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  • Immagine del redattoreMario Raffaele Conti

L'ascolto e la consapevolezza sono le chiavi per aprire le porte della Meraviglia

Consapevol... «No, ancora?!». È vero, ci sono migliaia di libri e di articoli che parlano di consapevolezza. Eppure siamo gli esseri più inconsapevoli del regno animale. Per esempio, conosco molte persone che tengono il telefono fisso in casa perché senza di esso non si potrebbero chiamare e non troverebbero più il cellulare, sepolto sotto libri o abbandonato in bagno. Confesso: una di queste persone sono io.


Un libro che mi ha cambiato la vita 27 anni fa è Il miracolo della presenza mentale di Thich Nhat Hanh. All'epoca ero in un periodo molto complesso e la psicologa e amica Fabia Schoss mi consigliò quel piccolo libro prezioso. Quando lavi una tazza, lava la tazza, spiegava il maestro vietnamita scomparso il 21 gennaio scorso. Non c'era bisogno di iscriversi a un centro per imparare la consapevolezza, bastava lavare i piatti. Era la prima volta che non sentivo parlare di regole, doveri, imposizioni e dogmi, ma solo di una richiesta di ascolto. Ma non a un guru, bensì a me stesso, al movimento delle mie mani, dell'acqua che scende e che si infrange sulle dita prima e sulla ceramica dopo, e poi scende nel lavandino e porta con sé quello che incontra...


Scrive Tich: «Quando si lavano i piatti bisognerebbe soltanto lavare i piatti (...) A prima vista può sembrare un po' sciocco: perché insistere tanto su una cosa così banale? Ma è proprio questo il punto. Il fatto di essere qui a lavare queste scodelle è una meravigliosa realtà. Sono pienamente me stesso, seguo il mio respiro, conscio della mia presenza e conscio dei miei pensieri e delle mie azioni».


Ricordo perfettamente che quell'invito a lavare i piatti senza far vagare la mente fu una sorta di epifania. Dovevo iniziare ad accorgermi della meravigliosa realtà che stavo vivendo. Ad ascoltare quello che il momento presente aveva da dirmi, attimo dopo attimo, giorno dopo giorno. Quello fu l'inizio di un ascolto che mi ha condotto lontano, mi ha fatto affrontare i miei mostri ideali e reali e mi ha portato tra le braccia dello yoga per continuare questo ascolto. Lavo i piatti e ogni gesto può diventare un asana, posso creare le pause, associare il respiro, le sospensioni, chiudere gli occhi e ascoltare con i sensi l'acqua che mi bagna. Cucino e l'incontro con gli ingredienti mi mette in contatto con i mondi che stanno dietro a ciascuno di essi, con le persone che hanno permesso che arrivassero nella mia credenza e nella mia pentola. Con un semplice e “banale” esercizio di consapevolezza mi collego con il mondo e tutto diventa stupore. Anche se talvolta perdo ancora il telefono... È un lavoro che non finisce mai.


La stessa cosa avviene sul tappetino o sul cuscino in cui pratico l'ascolto del silenzio e del respiro. Ascolto il mio diaframma e capisco come sto quel giorno, se l'alimento che ho assunto la sera prima è adatto a una dieta consapevole che mi permetta di praticare con leggerezza la mattina dopo, per esempio. L'ascolto del corpo porta a nuovi cambiamenti che non sono dettati da “diete” o diktat, ma dalla consapevolezza che illumina il percorso. Non amo la parola «coerenza» perché suona come obbligo, questa è una via differente, che libera dai «si deve fare così» e introduce un punto di domanda: «Cosa mi stanno dicendo il respiro, il corpo, la mente?». Si tratta di unire i puntini, non di forzare un pezzo di un puzzle dove non riesce a entrare. Questa cosa è l'ascolto, questa la consapevolezza.

È così importante che Yoga Festival ha dedicato all'ascolto l'edizione che si apre il 30 settembre al Superstudio di Milano.


In asana si esercita questa attenzione al respiro, al movimento, al rilassamento, allo sforzo, al pensiero, al punto di concentrazione, al piacere e al dis-piacere, alla paura e alle manie di grandezza di un ego che non si dà pace mai. Tutto questo nasce dall'ascolto e l'ascolto nasce dalla consapevolezza. Ricorda il monaco vietnamita che il Sutra della presenza mentale insegna: «Qualunque posizione assuma il corpo, il praticante deve esserne consapevole. In tal modo il praticante vive in diretta e costante presenza mentale».


Gli fa eco il grande yogi Swami Satyananda Saraswati: «La consapevolezza del tuo respiro implica che sei contemporaneamente consapevole della tua consapevolezza». E non ci si perde «più nell'attività mentale e fisica». E ancora: «Bisogna essere consapevoli del respiro e sentire il movimento del passaggio del respiro stesso».


Ancora «ascolto» per arrivare alla consapevolezza, nel buddhismo come nello yoga. Non cambia nulla. Chiosa Satyananda: «Tutto ciò di cui hai bisogno è l'interesse e lo sforzo per cambiare la tua vita». Già. E questo avviene - secondo la mia esperienza - quando hai ascoltato il mondo che vive in te. Fantastico.


Ah, come vorrei essere Humphrey Bogart per poter chiudere così: «È lo yoga, bellezza!».





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