Ogni religione e ogni disciplina spirituale ha delle basi etiche fondanti, per lo yoga sono Yama e Niyama. Yama e Niyama danno una direzione alla pratica che, senza di esse, sarebbe solo esercizio fisico, alla stregua di tante altre discipline sportive. Sono dieci precetti, che io preferisco pensare come inviti a sviluppare determinate attitudini. È molto diverso dare un comando o una prescrizione, dire cosa fare o cosa non fare, rispetto all’utilizzare degli orientamenti etici per un cammino di evoluzione personale. Si tratta di linee guida difficili perché investono non solo la sfera dell’azione e dell’atto, ma anche quella della parola e del pensiero; talmente impegnative che non possono essere realizzate in modo definitivo. Può essere facile non fare del male a nessuno fisicamente, arduo non ferire qualcuno con qualche parola di troppo, impossibile non avere qualche pensiero malevolo. Una caratteristica di Yama e Niyama in particolare mi ha sempre affascinato: la possibilità di applicarli e adattarli non solo ad ogni età, ma anche ad ogni situazione e ad ogni contesto. Nel corso di tanti anni di insegnamento ho cercato di trasmettere la ricchezza e la potenza che rivestono, sottolineando sempre che la stessa identica ricchezza può venire dai dieci comandamenti, dai precetti delle religioni, dai dettami di tutte le discipline spirituali.
Recentemente una signora mi ha telefonato perché voleva fare yoga. Alla domanda «Perché?», la prima risposta è stata «Per dimagrire». Visto che non la potevo accontentare la seconda motivazione è stata «Per trovare spiritualità», e poiché alla mia domanda se fosse o meno religiosa mi ha detto che era una fervida credente, pur rassicurandola sul fatto che avrebbe potuto frequentare un corso di yoga, le ho solo chiesto di riflettere sul perché, da “fervida credente” stava cercando la spiritualità da un’altra parte. Racconto questo perché troppo spesso sembra che alcuni inviti al miglioramento e alcune “pillole di saggezza” appartengano solo allo yoga. Non è così.
Per me la pratica dello yoga è stata necessaria in quanto atea, ma non tutti gli atei per fortuna hanno bisogno dello yoga per vivere serenamente e in pace con gli altri. Fra le dieci attitudini elencate da Patanjali negli Yoga Sutra mi ha colpito e interessato in modo particolare «aparigraha».
Ecco alcune traduzioni:
● «Colui che è saldamente fondato sulla povertà, acquista piena conoscenza delle circostanze delle sue vite» (da Aforismi dello Yoga a cura di Paolo Magnone Edizioni Promolibri 1991).
● «Quando la non-possessività viene rinsaldata, sorge la conoscenza del come e del perché dell’esistenza» (in La scienza dello yoga commento agli Yoga sutra a cura di I.K.Tamil Edizioni Ubaldini 1970).
Mentre la prima traduzione è centrata sulla “povertà” e quindi sul non possesso di beni materiali, quella di Tamil è molto calzante: la non-possessività in questo caso è dirompente e allarga l’orizzonte al campo delle relazioni interpersonali. Nella mia vita professionale mi sono sempre occupata di gravi criticità relazionali e familiari, ho toccato con mano i danni tremendi dovuti a rapporti e amori “malati” basati sull’idea che amare vuol dire possedere l’altro. Approfondendo questo tema negli anni ho maturato la convinzione che per avere relazioni sane e serene con tutti, a partire dal contesto familiare e amicale, occorre proprio lavorare su aparigraha, sul distacco. Ma quale distacco? Perché detto così senza definirlo potrebbe sembrare un invito a coltivare l’indifferenza.
Non è così. Ci viene in aiuto un bellissimo binomio coniato da Willy Van Lysebeth e che ho fatto mio, come se fosse un mantra: «Il distacco sensibile» (nel suo libro Yoga al cuore dell’essere Edizioni Mursia 2011):
«Lo yogi si immerge nell’esperienza e la assapora
anziché mettere in atto strategie difensive e di controllo
e così facendo, dall’interno, può emergere un “distacco sensibile”».
Vediamo come è faticoso e impervio, ma possibile, applicare questo alle relazioni. Mi limito ad alcune osservazioni derivate dalla mia personale esperienza nella pratica dello yoga e nel tentativo maldestro e spesso non riuscito di applicare lo yoga fuori dal tappetino. Non ho le competenze per addentrarmi in altri campi, né titoli per dare consigli. A essere sincera potrei raccontare più le ricadute rispetto ai miei progressi e a fragili ed effimere conquiste!
Come si può tentare di coltivare il distacco sensibile? Un prerequisito valido in assoluto nella vita è quello di essere disponibili a che qualcosa avvenga senza prefigurare nulla. E nei confronti delle persone si tratta di nutrire l’attitudine a una apertura incondizionata, senza aspettative e senza idee preconcette. Con la consapevolezza che quello che avviene oggi può non essere per sempre, con la disponibilità ad accettare il cambiamento, con la certezza che nessuna situazione e nessuna relazione è così per sempre. Distacco è lasciar andare senza rimpianti il passato che non torna, non prefigurare il futuro che non andrà mai come immaginiamo, saper vivere il momento presente per quello che è, bello o brutto che sia, ma transitorio.
