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  • Immagine del redattoreMario Raffaele Conti

Espandere la coscienza è il segreto per vivere nella gioia

Siamo sempre impegnati a mettere confini, muri, paletti. Tutto il giorno, i confini dei nostri pensieri si trasformano in Valli di Adriano, Muraglie cinesi, trincee della Prima guerra mondiale, valichi apparentemente insormontabili che la vita poi scavalca in un soffio. Però non rinunciamo, spesso passiamo le notti a non dormire pensando a come fermare questo o quello, a come far valere le proprie idee, a come non farsi scavalcare dal vicino. E allora ecco che tiriamo le linee invalicabili, cerchiamo di difendere un pensiero, un metodo, la buona educazione, un progetto, la carriera, una priorità.



È una fatica enorme e tutti ne facciamo esperienza. Pensate la fatica gigante e inutile – per esempio – per tenere attaccato a sé un partner sbarazzino o non innamorato. Che senso ha? Nessuno, lo si sa bene, ma quante volte capita. Sul lavoro la lotta è quotidiana, nel giornalismo è spesso molto feroce, nel mondo dell’arte è senza esclusione di colpi, in quello dello Yoga è insospettabilmente spietata: in tutti i lavori e gli ambiti si scatena quella che si chiama «guerra dei topi». Nei laboratori due ratti messi nella stessa gabbia finiscono per sbranarsi. E gli uomini sono come i topi.


Non credo esista una religione, un manuale di comportamento o una scuola di etica che possa far capire all’essere umano che la sua guerra è inutile. C’è un bug nel cervello dell’uomo che non è superiore alla “bestia”, ma è esso stesso “bestia”: siamo una specie animale che si illude di essere migliore di altre e per questo 170 miliardi di altri animali sono uccisi ogni anno a scopo alimentare e gli Stati hanno pronte 13 mila testate nucleari. Noi SIAMO il bug.


Il numero di settembre/ottobre di «Yoga Journal».

È di questo bug che parla lo yoga, il metodo codificato da Patanjali nel IV secolo dell’Era moderna in Yogasutra. Solo di questo. Non parla di posizioni. Mai. Non perché il corpo non sia importante in questo metodo (colmeranno il gap nel Medioevo i due testi fondanti dello Hatha Yoga, Hathayogapradipika e Gherandasamita), ma perché il punto di partenza è quella “stanza” di nome citta, senza l’accento sulla «a», che significa «coscienza», «complesso mentale», e che è spesso è piena come una città, con l’accento sulla «a». È il luogo in cui accade tutto. È il luogo dove proviamo i sentimenti ed è anche il luogo del “delitto”, dove i pensieri diventano “cerebrali”, ossessivi, fastidiosi, inestricabili. È il luogo dove esplode il bug.

È la stanza in cui il “Signor Rossi” (cioè te e me) si convince di “essere” il signor Rossi e non un Quid impalpabile ma reale (l'Atman, il ) che ha attraversato i secoli per arrivare fin qui. Questa testa dura che abbiamo si convince che il Quid è il Signor Rossi e da questo errore di programmazione (che in sanscrito si chiama avidya, nescienza, ignoranza) nascono a cascata tutti i guai successivi: il Signor Rossi è tale perché ha la bella moglie, la bella casa, una posizione di rilievo, oppure perché è il capo della Curva dei tifosi, oppure perché è il capomagazziniere del campetto di basket… Insomma, è «quello che fa», quello che rappresenta nella società, quello che possiede. E non sa neppure che il Signor Rossi non è neppure il Signor Rossi, ma il Quid, cioè l'Atman, il Sé.

Vi siete persi? Anche il Signor Rossi.

Mentre accade tutto questo, il Quid resta sempre dov’è, in attesa di essere “liberato” - cioè riconosciuto - in attesa che si possa esprimere e possa dare a quell’essere che si chiama «Rossi» tutti doni e la gioia di cui è capace e che contiene in sé. E la liberazione del Quid (che è la liberazione tout-court) è l'unico vero obiettivo dello Yoga.

L’unica acrobazia che si prospetta, insomma, è quella interiore. Chissà quante classi di Yoga parleranno di questo o insisteranno invece sulla precisione della posizione.


Mi rendo conto che intuire (perché capire è difficile) un meccanismo come questo, be’ non è cosa che si impara a una scuola di formazione né a un corso settimanale. Però iniziare a studiare, a praticare, è fondamentale, può dare il via al processo. Ne discutevo stamattina con un amico che amo come un fratello, lo Yoga non è per rassodare i glutei e neppure un rimedio di benessere. È molto di più. Ed è difficile da descrivere, ma è qualcosa che ti conduce a bussare alle porte del cielo, come direbbe Bob Dylan. È l’espansione di ciò che possiamo chiamare «coscienza»: questa espansione fa sì che i muri e i confini e i valli che imbrigliano la coscienza cadano e questo “gesto” ci proietti verso l’infinito che abita in noi.

Questo cambia la vita, non l’oggettiva possibilità di essere più calmi. La calma si perde e il dolore è sempre alle porte, ma quando la coscienza è oltre le mura di «Citta», abbiamo quasi vinto la nostra battaglia terrena.

E addio muri e muraglie.




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