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  • Immagine del redattoreMario Raffaele Conti

Smettiamo di illuderci, ci facciamo solo del male

Aggiornamento: 12 set 2023

Se dicessi: «Una delle cause maggiori di sofferenza è il gap, la differenza, che c'è tra la nostra illusione e la realtà», come vi suonerebbe? Pensavo a me, innanzi tutto, perché le osservazioni nascono sempre dalla propria esperienza e dalla propria vita. Se ripenso a quelli che possono essere catalogati come “errori” (le virgolette non sono un esercizio stilistico), sono tutti iniziati con un mio errore (senza virgolette) di valutazione: la corda era un serpente e il serpente mi ha morso (ma non sono morto). La sofferenza vera nasce dopo, dalla riflessione postuma, «Ma come è possibile che una corda possa mordermi?». Il potere dell'illusione è così potente che prima di accorgerci che quella corda in realtà era un serpente, passano anni, se non decenni (se non “mai”) e la discesa nel reale è frutto di un sottile lavoro interiore.


L'illusione è catalogata da Patanjali in Yogasutra come un pensiero vorticoso (in sanscrito, vritti) e il saggio ci avverte che questi pensieri possono essere dolorosi. L'illusione certo lo è. L'illusione è quella che porta tante donne belle e buone a scegliere un uomo che si rivela violento e a illudersi - appunto - che possa cambiare, «Ha detto che non lo farà più», «Lui è diverso», «Ha sofferto molto poverino...». Il risultato lo leggiamo sui giornali ogni giorno. Un titolo di Repubblica: «Femminicidi 2021, nel report della polizia: 118 le donne uccise, 70 per mano del partner o dell'ex». In Francia sono state 113 nel 2021. I dati dell'Onu del 2020 sono agghiaccianti: 47 mila donne uccise dal partner (o ex) nel 2020. L'illusione non conosce frontiere, culture, usi e costumi. C'è un piccolo dato, poco più dell'uno per cento, che riguarda anche le donne. Nessuno e nessuna è immune alla maledizione dell'illusione.


L'illusione colpisce in ogni sfera e di solito si accompagna alle aspettative che uno ha di sé e che sono indotte dalla cultura, dalla famiglia, dalle mode, dagli amici o da estranei manipolatori. Il gap che esiste tra l'ideale che è così forte nella mente da diventare “reale” e la realtà della realtà che spesso è lontana anni luce. Questo morbo dell'anima colpisce anche nell'ambito spirituale, gente che vuole somigliare a Gesù, al guru, al suo santo, al suo maestro e diventa la brutta copia di sé. E alla prima difficoltà, implode.


Viviamo in un mondo che tende all'omologazione e non allo sviluppo della propria unicità. Sì, lo dico anche in termini spirituali, nelle chiese cristiane come nello yoga o nel buddhismo, ci inducono sempre a imitare qualcosa o qualcuno. Nello yoga c'è l'atleta snello che compie circonvoluzioni (ma come lui quanti nel mondo? L'1-2 per cento?) e poi c'è il resto del popolo (noi) in sovrappeso, non più giovani, non particolarmente preparati, che si devono confrontare con questo e tendono a sentirsi inadeguati o si illudono un giorno di diventare come Roberto Bolle. Senza tenere conto che gli anni passano anche per Bolle, figuriamoci per noi.


Qualche giorno fa una signora mi diceva: «Ma come, pensavo che un insegnante di yoga fosse snodato». E qui entra in gioco un altro fatto, cioè che cosa è diventato lo yoga oggi, ma questo è un altro argomento. Leggevo su libro di Swami Gitananda Giri La voce del serpente (Laksmi Edizioni) che lui ha cacciato aspiranti yogin che non volevano considerare yama e niyama, le indicazioni del percorso yogico, che volevano concentrarsi solo sugli asana. Questo dovrebbe dirci qualcosa in proposito. E perché è importante considerare il primo yama, per esempio, ahimsa, la non-violenza? Non solo per stigmatizzare le violenze sociali, ma in questo ambito, soprattutto, per stigmatizzare le violenze contro se stessi.

Quando ci si accorge (perché ci si accorge) che il gap tra illusione e realtà esiste, si finisce per farsi male, per forzarsi inutilmente verso l'illusorio o per precipitare nella depressione.


«Use your mentality, wake up to reality», recita il brano di Cole Porter Under my skin, portato al successo da Frank Sinatra: «Usa la testa, svegliati nella realtà». Quando avviene il risveglio, si prova un senso di gioia profonda e di gratitudine. La gioia perché è caduto il velo dell'illusione e la gratitudine perché ci si accorge che non è affatto scontato. Forse per qualcuno è impossibile, forse qualcuno va aiutato. Forse possiamo aiutarci innanzi tutto da noi stessi a risvegliarci ogni giorno e a considerare la realtà della realtà e a fare cadere i pre-giudizi, il pensiero scontato e facile, a uscire dalla convenzione, a non avere paura del profano e ad aspirare al sacro, a guardare sempre l'altra faccia della medaglia, a sviluppare l'empatia, a smettere di restare autocentrati, ad ascoltare in silenzio l'altro senza il bisogno di aggiungere altro se non uno sguardo accogliente.


La non-violenza nasce soprattutto nel mio cuore, quando smetto di seminare il seme dell'illusione e torno al reale. Che non è quello che leggiamo sui libri, non somiglia nemmeno lontanamente alle foto patinate di influencer spirituali e non. Ma è il reale che ci appartiene e ci pervade e dal quale possiamo partire per diventare persone migliori. Non diverse, ma migliori.


Particolare di «Il trionfo di Alessandro il Grande» di Gustave Moreau, fotografato nel Museo «Gustave Moreau» di Parigi.


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