Un altro aspetto molto impegnativo è quello di non farsi carico di scelte e responsabilità che appartengono ad altri. Siamo naturalmente portati a occuparci di questioni che non ci competono, l’esercizio del ruolo tanto sviscerato nelle formazioni in ambito lavorativo e del tutto trascurato negli ambiti relazionali. Difficile non intromettersi nelle decisioni dell’amato o dell’amata, in quelle dei figli e in quelle dei più cari amici. Ma ci sono delle importanti sfumature fra esprimere un parere, se richiesto, e invadere il campo limitando la libertà dell’altro. Una abitudine che avevo nel guidare il rilassamento era quella di dire:
«Abbandoniamo il peso del corpo sulla terra,
abbandoniamo il peso delle spalle,
e con il peso delle spalle il peso di tutte le nostre responsabilità
anche di quelle che non ci appartengono
ma noi, ostinati, vogliamo assumere»
Molti esempi si possono fare, dai genitori che vorrebbero andare a colloquio con i docenti universitari del figlio; a figli ben grandi che escono di casa, ma continuano ad accettare di essere accuditi da mamme che cucinano per loro, lavano e stirano. Per non parlare di invadenze molto più pesanti, che creano aspettative a danno giudizi di valore su scelte non condivise.

Il distacco sensibile è anche dare spazio. Rispettare lo spazio dell’altro, dare spazio per me è la bellezza delle relazioni libere, dove per esempio nella coppia ciascuno è una entità autonoma con la sua storia e il suo mondo, due persone autosufficienti che si incontrano. Credo che uno dei “segreti” della durata delle relazioni sia anche questo rispetto totale degli spazi dell’altro, che vuol dire rispettare i silenzi, i diversi interessi, le diverse frequentazioni. Non a caso a volte si dice «Devo allontanarmi un po’, devo prendere aria», quell’aria che manca se ci sentiamo in gabbia, privati del nostro spazio. Non invadere lo spazio è fiducia, rispetto totale per l’altro; è lasciare libertà, una libertà che porta con sé l’incanto di tanta leggerezza. Il contrario della gelosia. Solo così le perdite, i tradimenti, le relazioni che si spezzano sono certamente dolorose e devastanti, ma non annientano la persona: una differenza “vitale”, in quanto contrasta il senso di proprietà che è all’origine di troppe violenze omicide. Su questo aspetto l’apprendimento più efficace è sicuramente quello dei modelli familiari, ma io credo che se ne dovrebbe occupare anche la scuola dove non si prende in considerazione la necessità di educare alle relazioni. Se ne dovrebbero occupare tutti i servizi sociali e sanitari.
Un altro tema delicato è come poter vivere con “distacco sensibile” una situazione di grande difficoltà che riguarda una persona cara. Molto arduo, ma essenziale per preservare la propria serenità ed essere di maggiore aiuto all’altro. Non essere indifferenti alla sofferenza altrui, ma al contrario empatici e disponibili con chi soffre fisicamente o psichicamente, senza lasciarsi permeare dalla sofferenza e dalla malattia. Posso parlare per esperienza personale, fatta in lunghi mesi in cui mio marito affrontava un bruttissimo tumore. Mesi in cui ho capito che manca totalmente il sostegno ai parenti mentre sarebbero utili incontri, gruppi di mutuo aiuto proprio per evitare di cadere nel vortice della malattia insieme al proprio caro. Aparigarha, il distacco sensibile, è stata la mia risorsa, l’impegno a preservarmi per poter essere ancor più di aiuto. Nelle lunghe attese mentre Stefano faceva la chemio è nato il libro Tecniche antistress, un impegno importante per la mia mente. La recita del mantra una medicina preziosa per allontanare i brutti pensieri. Quando ero accanto a lui in terapia intensiva, mi aiutava l’immagine mentale di essere dentro un cilindro di vetro che aveva una finestrella. Da quella finestrella poteva fluire la mia solidarietà e il mio amore, ma all’uscita dell’ospedale il cilindro spariva e io cercavo di vivere delle giornate normali in cui ogni giorno ci fosse qualche ora bella, tutta per me. E ogni giorno ero consapevole della grande fortuna di essere in buona salute.
Ricordo lo stupore di mio figlio e di mia nuora venuti a Padova per sostenermi e consolarmi il giorno prima di quello in cui Stefano doveva essere sottoposto a un intervento molto complesso e rischioso. Mi hanno trovata serena, ho offerto loro una cena in un buon ristorante dicendo, godiamoci questa serata, non so cosa succederà domani. Sono stata cinica e indifferente? No. Ero l’unica fra le mogli che arrivavano in ospedale senza piangere. E sono convinta che chi sta male si sente in colpa se vede soffrire i suoi cari, se pensa che sta distruggendo la loro vita; ha bisogno di avere accanto persone positive, vive.
Nello yoga tutto è sempre integrato, non solo le diverse attitudini di Yama e Niyama procedono sempre di pari passo, danno la direzione alla nostra vita e alla nostra pratica.
