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  • Immagine del redattoreMario Raffaele Conti

Nella ricerca spirituale non possiamo usare i parametri del business

Aggiornamento: 20 apr

Swami Niranjanananda, erede di Swami Satyananda Saraswati di Munger, elogia la praticità e gli obiettivi raggiungibili a seconda della fase della vita in cui si è


Quando partecipiamo a qualche lezione o a qualche seminario capita a tutti di porsi una domanda: «Ma questa roba qui, a cosa mi serve? È troppo avulsa dalla realtà per poterla replicare nella vita di tutti i giorni e alla mia umanità cosa può portare?».

È successo anche a me e la risposta non è arrivata subito. All’inizio rimane la domanda sospesa e una risposta che non lascia spazio al dubbio: «Niente». Questo perché spesso l’approccio che abbiamo nei confronti dello yoga è lo stesso che abbiamo nei confronti di un corso di aggiornamento. Chi più, chi meno, tutti. E qui sta il corto circuito: adottiamo nei confronti della ricerca interiore gli stessi parametri del business. 

 

Ma come per tutte le risposte alle domande sulla spiritualità è una risposta provvisoria. La risposta vera arriva con l’avanzare della pratica.

1)   Nella ricerca interiore il primo passo – e dura tempo – è quello di individuare la direzione. Non disperdersi. Questa è una pratica che può durare anni.

2)   Il consiglio che venne dato a me 30 anni fa è restare nell’alveo di una grande tradizione. È per questo che quando ho incontrato il buddhismo ho seguito la via tibetana lamaista e quando ho incontrato lo Yoga sono restato nell’alveo di Swami Sivananda Saraswati e di Paramahansa Yogananda che avevano in comune un grande Maestro: Lahiri Mahasaya. Nella grande tradizione i pericoli di perdersi sono minori. Se sono in un grande alveo allora le pratiche che mi saranno insegnate avranno un unico scopo.

 

Qual è lo scopo dello Yoga insegnato da Swami Satyananda Saraswati, discepolo di Sivananda? Il primo scopo dello yoga è di portare l’armonia nella propria vita. La consapevolezza totale, sempre e completa, per arrivare ad amplificare al massimo la felicità del nostro vivere, a portare il sole nelle relazioni, la chiarezza nella mente, la luce nel cammino. Lo insegna Swami Anandanada Saraswati, il rappresentante italiano della Bihar School of Yoga fondata da Swami Satyananda: «Sapete qual è il primo, fondamentale e importante Yama del sistema di Yoga? Essere felici. Non solo per un attimo o per un istante. È essere felici».



Nelle foto sopra, a sinistra Swami Satyananda, a destra Swami Anandananda.

 

In questa prospettiva, dunque, gli insegnamenti che riceviamo devono in primis “servire” a verificare che quello che c’è scritto sui testi è reale. La scienza dello Yoga è empirica, non implica la fede, ma la prova che quello che è detto è vero.

Anche gli insegnamenti più sottili. Non sono fatti per dire “ci riesco”, ma per nutrire l’intuizione che qualcosa sta accadendo anche se non è razionalizzabile.

Questo è il primo snodo importante. Il secondo è che percorrere troppe direzioni è uno spreco di energie; ma anche questa non è una regola, bensì un punto di arrivo. E infine il più importante: al recente seminario ai piedi dell’Etna organizzato dalla “nostra" Judith Gayatri Listte, Swami Anandananda Saraswati ha detto chiaramente che dobbiamo rivedere i nostri obiettivi: non possiamo pensare di vivere le nostre diverse età tra musica, surf, mohito, vacanze, iperattività a 100 all’ora e poi pretendere di arrivare al samadhi e ad avere mille doni soprannaturali. Per arrivarci bisogna fare una scelta di vita, dice, o accontentarsi. Noi possiamo accontentarci serenamente. Meglio un briciolo di autenticità che un vagone di illusioni. Oppure percepire che vogliamo cambiare vita. Non per avere obiettivi ma per rispondere a un bisogno spirituale. Per obbedire a una voce interiore, perché la pratica ci porta a essere consapevoli di ciò che potremmo definire "altro".


Paramahansa Niranjanananda, erede di Satyananda (nel libro Yoga Chakra, La ruota dello Yoga, Yoga Pubblication Trust, 24 euro), spiega che esistono nella ricerca di un uomo e una donna, più o meno tre epoche che non sono necessariamente anagrafiche, ma che rispecchiano tre atteggiamenti diversi nei confronti della pratica. E possiamo adattarli a qualsiasi pratica spirituale e di ricerca:

1)   Nella prima parte della vita l’attenzione è rivolta ai sensi e alla mente interattiva. Quindi anche «le pratiche, sforzi, desideri, aspirazioni, servono a soddisfare i bisogni dei sensi e della mente». Dice: «Qualunque cosa pensiate o facciate è in funzione solo di voi stessi (…) Sia che andiate a una lezione di yoga, a un ritiro spirituale o che facciate le vostre pratiche personali». È quando accade che in meditazione emergano rabbie, sentimenti negativi, progetti, cioè siamo spinti verso la materia grossolana. Ma la progressione spesso porta a un secondo stadio, i cui confini spesso sono labili…

2)   Qui accade che la mente si attacca ai samskara. Ovviamente non sappiamo quali siano i nostri samskara e nemmeno le abitudini della mente. Qui si passa alle pratiche interne dello yoga, la concentrazione che può portare alla meditazione. Nella seconda fase ci si occupa delle emozioni e dei samskara. Ma attenzione, dice Niranjananda, «Se diventate spirituali e meno pratici, c’è qualcosa che non va, la spiritualità non ammette la stupidità. Io non so perché il comportamento stupido è equiparato al comportamento spirituale (…) Essere emotivi e sentimentali non è spiritualismo. Spiritualismo è resilienza pratica nella vita, è la capacità di adottare qualunque forma. Come l’acqua… Nella vita bisogna essere pragmatici e realistici».

3)   Nella terza fase si vive l’esperienza dell’unione, l’unione dello Yoga Chakra. «Vedere voi stessi negli altri», cosa che significa che la dualità, l’illusione, se ne sta andando.

 

Ma è una progressione che avanza con la vita o con il desiderio spontaneo che nasce certo dalla pratica. 

La pratica che si chiama Sadhana. Dice ancora Swami Anandananda: «Hatha Yoga si occupa di Ida e Pingala e inizia con gli Shatkarma; poi c'è Raja Yoga che è per la mente, Bhakti Yoga che è per la dimensione emozionale; Gyana Yoga per l'intuizione, l'intelletto, l'intelligenza; Karma Yoga per l'azione, Kriya Yoga per l’aspetto più sottile, psichico». E chiosa: «Sadhana vuol dire “faccio quello che è necessario fare per ottenere un obiettivo”. È per questo che non serve fare solo asana!». 


Paramahansa Swami Niranjanananda Saraswati, erede di Swami Satyananda.

 

 

 

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