dove inizia l'inspiro, come e quando sorge, qual è il suo percorso, quanto sia lieve o forte, come si trasforma, dove si ferma nella mente e nel corpo e il suo viaggio inverso, l'espiro. Osservi il ciclo delle morti e delle rinascite convulse e continue dei pensieri e dei suoi echi. Sicuramente ne fai parte, hai creduto fossero veri e lo hai fatto con sincerità o beffando te stesso, ma adesso non importa.

 

La storia di questo brano ha un po' lo stesso sapore. Su un medesimo pattern sonoro (il respiro e il suo manifestarsi) si accavalla, via via, il desolante epilogo di quella che una volta era un vera storia d'Amore, la disperazione e la meraviglia del riso di un clown, il lungo addio dal palcoscenico della vita dei suoi successi e sconfitte, e poi una folle e stupefacente diramazione verso un mondo apocalittico che è già qui e che ci fa desiderare di essere altrove nella galassia. Ma siamo sempre qui. Nessuna meditazione è giusta o sbagliata, anche se ti porta su Marte: l'importante è che tu possa dire «I did it my way».


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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