Tutto è connesso e non si può pensare, parlando di aparigraha di lavorare solo su questa qualità trascurando tutte le altre. Posso privilegiare in qualche momento un lavoro sul distacco, ma non posso trascurare gli altri aspetti che compongono l’insieme etico: la non violenza, l’onestà, l’essere autentico, impegnato nella evoluzione personale, consapevole e capace di affidarmi al divino, se ho fede, o alla vita. Un mondo che porta a lavorare su di sé a 360 gradi nel quotidiano.
E come si può rafforzare questa qualità attraverso la pratica di asana? La mia esperienza prevalente è lo Yoga Ratna un metodo ideato dalla maestra Gabriella Cella, che oltre a riferirsi allo yoga tradizionale approfondisce l’eco simbolico e il lavoro sulle diverse qualità che possiamo evocare con le forme del corpo. Affascinante per me è stare nella immobilità della posture e viverle, lasciando che affiori tutto ciò che in quel momento mi suggerisce. Essere centrata, stabile, nelle posizioni relate alla terra, prime fra tutte Tadasana la montagna. La possibilità di essere duttile, fluida come l’acqua, capace di accettare il cambiamento in tutte le posizioni che agiscono sul mondo delle acque, nelle arcuazioni, o quando posso diventare Chandra, il dio Luna che governa le maree. Mentre sto nelle forme che agiscono sugli organi addominali, nel plesso solare, posso percepire l’ardore del fuoco e della trasformazione e l’impegno nella disciplina. Se apro le braccia, come nella posizione di Paksin, il gabbiano le braccia diventano ali leggere, apro la cassa toracica espando la zona del cuore, accolgo, sono disponibile all’abbraccio sento la leggerezza del volo e della libertà. L’eco dell’amicizia sincera nella forma di Hanuman il signore delle scimmie, capace di dare la vita per i suoi amici, Rama e Sita. Nella forma di Suparni la signora dalle grandi ali spalancate, che ricorda l’immagine della Madonna che accoglie tutti sotto il suo mantello, il distacco sensibile si fa forma. Nelle posizioni capovolte c’è la meraviglia dello yoga che ribalta tutti gli orizzonti e le abitudini che ci imprigionano, ciò che è in alto sta in basso ciò che è in basso va verso il cielo. Con Vrks asana la posizione dell’albero posso evocare l’insieme di tutto un percorso, dalla terra al cielo, dal radicamento alla leggerezza. Poi vacillo e perdo l’equilibrio, anche il corpo racconta della sua fragilità, di effimere conquiste, di quotidiane cadute.
Lo yoga per me è questo.
Il leggendario Yogi immortale è l’essere umano che completa l’evoluzione con la padronanza delle energie interiori e la realizzazione del Sé. E molte scuole tamil sostengono che il Kriya Yoga, reso famoso da Yogananda, abbia radici nel “Siddha Yoga” tamil...
Questo è un po’ il manifesto dello yoga che pratico e che insegno da quasi trent’anni. Lo yoga si occupa della domanda essenziale che abita ogni essere umano. Del mistero del vivere, del mistero dell’essere coscienti. Del “chi” siamo e “come” siamo. La parola “Yoga” indica uno stato, uno stato fondamentale della coscienza. Non è un percorso che conduce da un luogo a un altro, e neppure una ricerca di benessere. È la possibilità di essere consapevoli di essere vivi e di come lo siamo. La possibilità di sentirsi espressione di una realtà indivisa. La pratica di Yoga si fonda sull’Osservazione e sul Cambiamento.
Lavoro con la voce da cinquant’anni. È stata la mia compagna, la mia arma gentile, il mio specchio: la radio, la tv, il canto. Con la voce ho raccontato e ascoltato, ho cercato emozione, ritmo, verità. Ma più la uso, più capisco che la voce non è solo suono: è respiro che si manifesta, corpo che vibra, anima che prende coraggio e decide di farsi sentire. È la forma più diretta di presenza
La speranza di una donna che è scappata dall'orrore e ha cercato un futuro con i suoi figli su un'isola della Grecia. Ma ha lasciato l'amore della sua vita e non vuol sapere che lo rivedrà solo come nuvole nel cielo...
Per invecchiare meglio bisognerebbe leggere più libri sulla biologia e guardare meno pubblicità. Facile a dirsi, un po’ meno a farsi. Perché i condizionamenti sociali sono enormi. Ma a prescindere dallo sviluppo tecnologico che l’umanità ha raggiunto, le domande sulla vita e sulla morte rimangono le stesse. Perché nasciamo, perché moriamo? Ai quesiti esistenziali senza tempo rispondiamo con trapianti e i ritocchi, mentre dovremmo imparare a meditare...
Mahavatar Babaji, il guru di Lahiri Mahashaya che ha portato il Kriya Yoga in tutto il mondo, è il protagonista di un nuovo libro scritto da Jayadev Jaerschky. Che ci spiega chi è quest'essere leggendario che Yogananda descriveva come «simile al Cristo»



