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  • Immagine del redattoreMario Raffaele Conti

Le trasgressioni che fanno crescere

Aggiornamento: 15 ott 2023

Stamattina pensavo ad Autobiografia di uno Yogi, la summa della cultura vedica in forma di romanzo, il libro più affascinante del ’900 amato dagli intellettuali di tutti i continenti. Di solito si pensa a Paramahansa Yogananda per sottolinearne la santità, la sapienza, la profondità, ma io penso che quel suo libro sia una sceneggiatura molto interessante che potrebbe avere come sottotitolo: «Come le mie disobbedienze mi hanno portato all’illuminazione». Leggendolo e rileggendolo, cioè, mi sembra che molto di ciò che ha imparato è stato il frutto delle sue ribellioni, dalla fuga sull’Himalaya quand’era un ragazzetto all’ultima disobbedienza (andare al Kumbh Mela) che gli ha impedito di essere vicino al suo maestro nel passaggio della morte. Solo così Yogananda è diventato Yogananda. Penso alle grandi ribellioni del 1500, Lutero e Calvino, che hanno dato vita a una Riforma che non sarebbe mai potuta avvenire senza (quanto è stato doloroso quel secolo!) e che ha portato una nuova visione di pensiero e di vita in molti ambiti. La ribellione conto la rigidità del dogma.



Non voglio dimenticarlo perché so che la rigidità è anche l’espressione di una rabbia repressa e che, come insegnante, come padre, come marito, come amico, se ho un dovere morale è quello di lasciare le persone che amo libere di fare la loro esperienza. Non per mancanza di senso di responsabilità, ma per la responsabilità che ho nel tutelare la loro libertà di espressione e di vivere.

La libertà di fare errori.

In natura il genitore mette al sicuro i suoi piccoli, ma sa anche che, quando crescono, ha il dovere di lasciare loro il diritto di sbagliare perché è solo grazie all’errore e all’errare che questi possono imparare qualcosa, che gli insegnamenti possono entrare nel Dna dei suoi cuccioli.

Non vi irrigidite se vi dico che la storia di tutti noi è una storia di rigidità.

Non ve lo dico da “insegnante di yoga”, ve lo dico da “rigido”.

Non c’è insegnante di qualunque materia o disciplina che non sia rigido.

Chi non è rigido, è un maestro.


Avrete capito che non sto parlando di elasticità del corpo, ma della mente, la splendida apertura dell'animo umano che fa respirare le menti e gli animi altrui. I maestri hanno scoperto che la rigidità è il guaio di molte epoche, è il destino di ogni essere umano che cerca di fissare un’idea, una disciplina, un pensiero, un modo di esistere, e di farne un assoluto.


Il mio sembra un discorso anarchico o qualunquista, ma in realtà vorrebbe essere qualcosa in più. Vorrebbe solo tentare di dare un punto di vista diverso. Non dico che le regole non servano. Anzi. Le regole sociali sono il fondamento delle società. Le regole in una disciplina sono la sua colonna portante.

Ma dico che quando le regole diventano assolute è perché si è dimenticato che quello che abbiamo imparato è stato ed è anche il frutto della nostra disobbedienza, del nostro errore.


Del resto la rigidità è sempre “figlia” e “madre” di un’esperienza, chi ci ha instillato una certa rigidità mentale era a sua volta figlia di un’esperienza di rigidità e così indietro nei tempi e nelle epoche, a cavallo di guerre e sommovimenti sociali, di povertà, crisi, delusioni cocenti, dolori infiniti…

La vita porta a essere rigidi perché la rigidità ci sembra essere l’unica alternativa all’imprevedibilità della vita e degli altri. Così, talvolta, ci trasformiamo in persone che insegnano agli altri come dovrebbero vivere perché per noi sarebbe “troppo” vivere quello che (e come) vorrebbero gli altri.


Ho imparato che devo imparare a lasciare sbagliare gli altri, sì. A dire quel che penso e a lasciare loro fare l'esperienza della Vita. Anche se è difficilissimo per me, e credo anche per voi, perché se hai un briciolo di empatia, be' questo è il rovescio della medaglia. Ho passato 30 anni della mia esistenza impegnandomi fino allo sfinimento fisico e morale per tentare di “salvare” le persone che amavo. Forse avrei dovuto impegnarmi solo a salvare me stesso da un'esperienza (la loro) che non volevo vivere.


Qual è la morale di tutto questo discorso, vi chiederete voi?

Che è più importante l’essere umano dell’insegnamento che vogliamo dare.

Che è più importante un gesto di tenerezza (verso noi stessi) che pretendere una rigida obbedienza alle norme.

Questo, secondo me, è un gesto spirituale che guarisce se stessi prima ancora degli altri.

Questo mette al riparo dalla rabbia che nasce dalla rigidità e distrugge la nostra e l’altrui vita.

Questo, io che sono figlio della rigidità in cammino verso l’abbandono di me all’Universo, ho capito oggi. E spero di capirlo anche domani.

Ma sarò flessibile, mi darò il tempo per farlo.







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