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  • Immagine del redattoreMario Raffaele Conti

La libertà è una conquista che ci meritiamo

Aggiornamento: 10 feb 2023

«Libertà va cercando, ch'è sì cara». Lo scrive Dante Alighieri nel primo canto del Purgatorio. Il Sommo poeta fa pronunciare queste parole a Virgilio e il mittente è Catone Uticense, custode della “porta” del Purgatorio: «Quest’uomo va cercando la tanto cara libertà, caro Marco Porcio Catone», dice il poeta latino presentandogli Dante. Mi risuonano nella mente da tutta la vita. Qualcuno le può intendere come un desiderio di essere liberato da lacci sociali, familiari, lavorativi, religiosi. E sicuramente – non so voi – sono stato capace a lungo di mettermi dentro una gabbia; o meglio, a lungo non sono stato capace di accorgermi dei prodromi dell’ingabbiamento.


Quando l’età ha cominciato ad avanzare, gli anni non mi sono pesati così tanto perché ho compreso che in virtù di questi avrei potuto lasciare andare almeno le briglie del costume, delle tradizioni, delle convenzioni, per cercare l’autenticità, una sorta di “verità” interiore che tenesse sempre (o quasi, come posso) conto della gentilezza. Il timore di «fare una brutta figura» è uscito dal mio orizzonte. Si è quel che si è, con dolcezza, ma quel che si è, sempre. Non si può tradire se stessi. Mai.

E nemmeno si può costruire la propria vita su una proiezione di felicità immaginaria. Non si può incontrare chicchessia e mettere indosso a questa persona il proprio ideale di vita, famiglia, lavoro, spiritualità, eccetera, perché la caduta è rovinosa e dolorosa, in primis per l’illuso. I condizionamenti della mia gioventù – sei anni che mi hanno costituito nel bene e nel male – mi hanno portato a credere nella redenzione coatta, nei miracoli dovuti e certi, nei santi dell’impossibile, nella vita altrui costruita su paradigmi propri. Anni di fact-checking mi hanno fatto comprendere che si trattava di fake news che tendevano al condizionamento a discapito della libertà.


Uno dei crimini peggiori credo sia quello di sostituire alla libertà, la “volontà divina” che è sempre la volontà di una autorità umanissima e per niente divina. Questo avviene nelle religioni, ma avviene anche nello yoga, nei circoli di meditazione e negli ambienti di formazione: quando l’alunno – per motivi personali e sempre plausibili – esce dal gruppo come Jack Frusciante, schiocca la frusta del “gurupretecoachnarciso” che si sente abbandonato e tradito. Sia chiaro, tra insegnante e “alunno” s’instaura spesso una relazione affettiva che nutre - si spera – entrambi i soggetti. Ma il primo comandamento di qualsiasi via spirituale o sociale è e dovrebbe essere sempre: «Sei un uomo libero. Lascia libero chiunque incontri sul tuo cammino e amalo per la sua libertà».


Anche perché la libertà è l’unica condizione per potere amare se stessi e quindi anche il prossimo. Un grande amore che non contenga la libertà nel suo essere, non è amore. Possiamo costruire ospedali in Africa, ma se non lo facciamo nella libertà dai frutti dell’azione (cfr Bhagavad Gita 2, 47: «Ti compete soltanto l’agire, non mai i suoi frutti»), è un dono sterile ed egoico. Posso dire che in tanti hanno provato a ingabbiarmi con i canti delle sirene in mille ambiti, ma l’unica che c’è davvero riuscita a legarmi al suo cuore è mia moglie Alessandra lasciandomi la più completa libertà di essere la persona che sono, nel mio continuo fluire. Liberi di amare nella libertà sua e mia. Liberi di comprendere il dono prezioso della libertà.


La libertà dai condizionamenti, dai costumi, dalle tradizioni, dai sensi di colpa, è una conquista personale che ho imparato proprio nell’amore e i “gurupreticoachnarcisi” che attentano a essa sono preziose e dolorose pietre d’inciampo che allenano questa virtù. Virtù che non è considerata «virtù» (anzi, è considerata egoismo) perché va contro gli interessi di chi tiene il bastone del comando. Ed è ovvio che sia così. Non possiamo pretende il contrario, ma possiamo fare in modo che nessuno ci tolga la libertà di essere liberi.


È un percorso, la libertà, e difatti Dante la sta cercando e si fa a piedi Inferno, Purgatorio e Paradiso, e non è stata una scampagnata. Ma stamattina ho compreso che questo anelito ha a che fare con il secondo sutra di Yogasutra: «yogaś citta vṛtti nirodhaḥ, con lo yoga è possibile diminuire fino alla completa eliminazione i turbamenti, le ossessioni, i vortici del complesso mentale. Questo percorso porta al kaivalya, la liberazione dalle rinascite. Sempre di libertà si parla. Liberarsi dai pensieri ossessivi (non dal pensiero tout-court) porta a uno stato di grazia in virtù del quale non è necessaria più nessuna evoluzione. Non si ritorna più né su questa Terra né su nessuno dei miliardi di pianeti negli universi. Una metafora per dire che l’autentica libertà è quella interiore perché libera dai condizionamenti della mente e quindi da quelli dei vincoli illusori, e porta a uno stato di beatitudine.


A questo punto c’è un’altra libertà da cercare: la libertà dall’illusione di potere arrivare a questo “traguardo”. Dipende interamente da noi? Non credo. Penso che qualcuno - alzo la mano - abbia iniziato il proprio percorso dieci gradini sotto, per “nascita”, per carattere, per mille variabili temporali e sociali o astrali. Qualcuno inizia addirittura dal piano inferiore. Nessuno nasce illuminato e spesso “quelli del piano di sotto” si realizzano (e noi no) proprio perché le variabili sono infinite e non rispettano quelle di casta e di acculturazione. Tutti noi facciamo quello che possiamo per liberarci dalle vritti, i pensieri ossessivi che ci tengono imprigionati ai condizionamenti. E non è detto che ci si riesca. Però vale la pena mettersi nel cammino del silenzio esteriore per aspirare a quello interiore. Vale la pena cercare il solo mantra del respiro (So-Ham o Hang So) per arrendersi alla Vita così come si sviluppa e si trasforma.

Perché si possa dire di ciascuno di noi: «Libertà va cercando».


Foto di Jill Wellington da Pixabay.

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